Aleksandr Sergeevič Puškin

Aleksandr Sergeevič Puškin

 
 

“La lirica è solo una parte della vasta opera di Aleksandr Sergeevič Puškin. Autore di poemi, poemetti, drammi, drammi brevi, del romanzo in versi Eugenio Onegin, di opere in prosa, dai romanzi, come La donna di picche e La figlia del capitano, alle novelle come I racconti di Belkin, a saggi storico- artistici, a contributi critici”, scrive Eridano Bazzarelli, che sottolinea come la poesia “A K***”, sia simbolo della fede neoclassica.

Il genio della pura bellezza sarebbe un genio antico e neoclassico, l’ideale della pura bellezza è antico e neoclassico, è un ideale platonico. Puškin insomma controlla sempre la forma. In tarda età si era però guadagnato, a quanto pare, numerosi nemici, meschini e invidiosi che lo odiavano. I suoi amici veri erano ormai lontani o morti. Tanto che Puškin fu ucciso in un duello.

Anatolij Lunacarskij scrive che Puškin fece per la Russia ciò che in Italia fecero Dante e Petrarca, in Francia i grandi del XVII secolo, in Germania Lessing, Schiller e Goethe. Nella raccolta Bur, con testo russo a fronte, a cura di Eridano Bazzarelli, le poesie insistono sulla bellezza dell’amore e della natura.

Puškin è nato nel 1799 e morto nel 1837. Molti i suoi libri disponibili in Bur Rizzoli.

Pierangela Rossi

 
 
 
 
Non ho rimpianti per voi, anni della mia primavera,
Anni trascorsi nei sogni di un inane amore,
Non ho rimpianti per voi, misteri delle notti,
Cantati dal languido e dolce flauto.
 
Non ho rimpianti di voi, amici infedeli,
Ghirlande dei festini e coppe rotonde,
Non ho rimpianti di voi, giovani traditrici, –
Assorto nei pensieri, sono estraneo ai divertimenti.
 
Ma dove siete voi, minuti di dolcezza,
Di giovanili speranze, della pace del cuore?
Dove sono l’ardore di un tempo e le lacrime dell’ispirazione?…
Tornate di nuovo, anni della mia primavera!
 
 
 
 
 
 
La Musa
 
Nella mia giovinezza ella mi ha amato,
A suonare il flauto a sette canne mi ha insegnato.
Ella mi ascoltava con un sorriso, e lievemente
Sui risonanti fiori della canna vuota
Già io temevo con deboli dita
E gli inni solenni ispirati dagli dei,
E i pacifici canti dei pastori frigi.
Dal mattino alla sera sotto la cheta ombra delle querce
Assiduo io ascoltavo le lezioni della misteriosa vergine,
E rallegrando me con la casuale ricompensa,
Scostando i riccioli dalla amata fronte,
Ella stessa dalle mie mani prendeva il flauto.
Lo strumento veniva reso vivo dal divino respiro
E ricolmava il cuore di un santo incantamento.
 
 
 
 
 
 
A K***
 
Ricordo il momento incantato:
Davanti a me tu sei apparsa,
Come una fuggitiva visione,
Come il genio della pura bellezza.
 
Nelle angustie di una disperata tristezza,
Negli scompigli della rumorosa vanità,
Risuonava a lungo in me la tenera voce,
E sognavo i cari lineamenti.
 
Passarono gli anni. L’impeto ribelle delle tempeste
Disperse i sogni di un tempo,
E io dimenticai la tua tenera voce,
I tuoi lineamenti celesti.
 
Nella solitudine, in una tenebra di carcere
Si trascinavano cheti i miei giorni
Senza un dio, senza ispirazione,
Senza lacrime, senza vita, senza amore.
 
All’anima fu dato il risveglio:
Ed ecco di nuovo tu apparisti,
Come una fuggitiva visione,
Come il genio della pura bellezza.
 
E il cuore batte nell’ebbrezza,
E per il cuore sono risorti di nuovo
E il dio, e l’ispirazione,
E la vita e le lacrime e l’amore.
 
 
 
 
 
 
 
Se la vita ti ingannerà,
Non rattristarti! Non infuriarti!
Nel giorno della tristezza sta calmo:
Il giorno della gioia, credimi, arriverà.
 
Il cuore vive nel futuro;
Il presente è malinconico:
Tutto è fugace, tutto passerà;
Ciò che passerà, sarà caro.