I volti di Hermes. Magie. Inganni. Sortilegi. Rivelazioni – Paolo Lagazzi


I volti di Hermes. Magie. Inganni. Sortilegi. Rivelazioni, Paolo Lagazzi (Moretti & Vitali, 2023).

Quella di Paolo Lagazzi è una prosa che «arde quasi come poesia»1. Ha intuito e scritto bene Roberto Mussapi in un articolo sull’ultimo saggio di stampo narrativo del critico parmense, I volti di Hermes. Magie. Inganni. Sortilegi. Rivelazioni edito da Moretti & Vitali — casa per la quale Lagazzi cura una collana di poesia e una di saggistica intitolata appunto “I volti di Hermes”, inaugurata nel 2006 insieme a Giancarlo Pontiggia.

Dopo quasi vent’anni Paolo Lagazzi fa il conto con quanto da lui scritto finora sotto il segno del Dio greco, raccogliendo in questo volume una serie di articoli critici intimamente infusi del suo bisogno di «magia, di sogni, di azzardi, di fantasia, d’avventura»2, composti da una penna agile che si muove nel segno di una leggerezza ariosa ma non per questo mancante di profondità arguta. Come si spiega una leggerezza profonda? Sicuramente, da un lato, la mano di Lagazzi è ispirata dalle capricciose ma liberanti venute di un Hermes dalle caratteristiche contradditorie, un Dio, ci dice il critico, troppo a lungo «sottovalutato, trascurato, vilipeso: o addirittura dimenticato, rimosso, cancellato — come se non fosse colui che ha inventato la lira e la magia, il fuoco domestico e l’arte dei legami, e che dai tempi di Omero illumina la fantasia degli uomini dandole insieme penetrazione e ali, permettendole di muoversi fra la terra e il cielo, tra il reale e i sogni, fra il visibile e l’invisibile […]» (I volti di Hermes. Magie. Inganni. Sortilegi. Rivelazioni, cap. V, cit. a p. 173).

È facile perdersi e innamorarsi leggendo le pagine di Lagazzi, la sua scrittura risente sinceramente di qualcosa di magico, di un’aria che sa trasformare persino le sue memorie d’infanzia in sequenze fantastiche e ironiche, quasi si fosse di fronte a un film di Woody Allen — regista il cui film Scoop (2006) è citato dal saggista in un suo articolo —. Tra i numerosi letterati, artisti e registi nominati, è proprio Woody Allen a suggerire una chiave attraverso la quale portarci più a fondo al microcosmo di Lagazzi, precisamente il Woody Allen del film Ombre e nebbia (Shadows and Fog, 1991). Lo si immagina così, il critico parmense, fantasticando gaiamente in questo parallelismo, come il personaggio principale del film di Allen: Kleinman (interpretato dal regista stesso), un prestigiatore dilettante attratto dalle voluttà dell’illusione, del magico, del mistero, mai perso di fronte ai tempi in cui vive finché avrà la possibilità di avvertire attorno a sé il quid che dal mondo circostante chiama la sua anima ad elevarsi, divertirsi, fantasticare e, insieme, come in un processo non scisso da quella rêverie, conoscere. Da un lato il Kleinman-Allen insegue le mirabili visioni del magico dopo aver conosciuto il prestigiatore professionista di un circo arrivato in città, Armstead; dall’altro lato, come Kleinman-Allen, Paolo Lagazzi e suo fratello Corrado si innamorano in giovane età — forse perché sfiorati dal tocco di Hermes — dell’arte dei prestigiatori Alberto Sitta e Ranieri Bustelli, inseguendo per anni i loro show e iscrivendosi, più tardi, al bolognese Club Magico Italiano diretto da Sitta: «Sorta di massoneria della leggerezza, di scuola degli incantesimi puri, palestra per giochi fatti such stuff as dreams» (Ivi, cap. I, pp. 42-43).

«Cosa si può dire intorno alla leggerezza?» (Ivi, cap. IV, p. 133), si domanda a un certo punto Paolo Lagazzi, perché è attorno al senso di questa parola che la ricerca del critico ha preso l’abbrivio nel lontano 2006, legandosi al Dio Hermes in quanto lui per primo, messaggero degli dèi, ha la caratteristica di essere agile, scattante, ma anche doppio, affinché i suoi messaggi tocchino dalle vette dell’Olimpo il terreno su cui poggiano gli uomini e viceversa. Della leggerezza lo scrittore ci parla non di una qualità che denota frivolezza, banalità o irresponsabilità di fronte ai problemi della vita e ai suoi aspetti duri, difficili, perturbanti, bensì di un legame inscindibile con il bagaglio di senso positivo e negativo del termine: «Se può essere ancora utile cercare nella radice delle parole il seme del loro senso, vorrei ricordare come l’etimologia di leggerezza rimandi, attraverso il francese legier, al latino levis che può avere dei significati in qualche modo positivi, come “veloce”, ma anche intrinsecamente negativi, come “debole”, “incostante” o “falso”» (Ibid.).

Dunque cos’è la leggerezza se non un ambiguo matrimonio degli opposti, di certo una «meta [mai] agevole ma un fiore raro» (cap. IV, cit. a p. 135) che altri pensatori, scrittori e teologi hanno indicato con il termine “grazia”? Tra di loro Rainer Maria Rilke lo sentiva assai bene, I sonetti a Orfeo sono imbevuti di questo senso del doppio e della ricerca di un Altrove, di una grazia visibile come una fontana a cui abbeverarsi, nutrirsi:

Vedi i fiori, fedeli alla terra,
cui prestiamo un destino dal margine del nostro –
ma chi sa! Se si dolgono del loro sfiorire,
spetta a noi vivere il loro rimorso.
 
Tutte le cose tendono a librarsi. Ma noi ad aggravarle
stendiamo su tutte il nostro peso, perché il peso ci esalta;
logoranti maestri siamo dunque alle cose,
mentre esse godono eterna fanciullezza.
 
Ma chi potesse accoglierle nel suo sonno profondo
e con loro dormire, come mutato e lieve
sorgerebbe dall’alvo comune al nuovo giorno.
 
O resterebbe forse; ed ogni cosa in fiore
canterebbe le lodi al convertito, ormai simile a loro,
alle sorelle tacite nella brezza dei prati.3

È di questo eccentrico vigore che vuole continuare ad arricchirsi Paolo Lagazzi, facendo della sua professione e vocazione di critico un inno all’allegria, all’incanto proteiforme senza però venire meno al rigore che il mestiere richiede. Un mestiere che, se irrigidito nel grigiore di limitati punti di vista è destinato a morire dei suoi propri schematismi interpretativi; al contrario, Hermes esorta Lagazzi alla metamorfosi, alla moltiplicazione dello sguardo al fine di ritrovare quella forza che, simile al balzo dell’intuizione poetica, sospinge corpo e mente verso orizzonti sempre nuovi e carichi di promesse.

Fabio Barone

 
 
 
 

1 Roberto Mussapi, Visioni di Hermes. Leggero non frivolo, «Avvenire», 18 aprile 2023, p. 22.

2 Paolo Lagazzi, I volti di Hermes. Magie. Inganni. Sortilegi. Rivelazioni, Moretti & Vitali Editori, 2023, p. 13.

3 I sonetti a Orfeo, in Rainer Maria Rilke. Poesie 1907-1926 (a cura di Andreina Lavagetto), Giulio Einaudi editore, 2014, Parte seconda, XIV, p. 381.