Il divano

È uscito L’Immaginazione num. 346. Proponiamo l’interessate articolo di Antonio Prete.

 

 

Due immagini, tra le molte che giungono ogni giorno nelle nostre case, e che ci chiamano a riflessioni necessariamente interrogative, e non rasserenanti.
La prima immagine. Una fila di immigrati irregolari legati tra di loro con lunghe catene, mentre da una località degli Stati Uniti vengono avviati a una deportation (molti si premurano di spiegare che la parola inglese corrisponde all’italiana espulsione e non a deportazione: versione che non mitiga la gravità del fatto, né la esplicita simbolicità dell’incatenamento, cioè della riduzione a schiavitù). È il primo atto politico del nuovo Presidente. Seguito subito da altri provvedimenti di analoga portata discriminatoria e sfacciatamente repressiva: a conferma che oggi per il potere la connotazione di democratico è solo un ornamento, anzi, di più, uno strumento che permette di fare accettare al mondo che si dice civile ogni scelta, anche la più tracotante. C’è da aggiungere, sullo sfondo, che il nuovo Presidente è risultato vincitore alle elezioni grazie al voto dei latinos, degli afroamericani, delle fasce povere della popolazione, cioè di coloro che hanno a lungo subìto gli effetti di quei poteri che poco fanno per rimuovere le disuguaglianze. La condizione di esclusione, tra le varie miserie, ha anche quella di chiudersi nel cerchio ristretto dei piccoli propri privilegi.
La seconda immagine. A Gaza, dinanzi a un cumulo di macerie, segno della violentissima e spietata distruzione operata per mesi dall’esercito israeliano, un gruppo di miliziani di Hamas in divisa e armati stanno per consegnare alla Croce Rossa una soldatessa israeliana ostaggio; alcuni bambini palestinesi raggiungono il gruppo e si fanno fotografare sorridenti, dinanzi a loro, qualche mano poggiata sulle armi. Il tragico è nel fatto che l’eventuale liberazione della Palestina debba passare anche attraverso il terrorismo, anch’esso un volto della guerra, e come la guerra atroce e inutile. Fare in modo che un popolo abbia libertà, dignità e diritti prima che una parte di esso ricorra al terrorismo dovrebbe essere il compito primo di una comunità internazionale, delle sue istituzioni, così come dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale sono state definite e volute.

A cura di Luca Cesari sono raccolti, in un bel volume edito da Electa, tutti gli scritti di Volponi relativi all’arte (Paolo Volponi, Scritti di critica 1956-1994. Il principio umano dell’arte). Caterina Volponi rievoca, con affezione di figlia e con escursioni nella memoria familiare, momenti e casi della passione da collezionista d’arte che non abbandonava mai il padre e che lo accompagnava nelle dislocazioni abitative. Il ricco e animato saggio introduttivo di Luca Cesari ripercorre sia il rapporto che Volponi narratore intrattiene con la grande pittura del passato e con gli artisti contemporanei da lui conosciuti e frequentati sia gli elementi – di teoria, di gusto, di stile – che presiedono alle scelte e agli scritti critici. Si delineano, così, le ragioni per le quali via via le predilezioni di Volponi vanno, oltre che verso Piero della Francesca e Masaccio, verso Guercino, Guido Reni, Mattia Preti, e molti incisori, anche contemporanei. Sono allo stesso tempo illuminati i nessi, nell’opera di Volponi, tra la scrittura narrativa e la passione per l’arte figurativa. Il volume si conclude con un ricco dossier figurativo che riproduce le opere della collezione Giovina e Paolo Volponi donate a Urbino (Galleria Nazionale delle Marche).

Leggo, di Maurizio Bettini, Per un punto Orfeo perse la cappa. Sottotitolo: Dieci lezioni di antropologia del mondo antico (Il Mulino, 2024). Come tutti i saggi di Bettini, anche questo ha una caratteristica rara, e preziosa: fa dell’indagine critica un racconto, dell’investigazione filologica e delle ipotesi interpretative un fatto morale, cioè un mezzo che interpella il nostro modo di stare al mondo, in questo mondo. Evocare, sollecitare e interpretare i testi, metterli in confronto tra di loro, illustrare con essi una credenza, un’usanza, una legge, è intendere la letteratura come un grande convito. Nel corpus dei testi circola, insomma, una vita che è l’analogo o talvolta l’exemplum di quella vita che circola nei corpi fisici, nei nostri corpi. Si potrebbe allora dire che la filologia di Bettini è una filologia morale perché accoglie il vivente. L’apparato di note, messo dopo il racconto, è la fitta tessitura delle fonti su cui poggia il saggio: riserva di un sapere filologico che permette alla narrazione la sua libertà e il suo ritmo. Alcuni degli affondi tematici: le ragioni per le quali Orfeo si è voltato risalendo dall’Ade, di che natura è la visibilità degli dei e quali forme può assumere, la dea romana del silenzio detta Tacita, le liti nella commedia plautina e nella vita quotidiana, la biologia dei liquidi nel corpo umano, l’incesto.

 
 
 In copertina foto di Giorgio Boato da Avvenire.it