Gli alberi maestri – Franca Mancinelli

La silloge Alberi maestri, compresa nel volume Tutti gli occhi che ho aperto (Marcos y Marcos, 2020 – premio Europa in versi 2021 e San Vito al Tagliamento 2022/023) offre un viaggio poetico attraverso temi universali come la natura, la crescita, la perdita e la rinascita, con un’attenzione particolare alla connessione tra l’essere umano e l’ambiente naturale. I versi, ricchi di immagini evocative e di simboli, invitano il lettore a riflettere sulla propria esistenza, sul ciclo della vita e sulla costante ricerca di significato. La lettura ci immerge in un viaggio contemplativo attraverso l’immagine degli alberi, metafore di esistenza, crescita e trasformazione. La raccolta si apre con la visione degli alberi che non riescono a «giungere a se stessi». Questa prospettiva iniziale sottolinea una realtà di frattura e di perdita, ma anche una possibile resilienza e rinascita. Gli alberi, testimoni silenziosi del tempo, custodiscono storie e memorie, rivelando un profondo legame con l’esperienza umana:

ogni giorno per il taglio utile
ricominciare, e mai giungere
a se stessi – spezzata la custodia
della nascita, niente
altro che filamenti buoni al fuoco.

Pur spezzati gli alberi mantengono infatti una vitalità che resiste; la loro presenza continua a influenzare l’ambiente circostante, e a contribuire in modo positivo all’ecosistema. Le poesie di Alberi maestri navigano tra la percezione della mortalità e la costante ricerca di significato. L’autrice osserva come «fanno un rumore secco / le cose che sono state vive», sottolineando il legame intrinseco tra morte e rinascita, in un ciclo perpetuo dove tutto ciò che muore lascia spazio a nuova vita. Il richiamo agli «occhi degli alberi», agli alberi stessi che osservano, vegliano e proteggono, sottolinea una connessione profonda e quasi mistica con la natura, che va oltre la mera coesistenza fisica per toccare la sfera dell’empatia e dell’introspezione. Il terzo testo di questa sequenza offre una visione di continuità e speranza: nonostante le perdite e le trasformazioni, siamo ancora sostenuti dai rami, metafore degli affetti e delle strutture che ci supportano nella vita:

quando tornerai a vedere, troverai ogni cosa sorretta dai rami. Non è accaduto niente. Siamo qui, su questa intelaiatura di foglie. A tratti un grido spalanca la gola. Perdiamo tepore. Allora si scuote, ci culla nel vento leggero.

Dando voce agli alberi, proiettandosi in loro, l’autrice può sentirsi parte di una rete di vita che supera l’individualità umana. In altri testi invece, il punto di vista è esterno:

ho visto gli occhi degli alberi

nel folto una scossa
di chiarore rimasto –a vegliarci
come fitta pioggia che aspetta.

Il primo verso suggerisce un’identificazione profonda in cui l’osservatore e l’osservato condividono momenti di intima connessione. La natura diventa un riflesso del sé, un luogo di ritrovo e di meditazione, un’entità viva da cui attingere forza e ispirazione. Il tema della visione è centrale in questo frammento, dove “vedere” diventa non solo osservare ma anche comprendere, sentire e vivere. Gli alberi, con i loro occhi immaginari, si trasformano in custodi di saggezza, osservatori silenti della vita che si svolge intorno e dentro di loro. La natura è al contempo minacciosa e protettiva, una custode che attende, dotata di pazienza e vigilanza.

Questi versi catturano magnificamente l’essenza della dualità tra luce e oscurità, tra presenza e assenza, una diade chiave nella poesia di Franca Mancinelli come lei stessa afferma in alcune interviste. Il «folto» evoca l’immagine di un bosco denso e impenetrabile, metafora delle complessità e delle sfide che caratterizzano l’esistenza umana. La «scossa di chiarore rimasto» può rappresentare quei momenti di illuminazione che emergono anche nei periodi più bui. L’immagine di questo chiarore che vigila mescola sapientemente la percezione visiva con quella uditiva e tattile, trasmettendo un senso di attesa carica di potenziale. La pioggia, spesso associata al rinnovamento e alla purificazione, è non ancora caduta, sospesa in un momento che promette trasformazione e crescita. C’è in questi versi una tensione tra l’imminenza e l’attualizzazione, tra il seme della possibilità e il suo sbocciare. La pioggia è personificata e la sua attesa assume un senso di imminente cambiamento o rivelazione; traspare la percezione di una natura attiva, quasi consapevole, che partecipa alla nostra vita e al nostro sviluppo, una forza guida, pronta a rigenerarci dopo periodi di oscurità. Sono versi che posseggono una qualità quasi magica, che attinge alla profonda spiritualità legata ai cicli della natura; alludono a temi universali di speranza, protezione e attesa di rinnovamento. In questi versi di Franca Mancinelli, l’albero è una presenza “maestra”, attraverso cui affiorano temi di radicamento e crescita, di perdita e di ritrovamento di sé:

ramifico secondo la luce
alberi maestri a spalancarmi il petto
con la forza che viene da un seme.

Si può leggere in questo frammento un richiamo all’immagine dell’albero rovesciato presente in molte culture, filosofie e religioni, oltre che nella tradizione letteraria. Con le radici protese verso il cielo e i rami verso la terra, l’albero rovesciato, rappresenta una connessione tra l’umano e il divino, tra il terrestre e il soprannaturale. Questa immagine evoca concetti di dualità, di equilibrio e di interconnessione tra il mondo fisico e quello spirituale. L’idea dell’uomo come albero rovesciato, è presente in Platone, nel Timeo, e suggerisce una visione cosmica dell’essere umano, con la propria natura divina e terrena che si intrecciano in modo armonioso. Nel Purgatorio di Dante, l’albero rovesciato rappresenta un simbolo di trasformazione, di rinascita e di ascensione verso il divino. Questa immagine rinvia a un viaggio interiore verso la redenzione e la purificazione, verso la luce e l’armonia con l’universo, è un simbolo di ricerca spirituale, di equilibrio tra opposti, di connessione con le dimensioni più elevate dell’esistenza. «Solo la luce che ininterrottamente discende dal cielo fornisce a un albero l’energia che fa penetrare a fondo nel terreno le possenti radici. In verità l’albero è radicato nel cielo.» (Simone Weil, La persona e il sacro).

Il testo successivo di Alberi maestri contiene l’immagine di una «forma amputata» che può simboleggiare le cicatrici lasciate dalla vita, ma anche la resilienza e la capacità di adattamento e rinnovamento dell’essere.

era inerte l’aria, percorsa da tremori e scosse. Bisognava ritrarsi, mettere in serbo la vita, sospingerla verso zone dove si aprivano sacche di quiete. Così sono cresciuto in questa forma amputata. La strada accanto puoi vedere in me come brucia.

Si passa, quindi, a versi che esplorano la tematica dell’identità ancora in formazione, dell’essere in attesa di definizione:

non è stato intagliato
non è ancora dentro un viso.
Quando prende parola
la sua presenza trema.

Il non essere «intagliato» e il non essere «dentro un viso» simboleggiano un’esistenza o un’essenza che non ha ancora trovato una forma concreta o un’espressione visibile, sottolineando uno stato di potenzialità pura, di essere non ancora manifestato o riconosciuto pienamente. L’atto del prendere parola provoca un’oscillazione, una trepidazione nell’essere. Ciò potrebbe interpretarsi come la vulnerabilità e l’esitazione che accompagnano i primi tentativi di affermazione di sé o di comunicazione della propria verità al mondo esterno. La “presenza che trema” appare come un segno di questa incertezza, ma anche della forza che risiede nella vulnerabilità, nel rivendicare uno spazio di esistenza e di espressione proprio.

Questi versi riflettono il processo universale di scoperta e definizione di sé, un tema centrale in Tutti gli occhi che ho aperto e in particolare nella sezione Alberi maestri; illustrano il momento delicato e carico di tensione in cui l’individuo si prepara a mostrare chi è, a mettere in luce la propria identità unica, ancora in fieri, pronta a essere scoperta e modellata dall’esperienza e dall’interazione con il mondo. Questo testo ci ricorda il valore e la bellezza insiti nel processo del divenire, nell’attraversare i cambiamenti della vita mantenendo la propria essenza tremante e piena di potenzialità.

Nella breve prosa successiva, l’introspezione conduce a una riconnessione con le proprie radici e con gli aspetti fondamentali della vita:

ho iniziato a curvarmi, a prendere la strada del ritorno. Vado incontro ai fratelli che premono – mie biforcazioni notturne.
La superficie si infrange nascendo – la sfioro. Il cielo ha l’odore della mia linfa. Ho circoscritto me stesso. La mia maestosa statura.

La curvatura indica un cambiamento di direzione, un atto di umiltà o di ascolto interiore che spinge il soggetto lirico a intraprendere «la strada del ritorno». Questo ritorno può essere inteso come un ritorno a se stessi, alla propria essenza. I «fratelli che premono» e le «biforcazioni notturne» evocano le diverse parti di sé con cui il soggetto deve confrontarsi o le diverse strade che la vita può prendere, spesso manifestandosi nelle ore più oscure, «notturne», della nostra esistenza; suggeriscono un conflitto interno o comunque decisioni difficili che hanno portato a divisioni o a momenti di riflessione profonda. “La superficie infranta” indica un momento di rivelazione o di nascita, un punto di svolta dove qualcosa di nuovo emerge, rompendo lo status quo. C’è una delicatezza nell’atto di “sfiorare” questa nuova realtà, che suggerisce una presa di coscienza cauta ma trasformativa. L’assimilazione del cielo che “ha l’odore della propria linfa” indica una fusione tra l’interno e l’esterno, tra il sé e l’universo. Nella conclusione di questa prosa, il soggetto lirico arriva a un’autoaffermazione e a una definizione di sé. Dopo il viaggio di introspezione e di ritorno, emerge un senso di comprensione e accettazione della propria «maestosa statura», suggerendo non soltanto una riconquista della propria dignità e forza ma anche un riconoscimento della propria integrità e del suo valore intrinseco.

I versi di Franca Mancinelli invitano il lettore a considerare la propria vita come parte di un tessuto più vasto, a riconoscere l’importanza dell’ascolto delle molteplici forme di vita che ci circondano, e ad abbracciare la nostra impermanenza e i nostri continui tentativi di equilibrio e di comprensione. Come gli alberi in sintonia con i cambiamenti dell’ambiente, anche noi siamo chiamati a una costante rinegoziazione della nostra posizione nel mondo, mantenendo una postura umile e aperta.

Il ricorrere di termini legati alla corporeità – come ramificazioni, petto, linfa, nuca – indica una profonda connessione fisica e spirituale tra gli alberi e l’io lirico che avviene tramite l’esperienza della perdita e della rigenerazione. Gli alberi diventano maestri nel senso più ampio: guide verso una comprensione più profonda dell’esistenza. Il percorso del poeta è un viaggio di ritorno, un movimento circolare di riscoperta e riunione con le radici e con l’essenza più autentica dell’essere. In questo viaggio, il concetto di casa si espande, comprendendo l’universo intero, dove ogni forma di vita è interconnessa e ogni separazione è apparente.

Il testo che segue si apre con questa immagine:

dai rami della specie
la nuca, una cima
in ascolto tentenna

Il primo verso stabilisce un legame intrinseco tra l’uomo e l’albero, metafora dell’evoluzione e della continua crescita e ramificazione dell’esistenza. La nuca rinvia alla cima dell’albero, delineando un asse che lega terra e cielo, materiale e spirituale. Parte esposta e non visibile direttamente da chi la possiede, la nuca, qui è un punto di forza, un vertice che si apre al mondo circostante e ne coglie gli influssi. Il terzo verso porta l’attenzione su una particolare attitudine ricevente: l’essere in ascolto suggerisce una ricezione attiva, un’apertura alle voci, ai segnali, alle vibrazioni del mondo. “Tentennare” porta una connotazione di instabilità e di continuo movimento, ricordando la nostra intrinseca incertezza e la bellezza della ricerca e dell’esplorazione. Questa immagine può evocare l’umano tentativo di comprensione e connessione con il mondo, con gli altri, e con la profondità della propria anima.

La progressione verso la realizzazione personale, la crescita oltre le avversità («in questa forma amputata») e la ricerca di uno scopo («La sua fiamma mi schiuderà le mani») denota una profonda riflessione sulla capacità umana di superare le proprie limitazioni. La poesia di Mancinelli si addentra nel riconoscimento della propria vulnerabilità, ma anche della propria forza interiore e della capacità di andare avanti, “prendendo la strada del ritorno”, nella bellezza della rinascita.

Il testo si chiude con un sentimento di unità in cui ciò che è stato perduto nutre nuova vita, in un eterno ritorno e rinnovamento:

tutto l’andare è tornare,
un fascio di legna raccolta.
La sua fiamma mi schiuderà le mani.

Il testo successivo contiene l’immagine centrale da cui prende il titolo l’intera raccolta:

Da qui partivano vie
respirando crescevo

nel crollo, qualcosa di dolce,
un incavo del tempo

tutti gli occhi che ho aperto
sono i rami che ho perso.

Il primo verso evoca un punto di origine, un inizio dal quale si diramano molteplici percorsi, sottolineando la natura dinamica della vita, con le sue opportunità e direzioni. «Respirando crescevo» esprime un processo di crescita organico e naturale, intimamente connesso al ritmo della vita stessa, come a sottolineare che attraverso l’atto essenziale del respirare – e quindi di vivere – avviene l’espansione dell’essere.

Il secondo distico introduce un contrasto sorprendente tra la distruzione e la dolcezza che può emergere. Questa dolcezza «nel crollo» potrebbe riferirsi alla saggezza, alla pace o a una presa di coscienza che si attua solo attraverso la perdita e il fallimento; un’esperienza trasformativa che lascia un’impronta indelebile nel tempo, un «incavo» che segna profondamente l’esistenza.

La poesia si chiude con un’affermazione carica di malinconia e di bellezza. «Tutti gli occhi che ho aperto» fa pensare alle innumerevoli prospettive e conoscenze che abbiamo guadagnato lungo il cammino, ma ogni acquisizione è accompagnata dalla perdita di «rami», delle potenzialità, delle relazioni, delle opportunità che sono state lasciate indietro o sacrificate. C’è un bilanciamento profondo, quasi un accordo tacito del vivere: per ogni nuova visione, un pezzo del nostro essere viene modificato e abbandonato.

Il filosofo Bataille ha affrontato la questione della dinamica fra conservazione e perdita. Perdere qualcosa consente di creare altre possibilità, da cui la fecondità della dissoluzione. Conosco chi non avrebbe mai voluto perdere tutti i suoi risparmi in Borsa, ma questo, nel gettarlo nello sconforto più totale, gli ha dato anche l’occasione per riprendere la sua vita da un’altra prospettiva, in un certo senso rinascere. Come chi ha perso un amore per trovare a fatica quel baricentro che altrimenti sembrava perduto. E potremmo proseguire all’infinito. Sacrificare quel che viene perduto, renderlo sacro, consente la comunicazione fra questi due mondi della conservazione e della perdita. Il sacrificio improduttivo ci apre uno sguardo verso l’eternità. Altro è lo spreco, a partire da quello economico, dei tempi moderni, dove la perdita è sempre in vista del benessere e dei guadagni…

In questi versi di Franca Mancinelli si legge un invito a un cambio di paradigma, alla riscoperta del dono, del senso antico della perdita. L’albero mostra che quelle amputazioni, quei rami troncati hanno prodotto degli «occhi», una consapevolezza, uno sguardo aperto verso l’esterno che prima non era possibile. In sostanza, non tutto quel che si perde è perduto… Anche la poesia, in fondo, è un aprire gli occhi e guidare lo sguardo, come fa l’albero che è anche una metafora del patrimonio immateriale dei poeti che ci hanno preceduto.

Questo testo mostra con intensa liricità come la vita sia un flusso continuo tra guadagno e perdita, crescita e rinuncia. Occorre accettare la perdita come parte integrante dell’esistenza, non solo come momento di dolore ma anche come occasione di riflessione, maturazione, e scoperta di una dolcezza nascosta proprio nei momenti di «crollo».

La silloge Alberi maestri si conclude con un’intensa immersione nell’esperienza della vita, simboleggiata dalla pioggia e dall’avventurarsi in un bosco:

entro nella pioggia come in un bosco
– ali fittamente intessute
aperte e richiuse sotto la scorza.
Cammino, la nuca protetta
dai miei custodi, liberato lo sguardo
dalla gabbia degli occhi.

La natura emerge in questi versi come spazio di scoperta interiore ed esplorazione della complessità delle esperienze emotive e sensoriali, abbracciando la pienezza della vita con curiosità e coraggio. Le ali intessute strettamente, sono immagine di una protezione che è insieme fragilità e forza; possono alludere alle esperienze, ai legami e alle conoscenze acquisite nel tempo, che si offrono come uno strato protettivo o come una guida. La scorza può essere metafora della pelle, dell’armatura esterna che protegge l’individuo; è confine tra sé e il mondo esterno, un confine che può aprirsi e chiudersi. Gli “alberi custodi” offrono sostegno, sicurezza e fiducia nel cammino.

L’immagine dei due versi conclusivi rinvia a una liberazione dalle restrizioni imposte dalla visione puramente fisica o da preconcetti e limitazioni mentali. Questi versi sottolineano l’importanza di superare i filtri attraverso cui normalmente si guarda il mondo, per abbracciare una comprensione più ampia, profonda e intuitiva dell’esistenza.

Tutti gli occhi che ho aperto è stato tradotto in inglese da John Taylor e pubblicato nel 2023 per Black Square Editions di New York con il titolo All the Eyes that I have Opened. Come si evince dal dialogo fra la poetessa e il suo traduttore, apparso in inglese sulla rivista «Hopscotch Translation», l’albero maestro è anche quello che, nelle imbarcazioni a vela, svetta e resiste al vento e alle intemperie. Se rileggiamo la silloge alla luce di questa immagine, possiamo considerare gli alberi come pilastri fondamentali che conferiscono forza e orientamento nell’esistenza. Come l’albero maestro che resiste alle intemperie e offre un punto di riferimento, così questi alberi rappresentano elementi di stabilità, fonti di saggezza e di forza interiore che ci guidano nel percorso di crescita e di auto-scoperta.

Ad esempio, il frammento ramifico secondo la luce si potrebbe leggere come il nutrimento e la crescita derivanti da una base solida e da un’essenza profonda, che incoraggiano lo sviluppo e il rigoglio personale. Lo “scuotere e cullare nel vento leggero” potrebbe alludere alla flessibilità che l’albero maestro deve avere nelle intemperie, una lezione che possiamo applicare anche alla nostra vita, dove la resilienza e la capacità di piegarsi senza spezzarsi sono qualità vitali.

Dal dialogo tra Franca Mancinelli e il suo traduttore emerge un ulteriore significato legato alla silloge Alberi maestri. L’autrice, che nella sua adolescenza si è sentita a tratti ai margini, si identifica con gli alberi, attraverso una profonda connessione con la natura, che spesso può rivelarsi più autentica e accogliente rispetto al mondo degli umani. Gli alberi, con la loro presenza e con il loro radicamento profondo, offrono un rifugio e un punto di riferimento per l’autrice. In questo contesto, la poesia diventa un mezzo attraverso il quale la poetessa può esplorare il suo senso di separazione dal mondo e al contempo celebrare la bellezza e la profondità dell’esperienza umana. Gli alberi, con la loro essenza silenziosa, sono un’immagine dell’equilibrio tra il vivere in solitudine e la ricerca di una connessione autentica con il mondo. Il tema della marginalità e del senso di appartenenza cercato nella natura risuona con una tradizione che vede nel poeta una figura visionaria e inquieta, capace di interpretare e di trasmettere le sfumature più profonde dell’esistenza umana, come in modo felice riesce in questa silloge a Franca Mancinelli.

Maurizio Lancellotti