Eleonora Finkelstein (Argentina) – ita/espa


 
 
Leggera sulla terra
 
Adesso quella che viaggia sono io.
E viaggio lontano: per lo spazio e per il tempo,
come dicevano gli eroi della mia infanzia.
Fino al punto in cui il calore mi spezza i nervi.
Tutta vestita di bianco con roba leggera
e di nuovo i piedi sporchi, così sporchi
che non sembrano i miei piedi.
 
Bianco sul bianco penso e sorrido.
Nero su bianco, penso e sorrido di nuovo.
Sembro una vergine di gesso, un fantasma.
È possibile che alcuni di quelli che passano
cadano in ginocchio davanti a me.
Che fastidio, dopo tanti secoli,
non poter compiere nessun desiderio.
 
Mi bruciano gli occhi per la terra e il sole.
Bruciano in nome di tutti questi anni
di umidità e freddo.
E non è così meravigliosa la storia
adesso che tocca a me. Sta per succedere,
è il momento in cui il mondano impone il suo potere:
la sete, la fame, il dolore
le cose che ci bruciano.
Che voglie possono restare
di mettersi a guardare il paesaggio?
 
Quasi vorrei essere quella vergine di gesso,
per risolvere tutto. Ma non riesco
ad essere così solida, così estatica, così lucida.
Dovrei vivere un milione di altre vite
per essere la statua che sembro.
Anche se preferisco non camminare rapido
o restare ferma. Non riesco
perché ad ogni movimento
il sole entra nella mia carne e mi secca.
 
Che cosa potrei fare solo con questa roba bianca
e la testa coperta?
Come potrei difendermi
solo con le mani?
L’ho già detto: non guarderò questo paesaggio.
Forse, potrei aprire le braccia e volare.
Perché nonostante tutto mi sento così leggera:
appena 500 grammi di roba bianca
e questo corpo piccolo, con i piedi neri,
scalzi. Dei piedi sulla terra.
Proprio qui
dove adesso, al solo pensarlo
quasi ondeggio sulle cose.
Perché allora sarei
così pesante nell’aria? Non lo credo:
se non sono nessuno, nessuna.
Appena stringo dei fiori nelle mani,
ma questo non mi fa più buona.
È ora che lo sappiate.
Alzatevi in questo momento dal suolo
e vi prometto che non farò miracoli.
E pregherò per voi.
come me lo avete chiesto tante volte.
 
 
 
 
 
 
Liviana en la tierra
 
Ahora la que viaja soy yo.
Y viajo lejos: por el espacio y por el tiempo,
como decían mis héroes de la infancia.
Hasta donde el calor me destroza los nervios.
Toda vestida de blanco, con ropa liviana
y de nuevo los pies sucios, tan sucios
que no parecen mis pies.
 
Blanco sobre blanco pienso y sonrío.
Negro sobre blanco, pienso y sonrío otra vez.
Parezco una virgen de yeso, un fantasma.
Puede que algunos de los que pasan
caigan de rodillas frente a mí.
Qué incómodo, después de tantos siglos,
no poder cumplir ningún deseo.
 
Me arden los ojos por la tierra y el sol.
Arden en nombre de todos estos años
de humedad y de frío.
Y no es tan maravillosa la historia
ahora que me toca a mí. Está sucediendo,
Es el momento en que lo mundano impone su dominio:
la sed, el hambre, el dolor
las cosas que nos queman.
¿Qué ganas pueden quedar
de ponerse a mirar el paisaje?
 
Casi querría ser esa virgen de yeso,
para solucionarlo todo. Pero no alcanzo
a ser tan sólida, tan estática, tan lúcida.
Tendría que vivir un millón de vidas más
para ser la estatua que parezco.
Aunque prefiera no andar rápido
o quedarme quieta. No alcanza
porque a cada movimiento
el sol entra en mi carne y me diseca.
 
¿Qué podría hacer solo con esta ropa blanca
y la cabeza cubierta?
¿Cómo podría defenderme
nada más que con las manos?
Ya lo dije: no voy a mirar este paisaje.
Quizás, podría abrir los brazos y volar.
Porque a pesar de todo me siento tan liviana:
apenas 500 gramos de ropa blanca
y este cuerpo pequeño, con los pies negros,
descalzos. Unos pies sobre la tierra.
 
Aquí mismo
donde ahora, de solo pensarlo
casi estoy flotando sobre las cosas.
¿Porqué sería entonces
tan pesada en el aire? No lo creo:
si no soy nadie, ninguna.
Apenas tengo unas flores en las manos,
pero eso no me hace más buena.
 
Es hora de que lo sepan.
Levántense ahora mismo del suelo
y les prometo que no haré más milagros.
Y rogaré por ustedes,
como me lo han pedido tantas veces.
 
 
Traduzione di Antonio Nazzaro