le tentazioni della luce – Zingonia Zingone

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le tentazioni della Luce, Zingonia Zingone (Edizioni della Meridiana 2017)

 

Ho affrontato per la prima volta la poesia di Zingonia Zingone nel 2015 recensendo il suo I naufragi del deserto (Edizioni della Meridiana, qui) incontrando una poesia intensa, importante. Un viaggio fra tre miti esemplificativi delle storie umane che hanno come minimo comun denominatore il desiderio.

In quest’ultimo le tentazioni della Luce, che vede un lessico volontariamente minuscolo a parte Luce, quasi una personificazione del concetto, Zingonia spiega cosa sia quel desiderio nell’unico modo probabilmente possibile, o comunque sicuramente più efficace: raccontando la mitologia del proprio viaggio.

Ma narrarsi senza scadere nell’autobiografismo non è cosa facile e non è cosa da tutti. Zingonia Zingone, in un verso che si muove tra realtà concreta, carne della vita e dell’esperienza, contraddizioni e autocritiche, autorilessicazioni ed autorivistazioni, e slanci spirituali mai eccessivi ma sempre moderati da un desiderio di pienezza reale, di non allontanamento dal tutto, dal mondo, sceglie non tanto la tecnica narrativa quanto l’approccio psicologico della confessione.

Una confessione vera, non inquinata da piccole e facili storie cattoliche. Una confessione come rapporto con quella Luce che è l’oggetto del desiderio e che nei versi man mano acquisisce diversi nomi, diverse connotazioni.

Tra queste il concetto di purezza è sicuramente preponderante, se non fondamentale. Una purezza che non è il bianco candido dell’utopia ma è la conquista di una carnale coscienza e consapevolezza di un esistere al mondo nella propria interezza non facile. Di un essere pacificati con la Luce attraverso una continua relazione con Essa e con il mondo.

Nella scoperta, perché di scoperta si tratta, che Luce e mondo si raggiungono nella medesima maniera: con l’amore. Un amore che è la base del sentire quanto dell’esserci e del confessarsi come forma di svelamento, di spogliazione di sé come dono e scoperta del tutto. Quindi come preghiera.

Perché in effetti amare il mondo è toccarlo, è conoscerlo, l’epifania che la Luce può produrre nel cuore umano è la pacificazione di sé, l’incontro con il sé che è conoscenza, accettazione. La spiritualità non è ascesi mistica ma affondo luminoso nelle proprie carni nella scoperta della bellezza della pelle dell’uomo, che è la pelle del mondo. Nella consapevolezza che ogni relazione con l’altro può portare alla Luce se vissuta, nei confronti di sé e dell’altro, come confessione. Nella certezza che mondo e uomo non sono separati perché la pienezza del mondo è la pienezza dell’uomo. Attraverso la Luce. Attraverso l’amore.

Chiude l’opera un Canto quaresimale che ripercorre e ribadisce la concretezza di un canto che qui si fa silenzio. Il titolo infatti cita Prendi il mio silenzio. A segnalare la storia dell’amore, dell’amore degli amori. A incontrare un’altra accezione di confessione che è maternità. A ribadire che è necessario il cammino, la passione. Che la Luce non è solo un’idea astratta da raggiungere ma è anche Storia. Forse la Storia.

Alessandro Canzian

 
 
 
 
Due gabbiani ballano
in un angolo del cielo
tra le rocce
e il mare
 
il movimento ripetuto e sensuale
 
un tango sospeso
è l’esistenza
 
 
 
 
 
 
il fiocco di neve scende
e copre in silenzio
il verdore del prato
la nudità del granito
 
cambia
 
acqua che scende per sorgere
nel vapore del tempo
 
l’uomo
nel suo gaudio
afferrato al suolo si perde
 
da solo
nell’inverno riprende vita
il fiocco che mai muore
 
 
 
 
 
 
lui sospirava
senza sapere perché
 
poi venne l’amore dei corpi
che colmava le lagune
con acqua salata
distribuiva pani e pesci
si credeva una noria
 
un giorno
il pozzo si seccò
i pesci
mangiarono i pani
 
aveva ragione colui
che scalzo saliva la montagna
senza sapere perché
 
 
 
 
 
 
è pesante questo esilio
questa mania di reputarmi un angelo
e portare a spasso un corpo fertile
inutile
tra faraglioni avidi di schiuma
 
issare le ali e migrare?
restare
dici
nel vuoto
piacere delle tue mani
 
 
 
 
 
 
Il sacrificio
 
il tempo è in verticale
sul mio essere in preghiera
mentre tu ripari il sangue altrui
in un villaggio dell’inferno
 
mi sembri Sansone
un canto di capelli
la gloria senza tempo
 
mi trasporto sul tacco della costa
e dall’Adriatica scogliera a forma di vitello
attendo il tuo ritorno
 
una coda fulgente mi sorvola la testa
sento
nel fischio di una cometa
l’ascia di Gaza che sfregia le promesse
 
una chioma mutilata
e la giovenca sconvolta
senza risposte
all’indovinello maggiore
 
 
 
 
 
 
Figlio mio, tra le beffe
e gli insulti dei soldati
rinneghi te stesso,
abbracci la croce e segui
l’oscura sorte
dal Padre disegnata.
Lasciami piangere
la tristezza che sgorga dal seno tremante.
Tu non mi vedi,
cammini umiliato, carico
di un amore incomprensibile
trascini l’albero squarciato.
O sei Dio o sei un folle!
Ieri sedevi
alla mensa fra i malati
oggi con loro
l’iniquo giudizio ti ha inquadrato.
Tu taci
e incedi coi ladroni.
Coraggio dolce amore,
trionfa
in quell’abbraccio.