Elio Fiore (1935-2014), L’opera poetica, a cura di Silvia Cavalli, prefazione di Alessandro Zaccuri, edizioni Ares, ha avuto la prima recensione da Cesare Cavalleri, che ora lo pubblica nelle edizioni Ares. Seguiamo il saggio introduttivo di Alessandro Zaccuri, che conosceva bene il poeta, ordinato per capitoli.
- Elio, vivo era la firma di Elio con cui si concludeva ogni messaggio, anche breve. Scriveva in un corsivo quasi pittorico, amava le plaquette realizzate da Scheiwiller prima e poi da Tallone. Era per lui una ragione di vanto. L’angolo riservato alla scrittura era sempre pulito, illuminato bene.
- Con Elio, vivo desiderava testimoniare la resurrezione: i biglietti continuavano ad arrivare, dopo la morte, con la dicitura Elio vivo.
- I suoi versi rientrano in automitobiografia. Altrove, per un romanzo, si firmava Johannes: “Come l’apostolo, come il veggente di Patmos”.
- La poesia di Elio è da subito poesia schietta, lineare, nutrita dall’ammirazione per i grandi della letteratura e affidata a un gergo domestico, pressoché dimesso.
- Grazie a Ungaretti, che lo stimava, Elio Fiore finisce all’Olivetti ma nelle mansioni di lavoratore ai primi elaboratori elettronici, chiamati “cervelloni”. Ida Boni testimoniava che il poeta, come Pasternak, era alto, snello, occhi azzurri.
- Il poeta si sentiva l’erede di Leopardi. Era divenuto anche amico di Montale, alla cui morte Elio ricevette in dono il bel cappotto.
- Nel 1959 bussò alla porta di Camillo Sbarbaro. Elio aveva molti amici: Ungaretti, Luzi, Bertolucci, Rafael Alberti, Liliana Cavani, Giosetta Fioroni. Leggeva la Bibbia e Dante.
- Elio vivacchia, con bollette telefoniche enormi, in cui spende il suo onorario.
- Sbugiardò, in pubblico, Enzo Siciliano che non aveva ammesso di ammirare Pasolini.
- “Tutto quello che contava” – scrive Alessandro Zaccuri – “era racchiuso in quelle due parole, Elio, vivo”.
Pierangela Rossi
Il semplice segreto dell’amore
Il semplice segreto dell’amore
intende i colori cupi le ansie
in noi profonde orbite, le ansie
occhi nei nostri occhi di gioia di morte
intense presenze non apparenze, segnate per tutti.
(da dialogo decimonono)
Non saprai mai quanto ti amo
Non saprai mai quanto ti amo
troppo l’occhio sfiora intensamente,
e le labbra baciano fresche
i giorni in me compiuti,
che mai non furono, mai saranno.
Di questa vita mi rimarrà
amore un sorriso, prenderò fra l’erba
una spiga non colta… la fascia bianca
…………………………………………………….
della luna fino alla luce dell’alba.
Tu non saprai mai quanto ti amo
Distratta nel cercarmi amore in altro volto.
(dal dialogo ventesimo primo)
Con pochi scarti di lamiere forate
Con pochi scarti di maniere forate,
per i tasti delle parole da ricostruire,
sul piano di lavoro ho modellato un presepio
per i miei amici. Oltre le vetrate gli astri
sono quelli di Virgilio, di Sibilla e di Pergolesi,
nel purissimo azzurro di Leopardi. Si sono formate,
nell’intervallo, rapide le figure sacre e nella vigna
che abbraccia la fabbrica, ho còlto una rosa gialla:
luce nella lotta operaia, scarti forati con pazienza,
tocco di armonia che forgia nel dolore la speranza.
Arco Felice, 1964
Ho tutto nel mio pugno
Ho tutto nel mio pugno.
Soffio di vita e morte nella gola.
Il mio sandalo è sciolto
il sangue esce dalle unghie scarnificate.
La mia testa è massacrata.
La mia schiena è spezzata.
Riesco appena a rammentare:
“Guardati dalla dissimulazione nella parola”.
È maggio, soffio di vita,
rantolo nella primavera.
Maggio 1968
Joyce, io e te
Joyce, io e te, nessun altro,
suoneremo le trombe finali del giudizio,
e i profeti del tempo ci azzanneranno
ancora, vedendoci camminare con Cristo
oltre il tempo e la musica infinita.
A Zurigo, sulla tua pietra, vidi nel sole
uno scoiattolo danzare sul tuo nome inciso,
famoso dal tempo dei gesuiti al Trinity College.
Qui, non è Trieste, e le schede da compilare
sono per libri di lingue morte, scavi biblici
senza vere voci di profeti chiamati. Solo nel ghetto
rinasce la parola e la gioia di altre opere.
Solo in quei dedali antichi ritrovo l’azzurra
luce di Saba e le azioni di Ulisse, occhi e voci
e commerci di una Storia viva e implacabile.
1972- 1976
Dall’azzurro ancora le rose fiorite
Dall’azzurro ancora le rose fiorite
nello squarcio d’infinito che mi è dato,
tra le antenne polverose, tra i fili corrosi
che gocciolano candidi vestiti, la costante
presenza della vita. E poi altro. Sbarre,
vicoli e meandri, frecce che racchiudono
nel buio di cantine, misteri, il futuro
di un orrendo passato. Anche lassù, vedo
nello squarcio d’infinito che mi è caro,
rose bianche tra le pietre antiche di un balcone,
che il vento puntuale d’Israele, qui ha seminate.
Le rose del deserto, ancora bianche, insanguinate.
Maggio- giugno 1973