SPECIALE SALONE DEL LIBRO DI TORINO: Linea di cattedra – Alice Serrao


Linea di cattedra, Alice Serrao (Samuele Editore, 2021, collana Scilla, prefazione di Claudio Damiani).

Alice Serrao è una giovane insegnante nata a Milano nel 1990. Conseguita la laurea in Filologia Moderna presso l’Università Cattolica della sua città natale, nel 2013 la Serrao ha curato l’edizione dell’opera pirandelliana Fuori di Chiave per le edizioni di AlboVersorio. Serrao esordì in poesia pubblicando A piene mani con La Vita Felice: così, nel 2016 «Alice Serrao si aggiunge coraggiosamente e ambiziosamente alle autrici che nella tradizione del Novecento hanno fatto del corpo come entità complessa la sede dell’esperienza e della poesia, da Ada Negri ad Antonia Pozzi ad Alda Merini» (così scriveva Luigi Cannillo, nella prefazione all’opera d’esordio della Serrao).

E quella propizia «attenzione al dettaglio reale» di cui parlò Maurizio Cucchi su La Repubblica di Milano per la Bottega di Poesia, scrivendo di A piene mani, la ritroviamo – ora migliorata – nell’ultima fatica poetica dell’autrice: Linea di cattedra (Samuele Editore, 2021). Il libro, edito all’interno della ormai storica collana Scilla, è organizzato in un paio di sezioni; la prima si offre volontaria per assurgere a titolo dell’intera silloge, mentre la seconda, intitolata Itinerari di viaggio, accompagna il lettore «nei gironi delle attese» (p. 45), «nel corridoio della presidenza» (p. 46), in una palestra che «è divenuta/ centro immigrazione» (p. 48), ma «L’ultimo tratto della strada è un’orchidea,/ ferisce d’asfalto e nostalgia» (p.51).

Il secondo libro di Alice Serrao è sintomo di una prima svolta, di una sorta di aggiornamento, soprattutto a livello tematico, che scava coscientemente nel presente ed esaudisce le aspettative di chi torna a leggerne i versi. Vi si trova il presente, declinato attraverso le difficoltà e le novità che esso comporta, come l’onere, per gli insegnanti, di dover “ricreare” e gestire uno spazio condiviso con gli studenti a distanza durante l’anno della pandemia (p. 36; p. 39); le pagine diciassette e diciotto sono testimoni di tale turbolenta “ripartenza” della scuola che non può, non deve e non desidera fermarsi, nonostante il Covid-19, durante l’anno scolastico 2020-2021; invece a pagina ventisette è evocato il timore delle procedure da rispettare, ma a cui si è impreparati.

Versioni, verifiche, scuse, l’ultima fila, sussurri e amori che sbocciano tra le fila dei banchi, oltre la linea della cattedra: ecco ciò che parzialmente può definirsi “classe” di studenti. Purtuttavia, una classe è molto più di questo, ricorda la Serrao – specialmente quand’ella compone testi come Stranieri ed Autismo –, alludendo alle difficoltà dell’inclusione scolastica. «È nuda la classe, dalla cattedra/ è ancora così adolescente/ la vita» (p. 19), eppure la linea di cattedra non è altro che una sottospecie di soglia dove chi insegna apprende attraverso i suoi discenti e, viceversa, i discenti imparano dai loro docenti. Alice Serrao rende poesia il noto principio del Learning to learn. Ed è altresì per tale ragione che «siamo impreparati» (p. 27): nella vita non si finisce mai di apprendere. Perciò, Serrao tiene per mano i suoi lettori partendo dalla scuola, dal tracciare un calco della bellezza della lingua italiana e della sua letteratura, per poi approdare oltre.

Difatti Linea di cattedra è un libro che attraversa il particolare partendo anche dal basso, prendendo piede dal generale. Ed è qui che risiede, forse, la lezione più perspicace che ci lascia questo libro di poesia: «è già lei in sé, la scuola, una metafora. È già poesia», osserva Claudio Damiani (prefatore della silloge); oltretutto, la scuola prepara all’imprevedibilità e diventa palestra di vita («Non abbiate paura», p. 40).

Infine il dettato chiaro, puntuale, lineare e limpido dell’autrice ben si adatta ad una «poetica/ del frammento tra i banchi» (p. 19), giacché è di un libro vero che si parla ed esso, in quanto tale, si muove sulla scorta di un potere specifico e capillare: quello di «portare alla verità una cosa che è simile e che non era tale fino a che non si è verificato l’incontro» (Ezio Raimondi, Le voci dei libri, Bologna, il Mulino, 2012, cit. a p. 50).

Vernalda Di Tanna

 
 
 
 
Laboratori critici al Salone del Libro di Torino 2

Prestare

 
Usa il mio – non si può più dire
il libro alla distanza di un metro
tra le bocche
mettere in mezzo per colmare
la dimenticanza
è sempre bastato almeno per due.
 
Occorre riappropriarsi del gesto
imparare a implicarsi nell’altro
senza dare nulla in prestito.
 
 
 
 
 
 
Ape
 
Tutti sanno l’effetto dirompente
d’un’ape in una classe;
è aria il peso d’ogni parola
e il corpo scatta
nel rombo istintivo del banco
che si sposta.
 
Il ronzio disarticola le file, questo
timore incontenibile che fa
la vita quando punge.
 
 
 
 
 
 
Colleghi
 
Declina la parola rosa sull’ardesia,
entra lievemente in ritardo nell’aula
 
il gesso segna un segno impercettibile
s’incrina, disattenzione che rimanda
già a qualcosa. La bellezza in te
 
da forma si sostanzia. Il gesto,
svuotato, divide radice e desinenza,
 
(ros-a) si stacca
la rosa dal suo significato, non osa
e l’attenzione su te tutta
 
si raggruma.
 
 
 
 
 
 
Didattica a distanza
 
Sono giorni senza accendere il telefono,
non voglio mi raggiungano – mi basta
stare in un luogo alla volta; la telecamera
accesa sul portatile già porta
l’occhio nelle camere
scontornate dei ragazzi, negli sfondi
digitali di galassie sprofondano
i peluches i poster stanati nel baricentro
degli equilibri domestici, una frode
ci espone in ventotto posti
dalle nostre postazioni e ci fa
spietatamente            soli.