La sestina lirica (esercizio)

La sestina lirica (esercizio)

 

Affronteremo questa volta una forma particolarmente “chiusa”, che vi propongo come esercizio di “virtuosismo” formale.

Parlo della sestina lirica, o “canzone-sestina”, caratterizzata da stanze indivisibili e dalle seguenti regole:

  • la sestina è formata da sei stanze di sei endecasillabi ciascuna, e un congedo finale di tre endecasillabi;

  • le rime sono tutte identiche e seguono uno schema predeterminato;

  • le rime sono costanti tra le diverse stanze, secondo la regola della retrogradatio cruciata, o permutazione centripeta, secondo lo schema ABCDEF FAEBDC CFDABE  ECBFAD  DEACFB  BDFECA;

  • tali rime, come detto, sono identiche, ovvero si tratta delle medesime parole e non solo di una parte di esse;

  • nel congedo di 3 versi ricompaiono tutte e 6 le parole-rima: 3 in fine di verso e tre all’interno degli stessi, secondo l’ordine presente nella prima strofa.

Alcuni consigli per evitare di “incartarvi”:

  • scegliete con cura le sei parole-rima;

  • abbiate chiaro cosa volete dire;

  • non arrancate a caso.

 

Traccia:

 

TEMA = a piacere.

 

METRO = endecasillabi.

 

SCHEMA = sestina lirica.

 

Esempio:

 

A volte sento approssimarsi l’ora

che dia un significato a questo mondo;

a volte ascolto l’aria ed anche il vento,

lo scintillare d’una voce d’oro.

Allungo verso il cielo la mia mano

cercando di raggiungere le stelle:

 

ma quanto son lontane queste stelle!

Dimentico il futuro, il prima, l’ora

lo stringo e impugno saldo nella mano;

il palmo è benedetto dal mio mondo,

dal suo respiro, ch’è d’argento e d’oro,

e infine getto tutto via nel vento.

 

Ma non cambia per questo, certo, il vento!

Sospira il mio presente fin le stelle,

pur sgretolato in mille grani d’oro:

e questo già è il passato, attarda l’ora

e in ogni caso indifferente è il mondo.

Mi sembra così vuota questa mano,

 

e prova a consolarla l’altra mano;

ma entrambe mi proteggono dal vento

con cui mi accusa e sferza crudo il mondo:

ed io volevo prendere le stelle!

Che sciocco che ero, mi ripeto ora,

le stelle su di me mirando d’oro.

 

Eppure sotto questa crosta d’oro

che provo a screpolare con la mano

mi unisco a quell’estrema, ultima ora

e riesco infine a far tacere il vento.

Adesso il cielo è nero, e senza stelle,

e mi rivela l’anima del mondo:

 

pulviscolo nel nulla è questo mondo,

inganno senza senso il volto d’oro,

speranza degli ingenui queste stelle,

inganno è persino la mia mano:

adesso mi attraversa intero il vento,

e trasparente trasfigura l’ora;

 

ed ora osservo disgregarsi il mondo,

e il vento come un’eco, non più d’oro,

per mano lo dissolve con le stelle.

 

Mario Famularo