Il nuovo libro di Italo Testa aggiunge, come cita l’autore stesso, quattro nuovi capitoli al poema “che occupa la parte centrale de La divisione della gioia” (uscito nel 2010 e riedito da Industria e Letteratura nel 2024). Coerentemente, sembra poter essere iniziato altrove e poter continuare per sempre, perché insegue una sensazione esistenziale pura, assoluta, che si può esprimere solo attraverso degli ossimori, di cui è ricco: è il transeunte permanente, la condizione inalterabile, inossidabile, dello stare andando, trascorrendo, verso mete che sono sempre state già raggiunte o non si raggiungeranno mai, o sono la stazione momentanea di altri. È il tentativo di rappresentare (o suggerire) il dissolversi dell’io (o meglio, dell’ego) nell’atto del vivere. Ricomprende lo stato di degenerazione, assenza, cancellazione (fine) e quello di apice della consumazione, che è un esser vivi, desti, pieni di gioia e nella luce. In questo ampio, e paradossale, spettro riesce a indicare il nostro esserci come un essere: la destinazione di ogni individuo nella storia—o meglio, nella riflessione che è coscienza appagata della storia.
Paola Loreto
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