Vivere che vuoi che sia quando è già successo – Doris Emilia Bragagnini


 
 
Blitz
 
Sono un’illusione ottica e sonora un catarifrangente d’estesia
una di quelle che non stanno nel mondo ma ci passano accanto
vedono ascoltano mangiano ma non per davvero, lo mimano dentro
 
insapore incolore inessenziale per difetto d’attesa
esigente lancinosa spina (tra) palpebra e pupilla
 
Torsolo il dolore, l’azione che sbatte una mossa al secondo
sismando sterminati frutti (sonoaddii sonoaddii sonoaddii…)
colpiti nel punto più esatto di un periferico centro inesploso: puff
 
 
 
 
 
 
Nel diciottesimo
 
se ne va come un coniglio
la voglia d’abitudine contratta in anni acerbi
acidi in – premura – inoculati a vita
nessuno poi distingue il fine da una torta al cioccolato
il compleanno festeggiato dopo, nell’altrove di un non c’ero
 
 
 
 
 
 
Contrappunto variabile
 
che poi la differenza sai – non passa
vivere che vuoi che sia quando è già successo
eppure fabbricarsi falsi ricordi
è una rivoluzione semplice ne puoi avere a centinaia
voluti, a uso proprio, non passa differenza
 
 

(Doris Emilia Bragagnini, Claustrofonia. Sfarfallii – armati – sottoluce, Ladolfi, 2018)

 
 

In questi testi di Doris Emilia Bragagnini si assiste a una presa di coscienza, esposta con lucida ironia, linguaggio tagliente e preciso, di una dissociazione tra il vivere all’interno delle proprie giornate e l’esistere, per così dire, al di fuori di ogni cosa.

Questa percezione dissociata restituisce un quadro tremendo, persino esasperato dal tono ludico, ironico e scherzoso del dettato, di una rappresentazione dissimulata dell’esistere quotidiano, testimoniato da un punto terzo, alieno alla propria dimensione biologica, esterno alla propria realtà; il tono è però talmente sereno e leggero che questo genere di considerazioni non vengono consegnate al lettore istantaneamente ad una prima lettura, ma sono frutto di un ragionamento svolto a posteriori.

Per tale ragione il deus ex machina è completo, e la Bragagnini rende perfettamente la naturalezza con cui tali dinamiche siano possibili in un’epoca come la nostra, in cui la mimesi delle emozioni, dei sentimenti, dei rapporti, dei valori, può assumere connotazioni in bilico tra un relativismo assoluto e un nichilismo in cui ogni cosa è ugualmente indifferente e vissuta con la medesima leggerezza (“vivere cosa vuoi che sia”), ma – soprattutto – può realizzarsi nell’assoluta inconsapevolezza di chi la mette in essere.

Cominciando da Blitz, è immediatamente chiaro quanto detto: “Sono un’illusione … un catarifrangente d’estesia / una di quelle che non stanno nel mondo ma ci passano accanto … ma non per davvero, lo mimano dentro”. Viene da pensare che questo modus vivendi sia una personale elaborazione del dolore (“sonoaddii sonoaddii sonoaddii”) o dell’assurdo, costruito attorno a un nucleo (“Torsolo il dolore”) che porta ad agire per evitare di soffermarsi sulla sofferenza (“l’azione che sbatte una mossa al secondo”), creando una sorta di “macchina”, che consenta di liberarsi del peso insostenibile con la stessa leggerezza di un puff.

Anche in Nel diciottesimo si assiste alla descrizione della propria “voglia d’abitudine”, che “se ne va come un coniglio” – ed è evidente il punto di vista esterno a sé stessi – di nuovo l’ironia: “nessuno poi distingue il fine da una torta al cioccolato” e il fulmen della chiusa, quando si specifica che il compleanno non viene festeggiato nel momento nella festa, ma “dopo, nell’altrove di un non c’ero”. Di nuovo la dissociazione, esplicitata nella dichiarazione che l’esistenza segua due ritmi paralleli che non si sfiorano mai, nel suggerimento che l’esistere autentico sia quello alla deriva delle cose, quello nascosto, e mai quello evidente, dissimulato, convenzionale, rituale.

E infine, Contrappunto variabile: qui, con una rapida sequenza logica, e una leggerezza nuovamente terribile, la Bragagnini scrive “vivere cosa vuoi che sia quando è già successo … fabbricarsi falsi ricordi / è una rivoluzione semplice ne puoi avere a centinaia / voluti, a uso proprio, non passa differenza”. Anche la realtà viene messa in discussione: i ricordi, veri o falsi che siano, sono equivalenti, e possono essere creati e distrutti a proprio uso e consumo, a piacimento, secondo utilità e volontà.

Sono versi molto lucidi, in cui si tratteggia con precisione la compressione che la nostra società esercita sugli individui, costringendoli a meccanismi di difesa paradossali, sia per elaborare il senso di alienazione e di abitudine, sia la ritualità delle convenzioni sociali, sia la precarietà dei valori e dei referenti fisici e metafisici.

Non si offre alcuna soluzione o alternativa, ma quello che appare con netta evidenza è la restituzione di un’immagine consapevole di un meccanismo che, spesso, è sotterraneo ed incosciente: e la presa di coscienza è l’unico punto di partenza per poterne discutere, ragionare, e ipotizzare un eventuale superamento per dissolvere questa straniante dissociazione – anche se, la serenità e la leggerezza del tono della Bragagnini non fanno nemmeno sospettare che ce ne sia la necessità – e anche su questo sarebbe il caso di riflettere.

 

Mario Famularo