Il negativo della critica

Il negativo della critica
 
 

Il tema della critica letteraria alla poesia e di un suo probabile decesso per suicidio continua a ricorrere tra le riflessioni di intellettuali e addetti ai lavori. All’interno di un dibattito annoso e di difficile soluzione, è comparsa di recente sulla rivista web Avamposto1 la riflessione di Leonardo Tonini che sembra proseguire la traccia argomentativa svolta da Matteo Bianchi sullo stato di salute della critica letteraria (affrontata nell’editoriale del volume I di Laboratori critici2). Nell’ipotizzare uno di quei collegamenti ideali tra speculazioni nate in contesti culturali e temporali affini, appare doveroso provare a fornirne una necessaria, ulteriore argomentazione rispetto a un disagio profondo ma, forse, non esiziale.

“(…) la morte della critica in Italia. La paura di offendere qualcuno, non l’autore in sé, che come ho detto, ci sta, ma tutto un entourage di sostenitori dei poeti riconosciuti come poeti che (solo in Italia) sono ritenuti sacri e ingiudicabili” scrive Tonini nel cuore del suo articolo in cui dà per spacciata la critica militante contemporanea.

Argomento, questo, estremamente stimolante e ricco di interventi già da metà del Novecento, volendo dare un confine temporale a un malessere – reale, presunto o addirittura surrettiziamente vantato – che interessa ogni fase della vita della poesia (ed ecco che compare, ad avviso di chi scrive, per i tempi più recenti, una prima avvisaglia di un elettroencefalogramma della critica non del tutto piatto).

Il pubblico della poesia3, per esempio, al di là che si voglia ad esso attribuire un valore storico, storicizzato o attualizzante, ha avuto necessità di ben tre edizioni (1975, 2004 e 2015) per svolgere, senza forse mai completarlo (ma non era quello il suo scopo), il suo discorso sulla poesia. Oppure è, in effetti, il vero, famigerato pubblico della poesia ad aver avuto bisogno, in qualche modo, di ben tre edizioni dell’omonima antologia critica sulla controversa questione della poesia? D’altronde, come scrive Roberto Galaverni nella nota introduttiva, “l’originalità, se vogliamo la straordinarietà del Pubblico della poesia è che si tratta di un’antologia che non intende garantire per la qualità dei poeti e dei testi che presenta. Fa fede del pubblico, non della poesia”. “È la naïveté di cui ha parlato più volte Berardinelli; ed è, credo, il tratto più significativo della foto di gruppo scattata da lui e da Cordelli nel 1975. Proprio allora la coscienza critica iniziava a diminuire rapidamente, mentre s’imponeva una creatività sregolata e autoreferenziale” aggiunge Marchesini nella sua nota allo stesso testo. È molto chiaro, dunque, come l’attenzione critica, divulgativa, ermeneutica si sposti dall’oggetto al soggetto, in un’ottica sempre più capitalistica rispetto a un onnivorismo letterario che manifesta preoccupanti tendenze cannibalistiche. Quando piace tutto, forse, non piace niente. Oppure, in effetti, non è vero che tutto piace (e forse non è mai stato vero) ma piace quel che può piacere, e il critico ne prende atto.

“È un problema di fruitori non più avvezzi ad allenare uno spirito critico, figli di una società assoggettata al consumo istantaneo che investe tutto nell’intrattenimento e si nasconde dietro a opinionisti e a varietà, che fa ‘di tutto un po’ il suo credo”, osserva Bianchi dando seguito al saggio di Marchesini pubblicato di recente su Il Foglio4.

Una locuzione, ‘di tutto un po’, affine in modo preoccupante a quella adoperata provocatoriamente da Tommaso Di Dio nel suo saggio dedicato a una rosa di giovani poeti nati nel ’90: ‘Tutto purché funzioni5’. In questo saggio, Di Dio svolge un’accurata analisi delle opere che ha scelto, dalla quale si evincono aspetti di una evenemenziale criticità della poesia giovane e contemporanea. Tali profili, però, assumono la forma di un sospetto putativo, come se in qualche modo lo strumento della constatazione presuntiva prevalga, sia più utile e più contestualizzato di quello della effettiva e definitoria disamina critica.

Giorgio Manacorda, nella sua risposta al questionario presente all’interno de Il pubblico della poesia, riporta una frase di Octave Mannoni, estremamente evocativa e significativa: “Il discorso poetico non ci dà affatto l’impressione di esprimere quel che è segreto, ma di rispettarlo come inespresso: di mostrarne il luogo, ma solo col tracciarne i contorni”. La catena di significanti, insomma, continua a tratteggiare – antinomicamente – l’indeterminabile ambito dei significati, attraverso un lacaniano ordine simbolico in cui il segreto non abbisogna di conoscibilità ma di mera, vaga percezione intellettuale e/o emotiva. E il significato, si badi bene, come specifica Manacorda, non coincide con il contenuto ma, talvolta, ne rappresenta un opposto ontologico, benché sempre vitale nella reciproca relazionalità, che si muove all’interno dell’equazione tra vuoto e messaggio individuato o individuabile. Ciò può valere anche per la critica? Secondo il refrain, talvolta pervaso da un trasporto narcisistico, che la poesia è morta, si ribadisce l’altro ritornello, altrettanto onanistico, che anche la critica è morta.

Si torni a riflettere sull’esortazione, centrale ma forse un po’ troppo scoraggiata, di Tonini e sulla sua fervida eloquenza deduttiva: può ancora esistere una critica che sappia essere anche negativa?

Nella pratica della poco convinta autodifesa della poesia (o dei suoi autori?) dai processi di ipersocializzazione dettati dai mezzi di comunicazione mediatica – di cui non si può nemmeno più dire che siano nuovi (così sentendosi, i cultori della poesia, depauperati anche dell’attenuante provvisoria dello spaesamento emotivo-antropologico) – la domanda retorica che (si) pone Berardinelli in Poesia non poesia6” è sempre valida: “Se convince il lettore, la poesia non ha bisogno di essere difesa. Se non lo convince, perché difenderla?”.

Un quesito valido purché se ne colga la natura provocatoria del tono e se ne tragga – rimanendo in linea o meno con la volontà dell’autore del saggio appena citato – la deduzione di una instancabile resistenza della poesia e della sua critica più audace.

Gisella Blanco

 
 
 
 

2. Laboratori critici, Anno I, Vol.I, Maggio 2022, Samuele Editore.
3. Il pubblico della poesia, a cura di Alfonso Berardinelli e Franco Cordelli, Castelvecchi 2015.
5. Tutto purché funzioni. Appunti intorno ad alcuni libri di poesia di autori nati negli anni ’90, Tommaso Di Dio in Laboratori critici, Anno I, Vol.I, Maggio 2022, Samuele Editore.
6. Poesia non poesia, Alfonso Berardinelli, Einaudi 2008.