Linea di galleggiamento – Luca Bresciani


Linea di galleggiamento - Luca Bresciani

Linea di galleggiamento , Luca Bresciani (LietoColle-Pordenonelegge, 2020).

L’ultima – e quinta – silloge di Luca Bresciani edita nella raffinata Collana Gialla pordenonelegge.it è Linea di galleggiamento (LietoColle, 2020). Siamo dinanzi ad una raccolta che abbraccia ben quaranta componimenti e quasi tutti possono compassare una ricerca umana che, «prestando il proprio traguardo», si concede una sosta sul «divino dramma / di chi ringrazia e ringrazia». Inoltre, siamo altresì dinanzi ad una ricerca che presta un’attenzione particolareggiata a quella guerra che «ha bisogno di spazio / per abolire i nostri corpi», lotta (talvolta) travagliosa e innovativa, ma (talaltra) inibitoria perché, anche se «ci concediamo di desiderare», «La fatica ha un regolamento» che qui si esplica attraverso quegli elementi strutturali che ben si incastrano all’interno della forma prediletta dall’autore per questa sua ultima silloge, ossia una successione di quartine, per lo più in coppia, raramente in trittico o frammentate in distici, come il testo di pagina trentatré (qui, a seguire):

 
Disegnare frecce
è il nostro modo di resistere.
 
La vita fa meno terrore
se il dolore è punto cardinale.
 
 

E questa fatica è dominata dal dolore e da una legge che si proietta in possibilità innumerevoli, come il «sangue» che «torna una miccia», come l’io che si fa «eco di una fuga» oppure come i «grumi del sangue», quando «la pietà si avvezza al buio» e «Resta lo stacco dell’usura / […] nell’intrico del rimpianto».

Ogni elemento di queste nuove poesie si manifesta come più di un mero sguardo rivolto al passato, alimentato dalle precedenti sillogi. Dunque, non solo dare e darsi alla vita, ma accogliere in quest’ultima e in sé stessi l’equilibrio precario dell’altro da sé. I gesti che ci sono più affezionati delle cose stesse, nell’atto di maneggiarle e di usarle, divengono un (pre)testo per il dire poetico, ma è il ribadirli attraverso un traslato che rivoluziona la quotidianità stessa a cambiarne la portata lirica («Le mani accecate dal sapone»; «La bottiglia socchiusa dell’acqua / sul comodino è una Madonna / e attorno il resto della salvezza / telefono-fazzoletto-pastiglia»; «Accendere i fornelli / per credere ancora nei miracoli»; «La barba nel lavabo / non vuole cadere»; «La borsa frigo con il pranzo / è un mazzo di cibo nel pugno»; «Tornavi alle diciotto / come i vassoi all’ospizio / e odoravi di mela cotta / nella tua bruna stanchezza»; «A volte schiocca il collo / una spalla un ginocchio / e riconosci in quel rumore / l’addio delle lampadine»; «Siamo stretti e antichi / come cabine a gettoni»; «nel bianco sotto i costumi»).

In quanto alla metrica, ne osserva bene la funzionalità Paolo Maccari, nella sua postfazione: «Con l’uso accorto e non appariscente dei sigilli della rima (che pure sa sprizzare sapientemente nelle chiuse più conseguenti e amare, o camuffarsi in assonanze e consonanze), con una ritmica che si modula secondo la sintassi interna del discorso poetico piuttosto che esporre le scansioni tradizionali (anche se presenti e dissimulate), la compagine stilistica ribadisce una ricerca austera, estranea a ogni lenocinio formale poiché intenta a mimare le accensioni e le cadute del soggetto di fronte a una negatività che non si trasforma mai in compiacimento negativo. Nei versi si assiepano segnali di allarme, che lampeggiano nei più innocui oggetti o nelle occupazioni meno insidiose, come può essere, nella prima poesia, la rigovernatura dei piatti. E se certa metaforizzazione fantasiosa rimanda a un Novecento analogico, non immemore dei procedimenti surrealisti, è a Caproni che fanno pensare certi improvvisi e inquietanti lampeggiamenti oggettuali».

La poetica di Luca Bresciani, «impronta dell’abisso e salvagente / tra anima e caviglie», è una linea di galleggiamento, il confine sottile che si stende fra oblio e abisso, nonché un’elaborazione del tutto, a voler citare il titolo di una sua precedente raccolta edita nel 2017 da Interno Poesia e prefata da Davide Rondoni. Una vera dichiarazione di poetica, infine, Bresciani la relega a questi versi: «La poesia non salva le persone / ma il bene delle cure dimenticate / e diventa il mercato d’antiquariato / di ciò che non abbiamo compiuto».

Vernalda Di Tanna

 
 
 
 
Sollevare le tapparelle
cercando una notizia per risorgere
oltre quel vetro così sottile
che diventa una nuova cute.
 
Indosso la memoria della pioggia
nella prima volta con la terra:
la paura nella forma pregiata
di non sapere come si ama.
 
 
 
 
 
 
Le braccia si perdono
e i gesti rimangono.
 
Un inverno inverso
dove i rami si scollano
e le foglie continuano ad avanzare
in una mischia di primavere.
 
La meta è essere
prima di diventare
lanciando i frutti
senza essere fecondi.
 
 
 
 
 
 
Se le mani ospitano il futuro
nei piedi abita il passato
e le scarpe sono un modo per dirti
che siamo nati per dimenticarci.
 
La radice rinnega la terra
e si ritira nel dare della linfa:
nessuno assomiglia a nessuno
nella menzogna dell’equilibrio.
 
 
 
 
 
 
È un faro l’ultimo passo
sul pontile a Viareggio
e la pietra a difesa della pancia
è radice finale della terra.
 
Il mare accade ovunque
e tutto si restringe:
Pangea tornano i continenti
e la libertà non ha indirizzi.