Esseri umani – Alessandro Fo


Esseri umani, Alessandro Fo (L’arcolaio, Collana Φ, diretta da Gianluca D’Andrea e Diego Conticello, 2018)

Se ogni poeta si riconosce nei motivi, persino nelle ossessioni, che lo spingono a scrivere, le opere non fanno che tracciare borgesianamente i tratti del suo volto, la sua posizione nel mondo. Arricchito da un’introduzione firmata da Dario Ceccherini, il libro Esseri umani (L’arcolaio, 2018) di Alessandro Fo condensa i caratteri e soprattutto gli intenti della sua poetica, inscindibili dalla sua persona: da un lato nominare il male e schierarsi dalla parte delle vittime, dall’altro posare lo sguardo sulle esistenze minime e intessere una narrazione commossa, benché amara, della fragilità umana.

Il libro compone in pochi testi uno scenario di episodi emblematici secondo una struttura circolare. Si apre con la poesia Fuori Monaco, che descrive una visita al campo di concentramento di Dachau, luogo per antonomasia delle massime atrocità, ma “qualcosa ha congelato / come in un museo le enormità / che segnarono il luogo”, fino allo straniamento che si prova nella ressa per salire sul pullman di ritorno, immagine rovesciata e agra di tutt’altra partenza.

Nei testi si affrontano temi ‘civili’ attraverso situazioni concrete ed esemplari, sempre rifuggendo i luoghi comuni della retorica e l’apparato di demagogia e ipocrisia di cui è imbevuta la comunicazione corrente. Il valore della scrittura come strumento della memoria è un elemento cardine di questa poesia. Fo si premura di far rilucere i sentimenti che accomunano gli individui nella fragilità e nella solitudine, nel dolore e nell’esclusione. Come nelle Tre poesie per Edda Laghi Corrieri, tre scansioni del dialogo con un’anziana signora in una casa di riposo. Con pochi tocchi e a piccole frasi emergono l’isolamento, il senso d’inutilità e il declino della vecchiaia, ma anche la delicatezza e l’ironia degli interlocutori: “«Faccia la brava, allora, e non si scordi / di me»… «Ma noo, che cosa va a pensare? / Lei è troppo lungo per dimenticarla»”.

Le frasi riprodotte e le parentesi riflessive si alternano con lo scopo di far emergere una verità (o un’intuizione di verità) che resterà incisa in chi scrive e in chi legge. Con un tono discreto ed elegante, eppure deciso, il soggetto poetico è sempre presente, ora come osservatore, ora come coprotagonista di una relazione. La vita di ciascuno è un susseguirsi di minimi incontri. Potrebbe capitarci di essere una delle “infinite persone / che un caso ha posto di fronte allo splendore, / ferendole per sempre.” (Minimi incontri). Anche la fantasia di rifugiarsi a Parigi e salvarsi agevolmente la vita, tra la sua magnificenza e le sue librerie, sembra possedere lo stesso fulgore degli incontri memorabili.

Torna la concezione della poesia come traccia per contrastare la dimenticanza, tanto più irreparabile quando si tratta di vite irrisorie, appena visibili, come la figura di Felicina, una vecchina morta in un incidente e scordata perfino dal prete: “Per breve tempo qualcosa di lei dura, / […] / in qualcun altro, per caso inciampato / fra questi versi.” (Opere ed omissioni). Nulla si può contro la fugacità di ogni esistenza, che si mostri ammantata di fama e splendore, come quella di Marilyn Monroe, o posticcia e sgualcita come nel caso della sua sosia Kay Kent (nella poesia eponima). Entrambe infelici e destinate a una fine precoce e solitaria. E allora che fare? Almeno per un po’ confidare nell’immaginazione e nell’ironia, “e vivere soltanto di poesia. // La sera, andando a letto, / solo due gocce di versi. E dormire.” (Lettera da Firenze).

La leggerezza del verso è solo una breve tregua prima del sopravvento della realtà, degli eventi che opprimono per eccesso di crudeltà. Il ciclo della raccolta si compie con il testo Esseri umani (da cui il titolo del libro), una sorta di invettiva/repertorio delle nefandezze e delle violenze inflitte dagli uomini ai propri simili, che si lega al tema iniziale dell’Olocausto con la data simbolica del 27 gennaio riportata in calce. Qui la necessità di elencare le forme del male è perentoria, e si imprime nel distico finale che unisce Dante e Primo Levi, una invocazione corale a non dimenticare: “considerate la vostra semenza, / considerate se questo è un uomo”.

Daniela Pericone

 
 
 
 
Fuori Monaco
 
Visitando il Lager di Dachau
una mattina di pioggia
(come ci appare giusto),
qualcosa ha congelato
come in un museo le enormità
che segnarono il luogo.
 
Tutto è silenzio e incredibile pace,
dove aguzzini e cani macinarono
persone come noi.
 
Ma noi, sotto l’ombrello,
nel freddo, noi con fotocamere e audioguide,
siamo turisti,
se pur disorientati.
Venuti qui forse a rendere omaggio,
a fare meno vaga la memoria,
trarre incentivo a insistere
nel denunciare un male
che ora da qui sembra avere sloggiato,
subdolamente lasciando di sé
un ricordo annacquato,
disciplinato, sottomodulato,
fra i grandi alberi, i viali ordinati,
il verde, le garitte, i memoriali
del grande inferno ingoiato dalla Storia.
 
Poi ci accalchiamo alla fermata, preoccupati
che il bus di linea non ci carichi tutti,
pronti a saltarci sopra ad ogni costo,
anche passando davanti a qualcuno.
 
 
 
 
 
 
Tre poesie per Edda Laghi Corrieri
 
1. Casa di riposo «Il Balcone»
 
«È questa solitudine» (piangendo)
«… Non la si vince, professosre… Non…
Non la si vince…»
 
(Più tardi invece) «E questa solitudine
si vince anche… Che vuole, si prende
quello che viene…
                          E anche la si vince…
Ma è
          (piangendo)
                che non ho notizie…
ormai non so più niente di nessuno…
Cosa sarà di loro?
Ormai i miei genitori sono anziani…
Io ho già compiuto e passato i novanta»…
 
Un’altra novantenne in corridoio
si culla stretto al petto
il bambolotto in cui vede un neonato.
 
 
 
 
2. Nuovamente al «Balcone» (di vedetta)
 
«… Sì, è un po’ noioso… Ma lei qui ha il suo angolo,
questa bella finestra, col giardino»…
«… Che vuole… Osservo
quel che fanno gli uccelli,
dal primo filo con cui formano il nido…
 
Lo scorso anno un giorno dei ragazzi
che si arrampicavano sugli alberi,
hanno finito per romperne i rami…
 
Sto di guardia quasi tutto il giorno.
Ora, da quando ci sono qui io
non è successo più.
 
Non restano che minime mansioni»…
 
 
 
 
3. Di ritorno al «Balcone»
 
«Come, non è domenica?
E che mese sarà?…
                    Forse qualcosa…
come dicembre?…»
 
(ma oggi è martedì 21 aprile).
 
«Faccia la brava, allora, e non si scordi
di me»… «Ma noo, che cosa va a pensare?
Lei è troppo lungo per dimenticarla».
 
 
 
 
 
 
Esseri umani 
 
Voi, che in alto mare o a cento metri da riva
gettate in acqua i profughi a affogare,
voi che li rapinate del poco rimasto,
lì, ancora a bordo, o con decreto di Stato
(perché rimborsino così l’assistenza),
voi che li chiudete sui treni, che al confine
li bloccate per mesi, che innalzate muri
e reticolati, e voi che ne acciuffate centomila,
giunti – fra guerre, viaggi, fame e centomila
pericoli – e li rimpatriate sui charter,
voi, che vi fate esplodere nei mercati,
o preferite invece imbottire di tritolo
ragazzini innocenti,
voi che bombardate a tappeto,
(e qualche volta – ma chiediamo scusa –
perfino, per errore, gli ospedali)
voi che demolite le case dei vostri oppositori,
voi che radete al suolo città vive
e città monumento (impiccandone i custodi),
o, perché no, la foresta amazzonica,
voi che sparate nei locali sugli inermi,
e voi inventori dei desaparecidos,
dei voli della morte,
voi che rapite, odiate, mozzate
mani, piedi, nasi, orecchie, sessi,
strappate occhi, unghie, lingue e denti,
tagliate teste, filmate, proclamate,
– meglio in nome di Dio, per dare un senso –,
voi che, in nome della giustizia
eseguite condanne a morte,
che trucidate suore e missionari,
cooperanti e volontari,
voi che incendiate prigionieri in gabbia,
che vi schiantate con gli aerei sui palazzi,
che riducete in schiavitù i bambini,
che ne abusate o ne vendete il corpo,
o li gettate dall’ultimo piano,
voi che sparate all’impazzata
in una scuola o in un campus,
che seppellite vivi, che profanate tombe,
voi che create campi segreti
di lavoro e sterminio,
e date corso a aborti programmati,
voi trafficanti di droga, di armi, di organi,
di rifiuti tossici, di cibi avariati,
voi che operate la tratta delle donne,
voi che sfruttate, estorcete, raggirate,
voi bulli, voi ricattatori,
voi che strozzate popoli e nazioni
col debito, voi
che conculcate libertà e istruzione,
e voi che sopra sfoggiate parate,
e sottoterra testate l’atomica,
vivisettori, e voi che costringete
gli orsi sdraiati in gabbie su misura
o che inchiodate i piedi delle oche
per lucrarne fegati più grassi,
che sterminate foche, balene, visoni,
voi che inquinate,
che date fuoco ai gatti, perché correndo impazziti
appicchino ai boschi gli incendi dolosi,
voi che date fuoco ai barboni,
voi stalkers, baby-gangs, ultràs, e hooligans
che circondate una mendicante a terra e le orinate addosso,
voi satanisti, voi squadristi e neonazisti,
voi revisionisti e negazionisti,
voi che perseguitate razze e orientamenti
diversi di pensiero o di sesso,
voi che picchiate la moglie e i figli,
che trucidate madre, padre, moglie, figli,
chiunque, per gelosia, un insulto, quattro soldi,
un sorpasso, un posteggio, una squadra di calcio,
che maltrattate gli anziani e i disabili,
percuotete i dementi, trascurate i malati,
li sopprimete a tradimento in ospedale,
o vi fate, a scherno, un selfie col cadavere.
voi che per denaro operate chi è sano,
voi che abbandonate bambini e animali,
voi che torturate gli inermi,
che rinchiudete nel buco di una cella
ingiustamente (o giustamente, con giustizia
dai modi ingiusti), voi ‘giusti’
che impunemente picchiate i prigionieri,
che con viltà infierite su chi è debole
o privo di risorse, e che ridete
sulla sventura altrui e sul dolore,
considerate la vostra semenza,
considerate se questo è un uomo.
 
27 gennaio