Isola aperta – Francesco Ottonello


Isola aperta - Francesco Ottonello

Isola aperta, Francesco Ottonello, (Interno Poesia 2020, prefazione di Tommaso Di Dio).

“Isola aperta è un esordio sottratto da una censura. Con 44 poesie e 3 cartoline di intersezione, si forma dopo due raccolte precedentemente soppresse. La poesia nasce da una dimenticanza, un guasto del serbatoio, una falla della memoria”. Con queste parole Francesco Ottonello introduce il suo esordio poetico con la casa editrice Interno Poesia.

 

vorrei essere violato, dolore in fiore
salvo in un vaso impossibile verde
acerbo, lì fermo per sempre.

 

Ottonello vive “all’ordine del disordine del giorno, una prima persona che non significa niente”. Interroga la singolarità, affronta l’irreversibilità per inchiodare la parcellizzazione del momento sulla carta, attraverso una presa di coscienza dell’incomunicabilità sulla pagina del vissuto onnivalente. “Eppure, per quanto ci si possa provare, niente e nessuno potrà mai accogliere integralmente ciò che una volta si è stati: ogni momento è unico e chiusi siamo da un limite che, sebbene poroso, non ci è dato mai aprire del tutto” scrive Tommaso Di Dio nella prefazione alla silloge.

 

siamo lande di lucide frane
siamo la paura di un abbaglio,
potere trattenere troppo a lungo
una felicità che so, sapevi, che devasta.

 

La poetica di Ottonello si raggruma nel legame tra memoria e scrittura: uno dei topos letterari più scandagliati. A tal fine sorge spontaneo il riferimento a Borges e al suo “Funes, o della memoria”. Nel racconto dello scrittore argentino, Ireneo Funes è un giovane contadino condannato ad avere una prodigiosa memoria, condizione che lo conduce all’isolamento. Il racconto si pone essere una riflessione sull’insostenibilità della memoria poiché sottende il dolore dei ricordi. A differenza del protagonista di Borges, Ottonello indugia nelle proprie parentesi biografiche rinunciando però alla pretesa che la porosità della carta trattenga completamente l’esperienza vitale. D’altronde l’epigrafe iniziale del poeta americano Hart Crane ci aveva già messo in guardia: “Memory, committed to the page, had broke”.

 

Sempre pensando a un mare che ci isola
guardiamo sconvolti alla vita di ieri,
a festa finita torneremo a riva
vedendo dove e senza chi si vive
sempre esclusi dalla tribù dei maschi

domu mea, oe istracca, lassada
aghervu ruende in custa vida maba.

 

Nel libro c’è il fluire, il passaggio, la transizione. Un moto ondoso che porta alla mente i versi di Pascoli:

 

M’affaccio alla finestra, e vedo il mare:
vanno le stelle, tremolano l’onde.
Vedo stelle passare, onde passare:
un guizzo chiama, un palpito risponde.

 

Francesco si fa zattera, si fa “spazio sfinito”. “È come se chi scrive imparasse a lasciare finalmente aperto il passaggio, a farsi attraversare da qualcosa di senza tempo” continua Di Dio nella prefazione. Se l’onda di D’annunzio si gonfia, s’increspa, si sfrange e si scaglia argentea contro il molo, Ottonello rende egli stesso ondivago. I suoi versi si fanno molli, imbevuti di balze vive di dissonanze rapaci che il poeta impara ad accordare al suono delle volute amorfe.

 

per questo ho sempre amato le zattere madre
ma sono sceso dalla zattera, ma ho indosso l’armatura
ma non so amare l’immenso che voglio,
mamma mamma sono ondivago mamma
mamma sono solo uno spazio sfinito
tra le tue lettere e il mare.

 

La sua poetica è segmento di moto. Un divenire in fieri che porta ad una consapevolezza: se nessun uomo è un’isola, l’isola è aperta.

 

isola prima di partire
o restare, fuori di qui un grande mare,
il continente che sfuma e ci smarrisce

l’isola dice la verità, cioè che torni
e il tuo luogo resta ancorato a nulla.

 

Chiara Evangelista