Pietre Vive Editore

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Alessandro Canzian intervista Antonio Lillo – Pietre Vive Editore
 
 

L’Editoria di Poesia sta vivendo un momento particolarmente felice a fronte di un interesse sempre maggiore per la parola poetica. Da anni articoli e blog parlano di una rinascita della poesia anche se, spesso, questo entusiasmo non corrisponde alle vendite. La vostra Casa Editrice, per quanto riguarda la poesia, come procede all’interno di queste due direttive (interesse/vendite)?

Parlo per me, che sono un editore meridionale. Un interesse c’è, nel senso che, rispetto agli inizi, è cresciuto il numero di invii di manoscritti, che per me significa che siamo passati a uno stato di maggiore notorietà verso gli autori. Gli invii fra l’altro ci arrivano da tutta Italia, non solamente dalla Puglia, siamo fra i pochi editori pugliesi ad avere un parco autori a carattere nazionale più che regionale. Il problema è che, considerata la posizione geografica siamo tagliati fuori da tutta una serie di circuiti di potere o traffico editoriale relativo alla poesia. Si parla tanto della poesia sui social, ma alla fine, salvo poche eccezioni, le cose serie si fanno ancora per conoscenza diretta o personale, amicizia o inciucio. Quindi, visto che tutto o quasi tutto succede su, se non sei su, non sei. Certo, ci si potrebbe spostare, ma spostarsi ha dei costi non confortati alle vendite, così si fa fatica doppia per riaffermare la propria esistenza. Le vendite rispetto agli inizi, quando c’era l’effetto novità, sono calate. Ed è che ci sforziamo di fare sempre dei buoni prodotti. Ma la gente non legge poesie, la gente non legge racconti, la gente non legge e basta, manco le proprie lapidi al cimitero. Ultimamente ho osservato, a fronte di una maggiore attenzione per la poesia in internet, un maggiore disinteresse da parte delle librerie, persino le indipendenti. Molte non prendono i nostri libri perché “la poesia non vende”, ovvero non solo non li propongono, nemmeno ci provano. Siamo finiti al paradosso che si fanno le campagne in favore delle librerie che vanno salvaguardate dall’abbandono, mentre i piccoli editori di poesia, l’ultimo anello della filiera editoriale, in pratica la serie C, vengono abbandonati da tutti senza problemi e spesso considerati, nell’opinione comune, dei semi-truffatori.

 

Spesso si dice che il costo utile a far vendere un libro è più alto del prezzo del libro stesso. Vi ritrovate di questo adagio? Quanto incidono le presentazioni sul vostro fatturato tenendo conto del rapporto costo/guadagno?

Io ho sempre fatto un prezzo politicamente corretto sui miei libri, andando raramente sopra i dieci euro e tutto in favore del pubblico. Visto che provo a fare un buon prodotto, spesso con illustrazioni e usando delle carte riciclate, e quindi costose, metti che a me un libro medio costa, di stampa, sui 2,30 euro a pezzo. Se lo vendo con il distributore, che prende il 60% del costo di copertina del libro, fai 10 meno 6 meno 2,30, uguale 1,70 euro di guadagno netto sul singolo volume, che mi viene versato ogni tre mesi. E ancora non ho pagato le spese, le bollette, né eventuali diritti o collaborazioni. Gioco forza le presentazioni, quando il libro va bene, possono incidere molto sul nostro fatturato, visto che quel 60% resta a noi. Incide, come sopra, il problema che essendo molti autori sparsi per il Paese, io provo a seguirli come posso, ma la distanza fisica potenziata dallo sfacelo dei trasporti nel Meridione, non aiuta. È tutto un lavoro a distanza che incide maggiormente in tempo e costi.

 

Negli ultimi anni, anche nella piccola editoria, è emersa l’esigenza di capire cosa fa l’Editore. Di comprenderne cioè l’identità. Qual è la vostra identità specifica? Cosa sanno di trovare i vostri lettori nei vostri libri?

Spero, soprattutto, qualità e onestà.

 

Qual è il dato innovativo della vostra attività editoriale?

Facciamo libri graficamente molto elaborati, collaborando con molti giovani artisti, credo sia un qualcosa in più rispetto ai molti brutti libri che si fanno in Italia. I lettori, mi accorgo, riconoscono lo sforzo, perché alle fiere ne vengono attirati, prendono i libri in mano e se li guardano a lungo prima di rendersi conto che si tratta di poesie e rimetterli a posto intimoriti, senza acquistarli. Alcuni librai mi hanno anche suggerito di tenere gli illustratori e far fuori i poeti, da sostituire con due o tre bravi romanzieri, quelli venderebbero di sicuro. Da alcuni mesi, poi, sto provando anche a fare degli audiolibri di poesia contemporanea, credo che siamo fra i primi se non proprio i primi a farli. Magari non andrà commercialmente bene, però è un settore innovativo che mi sta appassionando. Per ora sono in download, ma molti mi chiedono di produrli su supporto fisico, che ormai non usa più nessuno. Io resto sempre sbalordito dalla faccia tosta di chi non mi compra mai nulla, pur dicendosene interessato, ma riesce sempre a trovare la giusta scusa per smarcarsi.

Editing si o editing no in poesia?

 

Editing sì. Soprattutto per la struttura dei libri. Molti libri che ci arrivano, spesso di esordienti, sono raccolte di testi anche molti belli, ma che non vanno da nessuna parte, non sono ancora un libro. Io credo molto in questo tipo di lavoro. Agli autori morti puoi fare le antologie, ai vivi si richiede uno sforzo in più, si richiede un’opera organica.

 

Print on demand, Print on sale o tiratura definita?

Tiratura definita.

 

Anni fa una Casa Editrice era fatta dai propri autori. Sempre più spesso oggi si ha l’impressione che siano gli Editori, anche in poesia, a fare gli autori. Voi cosa ne pensate e come vi comportate in questa prospettiva?

Mi rendo conto di essere una figura a volte ingombrante, sui social ma anche fisicamente, rispetto agli autori, ma è perché oggi le case editrici, nell’immaginario, non esistano più come comunità o cenacolo di talenti. Esistono, piuttosto, come brand o aziende, professionali o simpatiche, eleganti o alla mano, rappresentate da un leader che ne rappresenta l’immagine o da autori di successo. Questo perché al pubblico, spesso distratto, non interessa se sei bravo o no, ma soltanto se hai successo. Ciononostante, una casa editrice non è fatta né dall’editore e nemmeno dagli autori, ma dai libri che pubblica, che sono una sintesi del lavoro di tutti. Per questo motivo, anche se nel lavoro sono molto esigente, lamentoso e, come si dice in gergo, cacacazzo, non pubblicherei mai una persona che non rispetto o con cui non c’è una affinità, oppure un libro in cui non credo, o che penso non abbia delle qualità intrinseche, al di là dei possibili dati di vendita. Di contro i miei autori, che sono quasi tutti amici, sanno cosa posso dare loro e conoscono i miei limiti, del resto evidenti, e i miei difetti. Una casa editrice cresce nello sforzo, diretto o indiretto, di ciascuno.

 

L’Italia è un mondo piccolo dove l’azione di un singolo o di un gruppo limitato di persone può provocare effetti sulla collettività per anni. Nell’Editoria di Poesia siamo passati dall’abitudine del contributo autoriale alla paura dello stesso anche grazie all’elenco di Writer’s Dream. Producendo di fatto la nascita di un modello editoriale ancor più dannoso (a parere di chi scrive) dell’editoria cosiddetta a pagamento. Si vedono editori (mi si perdoni l’impossibilità di mettere la e maiuscola in questo caso) pubblicare decine e decine di titoli nella consapevolezza che l’autore si comprerà alcune copie (invece di vendere 100 libri a un autore eap si vendono 10 libri a 10 autori noeap sotto loro stessa richiesta, anche grazie alla stampa digitale). Si vedono contratti che obbligano l’autore a vendere fino a 250 copie a nome dell’editore prima di mettere il libro stesso nel sito. E tutta una serie di contratti rigorosamente noeap accomunati dalla bandiera de l’autore è il miglior promotore di se stesso. Sapendo poi che le vendite di un libro di poesia sono spesso vendite del personaggio, e quasi mai del libro (e anche quando ci sono sono irrisorie, anche a detta della grande Editoria), come interpretate voi la contrapposizione libro di qualità / libro che si vende?

In verità non vedo contraddizione, perché per me sono cose diverse. Per me, un libro che vende è un libro che, per vari motivi, vende. Magari lo ha scritto un vip o una persona che tira, oppure ha azzeccato il giusto titolo o la giusta copertina, o ha toccato un tema importante e controverso, oppure semplicemente è buono, non sto a giudicarlo per questo. Mentre un libro di qualità è un libro che può restare nel tempo. Aggiungendo però che di libri di poesia, che ormai, volente o no, leggo di continuo, negli ultimi dieci anni ne ho letto alcuni molto buoni, alcuni di grande qualità. Ma libri che, secondo me resteranno a lungo, forse due o tre. Gli altri, per quanto buoni, mi sembrano ripetere il già detto.

 

Una caratteristica positiva e una negativa dell’Editoria di poesia di oggi.

Positiva: c’è una maggiore apertura all’Europa dell’est, che ha molto da darci.

Negativa: mi pare che il culto della forma, nel verso, sia diventato un optional, oppure peggio un orpello, usato senza un vero significato, per pura maniera.

 

Un avvertimento agli autori di Poesia, esordienti e non.

Evitare di annoiare il lettore è sempre utile.