Espiare con la cura della minuzia creaturale – Laura Liberale

 
 
Hai tagliato i capelli
rinunciato a blandire l’aria
con le volute bionde della testa.
Ti sei capovolta in crescita inferiore
sotterranea.
Dalla pianta dei piedi i bulbi gettano.
Radici che si allungano a succhiare
la durevole cheratina dei morti.
 
 
 
 
 
 
Ci assedieranno i fianchi prosciugati
mai orbitando al di sopra dello sterno.
Sbatteranno ancora e ancora contro il pube
api di pura volontà
ogni volta cercando, nel miele di un nuovo coito,
la disponibilità della nostra carne.
 
 
 
 
 
 
Il nido dello svasso che proteggi nel canneto
l’ape che si dibatte in acqua, sollevata ad asciugare
la formica sviata fuori con il miele
la lumaca nutrita a foglie e, prima ancora
i fiori al cimitero, raddrizzati dopo il temporale.
Presagire la colpa nella morte
espiare con la cura della minuzia creaturale.
 
 
 
 
 
 
(Laura Liberale, La disponibilità della nostra carne, Oèdipus, 2017)
 
 

La formazione di Laura Liberale (Dottorato di Ricerca in Studi Indologici presso l’Università La Sapienza di Roma e Master in Death Studies & the End of Life presso l’Università di Padova) ha favorito, nei suoi testi, un approccio diretto ed essenziale verso il nucleo dell’esperienza della fine, senza filtri o edulcorazioni di sorta, che inchioda il lettore di fronte alla maestà insuperabile della finitezza della vita, e alla vita stessa, nella sua essenza più tremenda.

Anche in questi testi, in particolare, il rapporto tra vita e morte è strettissimo e delineato con un’agghiacciante consapevolezza, da un lato, e una millimetrica premura per la fragilità dell’esistere, dall’altro.

Nel primo testo si intreccia il rapporto tra vivi e morti, attraverso il tema dei capelli, che l’io del testo taglia, “rinunciando a blandire l’aria / con le volute bionde della testa”. L’operazione, naturalmente simbolica, viene immediatamente collocata in un capovolgimento, un’attenzione specifica all’oltre, una “crescita inferiore / sotterranea”. E la parte del corpo che viene recisa, separandosene, diventa un punto di contatto con i defunti, con l’inorganico, pur conservando la vitalità del corpo di origine, diventando “radici che si allungano a succhiare / la durevole cheratina dei morti”. Il riferimento alla cheratina mostra la natura materica della morte, il ritorno a una dimensione incosciente, eppure durevole, in opposizione a quella provvisoria della vita.

Nel secondo testo l’attenzione al vivere, in particolar modo con un focus sulla fisicità, sul desiderio, sul lato più irragionevole e istintuale, assume dei connotati forse ancora più tremendi: le “api di pura volontà”, la cui puntura spinge a soddisfare i nostri impulsi naturali, “ci assedieranno i fianchi prosciugati / mai orbitando al di sopra dello sterno” – tracciando una separazione netta tra corpo – sangue, e ragione. E questi piccoli insetti, precisi, “nel miele di un nuovo coito” continueranno a cercare, finché avremo un corpo e una coscienza umana, “la disponibilità della nostra carne”. In questa immagine la condizione e la debolezza dell’esistere, al di là di ogni schermatura intellettuale e velo di controllo razionale, viene rappresentata con terribile efficacia.

Il rapporto con l’oltrevita, la consapevolezza della finitezza mortale, non sono però ragione di ansia esistenziale, né di un abbandono a un nichilismo spregiudicato e negativo, ma al contrario – e questo diventa evidente nel testo finale – diventa un’assunzione di responsabilità nei confronti di ogni creatura, e soprattutto di quelle più deboli e indifese, più esposte al rischio biologico. “Presagire la colpa nella morte” che la natura può infliggerci, e che l’uomo è in grado di spargere ad ogni altro essere vivente, trascurandone il valore, diventa occasione per soffermarsi sulla loro esistenza: e dunque proteggere un nido, salvare un’ape, nutrire formiche e lumache, e infine (e qui torna un richiamo alla morte), curare anche i fiori in un cimitero “dopo il temporale”.

Poter salvare o proteggere queste creature, e non farlo – questo è la colpa nella morte.

Di tale colpa l’uomo si può fare interamente carico, grazie alla propria consapevolezza prima intellettuale, e successivamente fisica, realizzando un’espiazione finale e liberatoria, in vita, attraverso “la cura della minuzia creaturale”: l’attenzione a ciò che è minimo, nascosto, e alla vita in tutta la sua fragilità.

In questo modo la coscienza della fine diventa cura e riverenza del suo mistero, trasfigurando in un gesto di premura assoluta verso ogni minima manifestazione di quell’eccezione microscopica e preziosa che è il vivere.

 

Mario Famularo