Antologia di poesia femminile americana contemporanea


Antologia di poesia femminile americana contemporanea, AAVV (Ensemble 2018, a cura di Alessandra Bava)

Di per sé è significativo aggiornarsi sulla situazione in cui versa il panorama poetico contemporaneo di un Paese influente e che dovrebbe incarnare al meglio il simbolo della Libertà, oggi più di ieri e domani più che mai. Un Paese geograficamente molto esteso, come gli Stati Uniti d’America, caratterizzato da una società multietnica, viene percosso da evidenti dissonanze che vibrano in un rigurgito poetico dirompente e aperto, che frantuma gli schemi ed i luoghi comuni della poesia attraverso una polifonia di voci; su tutte spicca maggiormente la voce femminile. Tredici donne – a immagine e somiglianza del firmamento che riluce sulla bandiera americana – sono proposte nella “Antologia di poesia femminile americana contemporanea” (Ensemble, 2018) curata dalla traduttrice Alessandra Bava.

La bandiera statunitense, costellata da tredici poetesse, è possibile immaginarla come una sorta di pentagramma linguistico sul quale ogni nota è in sintonia con ogni parola. Una sinfonia che deve abbastanza al sottofondo da cui trae spinta (Walt Whitman, Nina Simone). Più o meno tutti i testi figurano sfacciati, indirizzati a sottolineare la prepotenza del mondo affrontando temi politici e sociali in una forma a volte narrativa altre spezzata, a singhiozzo, come a significare un pianto, un dolore nel dire. Un dolore emanato da parole semplici che si rende udibile anche alle masse. Si tratta di un dolore che pulsa sempre in un luogo domestico più che urbano. Un dolore che si fa strada fra le righe, fra le stelle, fra le donne che subiscono violenza fisica e verbale, straripa nei social network fino a detonare nei versi scoppiettanti del testo Inezie di Mahogany L. Browne.

L’autrice non fa altro che domandarsi un proiettile che cosa sia. Il proiettile è sineddoche dell’arma che ne usufruisce, in questa direzione è una denuncia della violenza, delle armi; è uno strumento fallace che rappresenta il crollo delle certezze. Nel testo che apre la raccolta, Litania, Browne canta la difficoltà quotidiana che ingabbia ogni senso di libertà; si parla di “gentrificazione”, aiuti finanziari, sussidi alimentari e di ciò che non si può scegliere di essere (oggi sono una donna/ nera,/ un corpo di carbone/ brucio sempre/ & nessuno conosce il mio nome/ sono furia senza nome/ sono una gola graffiata dal blues/ […] che sogna una libertà/ […] sono troppo incantata da quanto appaio bella/ in fiamme). Mahogany condensa l’amore nella memoria, in scatti sonori riprodotti nella forma di versi frammentati che associano il cuore di una donna che si spezza alla punta di un giradischi che salta. Inutile dire che il sottofondo musicale, blues, jazz o rap, in particolare è considerato dalle autrici necessario. Questa antologia dovrebbe essere letta e ascoltata, perché riproduce una colonna sonora carica di significato – spesso erotica. Mahogany in un’intervista su «Up the Straircase Quarterly» racconta: «Ogni momento della mia vita è circondato dalla musica. Anche se si tratta del rumore del frigo, il sibilo del radiatore, una pipetta di vetro che si rompe, il suono di un pugno contro la pelle».

In Anni di preoccupazione Wendy Xu ha preparato “valigie/ buone per qualcosa di meglio/ del telefono” in cui invoca la novità di quello che ritiene essere un “urgente/ genere di conoscenza”; la poesia di Xu è un infuso in cui si mescolano espressioni cinesi che non osservano un equivalente in inglese. Incredibilmente, quello che si presenta come un limite si presta a diventare un punto di forza, uno sfogo, una liberatoria evasione suggerita alla creatività di Wendy dalle influenze surrealiste.

Nei testi di Patricia Smith ha un impatto sorprendente il rapporto che le donne (di colore e non) conducono con il cibo, mentre gli spazi domestici sono resi attraverso artifici schematici e narrativi che approdano ad effetti grotteschi in Quando avvertite odore di bruciato, scritta (a mo’ di ricettario culinario) in onore del defunto padre dell’autrice.

Significativo è il testo Red Velvet di Nikky Finney, autrice che meglio coniuga denuncia sociale e politica all’interno di un dire poetico legato alla corporalità. Nei versi di Finney compare un Trump che teatralmente si inserisce in una fragile Casa Bianca di cartapesta. Finney approfondisce la nota storia di Rosa Parks con gusto affine a quello di una sceneggiatura in miniatura. Il 1º dicembre 1955, a Montgomery, Rosa stava tornando a casa in autobus, dopo il lavoro (di sarta), quando, non trovando altri posti liberi sul mezzo di trasporto, occupò il primo posto dietro alla fila riservata ai soli bianchi, nel settore dei posti comuni. L’autista le chiese di alzarsi e spostarsi verso i posti posteriori, per cedere il posto ad un passeggero bianco salito dopo di lei, ma Rosa rifiutò educatamente; dunque, fu arrestata a causa del suo atteggiamento e ciò diede avvio ad una protesta degli afroamericani, guidati da Martin Luther King, per i diritti civili.

Aimee Nezhukumatathil riferisce dell’esperienza di madre e di donna e denuncia le violenze subite da un corpo di bambina che cresce nel disordine voluminoso in cui sono distribuiti i versi di Due falene. Testo che parla di due sorelle, abusate sessualmente da tre uomini, a turno, per un’ora ciascuno. La condanna di entrambe le ragazze è sugellata dal silenzio della sorella maggiore che “nasconderà tutto. Orlerà/ la linea di galleggiamento dei suoi occhi con il kajal/ finché non sembrerà che due falene popinjay/ si siano posate a riposare sul suo volto delicato”.

Maggie Smith associa l’immagine femminile a quella del proiettile e dell’arma che lo contiene, ma anche agli stati d’animo trasmessi da un paesaggio oppure da uno specchio che riflette lo spavento del mondo. La donna è principalmente una madre che adempie al suo dovere, partorendo e mostrando i punti di sutura di un paio di parti cesarei, nascondendo ai suoi figli la violenza del mondo e la brevità della vita, intesa come destinazione alla quale tutti sono destinati.

Diane Seuss sul sito «32 Poems» riassume la sua poetica grazie all’affermazione che segue e che viene riprodotta e tradotta nella antologia: «Prendersi cura del passato significa avere il potere di dargli un nome». La Storia è memoria che ristagna nel luogo d’origine di questa poetessa, il grande Lago Michigan. Il corpo è metafora della storia, la donna può essere rivoluzionaria partendo da sé stessa, sottoponendosi ad un cambiamento radicale, come può essere – per una donna – un taglio di capelli molto corto.

In Danzatrice del cervo, Joy Harjo descrive le sue origini parlando di “vestigia indiane”, descrivendo la bellezza di chi è estraneo con dei riferimenti all’appartenenza a un popolo “abituato a sentire canti negli alberi di pino e a farne/ [cuori”. Harjo mette in dubbio le origini così come mette in dubbio la valenza poetica attraverso la fragilità della sua lingua, del parlato che appartiene ad ogni nativo americano (Come posso dirlo? In questa lingua non ci sono parole per/ come va in rovina il mondo reale. Potrei dirlo nella mia lingua e i sacri tumuli andrebbero a fuoco,/ ma non potrei tenerlo in un tale squallido involucro. Così osservo le stelle in/ questa strana città, congelate nell’abisso del cielo, le sole promesse che abbiano mai/ avuto un senso). L’importanza dell’atmosfera casalinga è più che vicina a ciò che per l’autrice è il principio, la nascita, l’infanzia, cioè l’inizio di tutto e alle tradizioni dei nativi; quest’ultime testimoniate dalla costante dell’abitudine che li porta a radunarsi attorno allo stesso tavolo da cucina. Il tavolo si fa metafora di un ipotetico creatore, assume connotati sacri presso i quali la storia sembra andare a tempo con la musica: quando quest’ultima cessa, di riflesso, si ferma il tempo.

Natalie Diaz scrive di quella ferita sempre aperta nella storia dei nativi americani, di quelle tradizioni che non devono lasciarsi soffocare dall’influenza della cultura americana o dalla lingua inglese, nonostante la loro utilità nell’uso quotidiano si faccia sentire. Denuncia la paura di una guerra sempre dietro l’angolo, la guerra ha una fine solo apparente; per i nativi la perdita di identità è un rischio costante. Quelli di Diaz versi di una bellezza poetica fluida e al tempo stesso cruenti: crudi quando restituiscono al lettore immagini dei coloni visti come angeli che di angelico non hanno nulla: Non vengono angeli nella riserva./ nessun indiano di cui abbia mai sentito/ parlare è mai stato o ha mai visto un angelo./ Forse in una rappresentazione natalizia/ La chiesa del Nazareno ne tiene una ogni dicembre,/ organizzata dalla moglie di John, il Pastore. Non sorprende/ che l’angelo sia il figlio di John, il Pastore – tutti sanno che gli/ angeli sono bianchi. In Poesia d’amore postcoloniale, “attraverso una notte resa deserta dal bagliore di cannone della tua pelle/ [pallida”, “tocchiamo i nostri corpi come ferite – / i lividi delle dita campanelle che risuonano/ contro la pelle sono un altro modo di fiorire. / La guerra non è mai finita e in qualche modo inizia di nuovo”. Un aspetto interessante di questa poetessa è il modo in cui riesce a poetare di un argomento (solitamente tabù) come le mestruazioni femminili, nella poesia Il Blues rosso: quel periodo del mese è considerato “un periodo di esilio”.

Jennifer Givhan considera tematiche materne e corporee alla maniera di Maggie Smith. Anche nelle sue poesie ci sono riferimenti alla cucina, intesa non solo come luogo fisico, essa diventa più che una stanza. Jennifer affronta in L’orso polare questioni relative al cambiamento climatico e all’estinzione degli orsi – che tanto ha amato guardare assieme a suo figlio – nei documentari su Discovery Channel. L’assenza e la distruzione, oltre al ritornello delle premure e preoccupazioni di una madre che viene “scucita” e “ricucita”, parla della crescita e di come il corpo si evolve in Il cambiamento.

Kelli Russell Agodon dice della futilità del tempo e delle cose futuribili, del tempo che corrode e dei sentimenti che hanno l’istinto di svanire, dell’amore non ricambiato, del corpo che invecchia e dal quale è possibile evadere solo attraverso esperienze oniriche.

Francesca Bell ha avuto fortuna grazie all’irriverenza di una poesia che denuncia abusi sessuali: “Desidero tenere in mano il pene del redattore di poesie”.

Alexis Rhone Fancher compone una poesia che dichiara già nel titolo il suo intento di non essere ciò che appare ad un lettore (Questa non è una poesia), Fancher crea assalti poetici e musicati da onomatopee che ricordano molto il rap, le inserisce in contesti hard, erotici.

Vernalda Di Tanna

 
 
 
 
LA LUNA DEL CACCIATORE, KELLI RUSSELL AGODON
 
La prima persona di cui ti innamorerai
sarà un cervo. Vorrai cullarlo,
ma il suo istinto è svanire. Darsi alla fuga. Scappare.
Forse si acquatterà nel folto della foresta
tra l’acetosella, ma non lo vedrai mai
nemmeno con il cannocchiale che porti nella boscaglia.
Forse scomparirà su un sentiero accanto a te,
e rimarrai incantato dalla sua sparizione.
Si preoccupa della lancia nel tuo cuore, ciò che
tieni nascosto, ma tu non sei un cacciatore, sei solo stanco
di attraversare la foresta da solo.
 
 
 
 
 
 
INEZIE, MAHOGANY L. BROWNE
 
cos’è un proiettile?
              ciò che muore quando non importa chi ama in modo
sbagliato.

 
cos’è un proiettile?!
              ciò che uno strumento fallace è. cos’altro?
 
cos’è un proiettile??
              ciò che è una certezza scomparsa. collassante; o anche
un’implosione/ se sei fortunato.

 
cos’è un proiettile!?
              che cos’è la fortuna per un corpo nero. (?)
 
cos’è un proiettile?
              ciò che un linciaggio nuovo & perfezionato è.
 
 
 
 
 
 
LA MADRE, MAGGIE SMITH
 
La madre è un’arma che carichi
tu stessa, piccolo proiettile.
 
La madre è un vetro attraverso
cui vedi te stessa, con straziante precisione.
 
La madre è paesaggio.
Guarda come pensa a un albero
 
e riempie la foresta con il pensiero reiterato.
Prima dell’invenzione del corsivo
 
la madre è manoscritto
La madre è cielo.
 
Guarda come indossa uno scialle di storni,
come si copre le spalle col canto monocorde.
 
La madre è un prisma.
La madre è una pistola.
 
Guarda come la luce la attraversa.
Guarda come fa fuoco.