La scimmia vuole
L’uomo è per l’uomo scimmia
fin dai tempi delle bacche e del fuoco.
L’uomo compie di giorno in giorno piccoli riti
abitudinari. È fatto di stile e solitudine:
un guanto di propilene che accarezza
contropelo il mondo. Talvolta, l’uomo
è scimmia divina
che vuole morire. E scomparire.
Tutto ho perduto
Tutto ho perduto con devozione estrema: il gas
la luce elettrica, gli occhi verdi del bosco
il dolore delle cose che si arrestano, il vento
e tutte le altre persone animate o inanimate
cadute giù tra i dirupi.
Nel continente silenzioso della sera
si accendono brevi lumi
la quantità dell’aria si misura a bracciate
perché se cadi io cerco di afferrarti
le tue mani bianche sono sciami:
l’umanità intera in movimento sui codici miniati.
Ma tutto ho perduto, anche il tuo amore di mammifero
che correva veloce alle prime luci dell’alba:
che sia benedetto, che sia benedetto, che sia benedetto, che sia
benedetto, che sia benedetto, che sia benedetto, che sia.
Sulla strada verso marzabotto
Di qua dall’oro e al di là della strada dal verde rigoglioso
sotto il sole, a fine giugno, dove tutto riposa
nel suo letto di pruni, una spalla gigante di mammut
solleva da terra il ronzio delle mosche
la voce del televisore rimasto acceso
ripete rosso oltraggio a Gaza
ma qui un Borneo bellissimo di occhi
colpisce come bombe intelligenti. Balli, sagre,
Wehrmacht, Luftwaffe, SS — il verde smisurato che infittisce
l’economia della tua paura.
Stamattina, dopo mesi, ho incontrato sottoterra
una puerpera maestosa che sembrava ripetere
con gli occhi: « … il mondo è bello… »
Ecotono
Dove sconfina il tappeto verde della steppa in foreste
dove il ghiaccio morde la terra come spilli di voci
noi non ti abbiamo tradito, non ti abbiamo tradito
dove l’alba cresce dentro al corpo amato
passando di stato in stato in ambienti omogenei
e di guerra in luce — i bambini che corrono a scuola
noi non ti abbiamo tradito senza più tuoni di aerei
nella contrazione del nostro ecosistema,
quando lupo non mangia più lupo ma bambini
fra piccoli prati e coltivazioni noi non ti abbiamo
tradito — dove
nella successione dei giorni?
Si dice che l’Homo Sapiens trovò riparo sui monti
della Crimea, poi in Germania, con punte di selce lunghe
fino ai tuoi occhi. E sussurri piano con orrore:
« … il mondo è bello ».
da Nel dopo, Marco Corsi (Guanda, 2025)
Affrontare la storia è una delle imprese più complesse per gli uomini. E per le scimmie, facendo un poco il verso allo strepitoso libro di Marco Corsi uscito per Guanda quest’anno (collana a cura di Mario Santagostini, appena edito da Samuele Editore-Pordenonelegge in L’antologia ragionata).
Marco, va detto subito, è in lizza per la 40esima edizione del Premio Dessì, sezione poesia, assieme a chi vi scrive (In absentia, Interlinea, 2024) e Alessandra Corbetta (L’età verde, Samuele Editore-Pordenonelegge, 2024), ed è stato presentato pochi giorni fa a Trieste all’interno della festa per i 10 anni di Una Scontrosa Grazia. Un incontro particolarmente felice che ha visto anche Sonia Gentili con l’altrettanto importante Un giorno di guerra (Aragno, 2024) e letture e interventi di Sara Cardone, Toni Piccini, Federico Rossignoli, Mario Famularo, Giuseppe Nava, Roberto Dedenaro, Mary Barbara Tolusso e Gabriella Musetti.
Dettagli di eventi a parte a Trieste è emersa la condizione di un dopo (dal titolo del libro) come tempo di verifica che costituisce una soglia, dove passato e presente collidono e diventano futuro. Una composizione che è architettura stratificata capace nell’ammasso di diventare armonia. E tutto sommato l’armonia di questa stratificazione è la storia stessa, benchè terribile. Tu sei caduto all’indietro insieme a tutto l’occidente viene detto in un testo e allo stesso tempo la mia generazione ha tradito sé stessa / e gli altri. Così / comincia la storia, l’individuo.
Cadere è seminale afferma a Trieste Corsi. Il cadere è tante cose e oggi 3 ottobre accade lo sciopero per Gaza con tutto il carico di problematiche irrisolte, virtuali, politiche ed emotive. Corsi risponde incontrando sottoterra / una puerpera maestosa che sembrava ripetere / con gli occhi: « … il mondo è bello… ».
Corsi, e lo ripeto anche in questa sede, è un poeta buono, continuamente possibilista perchè nel linguaggio, nel ritmo, in una ricerca oggi quasi rara, cerca ancora un lume nel genere umano attingendo alla possibilità delle parole. In fondo siamo partiti, almeno qui e almeno culturalmente, da un nominare le cose come presa d’atto della realtà. E questo fa il poeta, sembra dire Corsi, usa le parole per non risolvere nulla, ma così facendo lascia un segno, una stratificazione, un tempo a sé.
L’uomo è per l’uomo scimmia / fin dai tempi delle bacche e del fuoco. Corsi nega il lupo ma ne è consapevole. Quando lupo non mangia più lupo ma bambini / fra piccoli prati e coltivazioni, in un testo che non a caso reitera la chiusa « … il mondo è bello… ».
Per Corsi l’uomo è scimmia, talvolta […] / è scimmia divina / che vuole morire. E scomparire deligittimando in qualche modo il male nell’argomento della lingua. Che è esistere e non esistere, scomparire e restare al contempo. Come nel testo Tutto ho perduto che tratta dichiaratamente della perdita e la racconta nel continente silenzioso della sera. Ma al contempo dice ciò che resta: “che sia benedetto, che sia benedetto, che sia benedetto, che sia / benedetto, che sia benedetto, che sia benedetto, che sia.
Non resta il tuo amore di mammifero / che correva veloce alle prime luci dell’alba, ma la benedizione che viene reiterata. La benedizione che è linguaggio, parola. E in quanto parola visione. Verità. In altro tempo mi era capitato di scrivere che la parola non esiste, eppure è eterna, definizione poi ripresa dall’amico Matteo Bianchi per un articolo su Il Sole 24 Ore. Voglio riprenderla anche qui perchè molto e bene definisce non solo le intenzioni ma anche gli esiti della poesia di Marco Corsi, nel suo essere così solidamente stratificata e misurata al metronomo anche nei suoi allungamenti e contrazioni/ritrazioni. Nel suo essere frammento e poemetto e sempre assolutamente il contrario di piccoli riti / abitudinari […] stile e solitudine: / un guanto di propilene che accarezza / contropelo il mondo.
Ma in fondo lo dice Corsi stesso nel suo Piccolo trattato inutile sull’uso delle parole:
Nella vita degli uomini c’è un momento che segue alla malinconia per le molte notti trascorse insonni, al dolore per il non saper dire esattamente con le parole un accenno di vita o la vita intera medesima; un piccolo momento in cui l’asfalto alza vapori contro la malinconia infinita della vita. Mentre la pioggia brucia sopra questa città di ora che non è più la città di allora, ogni cosa produce piccole vampe di calore e poi muore sulla bocca in forma di parole.
Esausti cadiamo in quel momento della vita a poco a poco finita e sempre esauste parole spariscono improvvise dentro enormi bracieri, in attesa di vita nuova che venga al mondo per la vita. Come ogni parola che al mattino si alza senza più trattenere il fiato della notte e muore. In questo cuore senza notti né ore.
Fra le torri celesti del tuo impero destinate a crollare.
Alessandro Canzian
La presentazione di Marco Corsi a Una Scontrosa Grazia
Leggi anche:
Quante cose ancora nella vita – Marco Corsi, di Mario Famularo