Haiku – il fiore della poesia giapponese


HAIKU, LA POESIA DELL’IMMAGINE

 

Mi sono appassionato e ho iniziato a comporre haiku più di dieci fa.

Aver partecipato a più Festival Internazionali dedicati a tale poesia mi ha permesso di conoscere ed entrare in contatto con alcuni dei più grandi haijin (poeti di haiku) e studiosi della materia: è stata una grossa fortuna, poiché mi ha dato la possibilità di approfondire ulteriormente questa poetica.

Leggibili anche in più volte e indipendentemente l’una dall’altra, ho diviso questo scritto in tre parti

Caratteristiche e spirito

Storia e forma

Peculiarità

poiché

1 – ho notato che l’essenza e lo spirito (elementi fondamentali) di tale poetica vengono spesso trascurate e l’attenzione viene posta quasi solo sulle regole dettate nel 17° secolo da Matsuo Basho.

2 – sono comuni alle due correnti di pensiero formatesi nel tempo (argomento di cui scrivo più avanti), quindi ad ogni haiku.

Entriamo ora nel vivo di questa forma poetica che è molto di più che una celebrazione della natura e senza affermare nulla può rivelare molto.

 

CARATTERISTICHE E SPIRITO
 

Nella composizione d’un haiku devono venire rispettati i seguenti punti:

  • Esclusione dell’Ego

anche quando si scrive in prima persona -raramente- si diventa funzionali alla composizione, ovvero si diviene complemento e non si rimane protagonista, non l’elemento su cui si focalizzerà chi legge.

  • Essenzialità

non vi deve essere alcuna parola inutile o in sovrappiù, viene assolutamente evitata la ridondanza: l’Haiku rifugge da trucchi per “catturare” chi lo legge.

  • Semplicità

l’Haiku è una poesia che usa parole semplici, la sua comprensione dipende dalla libertà mentale del singolo, non dal suo grado di cultura: deve poter essere compreso tanto dal professore universitario quanto dall’analfabeta, indi i riferimenti culturali vanno evitati, tranne nel caso di componimenti dichiaratamente dedicati o scritti in tributo a.

  • Universalità

vale quanto scritto per la semplicità, poichè deve poter essere compreso in ogni parte del mondo

  • Evitare il giudizio

nel testo non devono essere presenti né il concetto di positivo né quello di negativo, l’Haiku non afferma ciò che è “bene” né ciò che è “male”

  • L’Haiku non deve contenere un concetto né proporre un’idea

è una poesia che mostra, non che dimostra, né vuole convincere; l’interpretazione del testo è a totale libertà del lettore

  • l’Haiku non contiene narrazioni né affermazioni: porge immagini

ovvero: non “è così” ma “questo”. Parimenti non contiene imprecazioni né sfoghi personali

  • l’Haiku non ha titolo

per non dare indicazioni e conseguentemente influenzare il lettore

  • l’Haiku esclude la rima

onde evitare di “catturare” facilmente il lettore, sviandolo dal contenuto

  • l’Haiku si basa sulle due immagini o sull’immagine che contiene e sulla capacità evocativa del lettore, che diviene così parte attiva

La sensazione attraverso l’immagine e ciò che essa produce nel lettore è elemento primario dell’Haiku.

Le immagini possono essere contrastanti e sono separate dal “kire” o “kireji”, ovvero “parola che taglia”, che determina uno stacco all’interno del testo: tale stacco viene solitamente indicato col trattino o altro segno d’interpunzione o è desumibile durante la lettura.

  • Fondamentali sono la giustapposizione d’immagini che l’haijin propone e la capacità evocativa del lettore (determinata da vissuto, capacità d’immaginazione e profondità personali) da cui le sensazioni vissute durante la lettura e la conseguente vibrazione interiore.

 

Citerò ora quando affermato da Ban’ya Natsuishi e Jim Kacian, che reputo i più grandi haijin (poeta\i di haiku) e studiosi della materia viventi.

Secondo Ban’ya Natsuishi

L’Haiku dovrebbe svelare il mistero, i misteri della vita”

(da un’intervista a Poets International del 2006)

ed elemento essenziale dell’haiku è il kire:

L’Haiku, forma di poesia estremamente corta, deve includere un “kire” (“una rottura o un salto con l’immaginazione”) per lasciare il proprio spazio vasto come un universo. Oltre a ciò, il poeta haiku deve avere uno spirito libero per realizzare tale “kire”.

Jim Kacian, nel suo lungo articolo “First Thoughts — A Haiku Primer”, nel 2006 scrive:

….Tuttavia, pur se gli haiku possono esplorare lo spazio interno, non sono per natura personali. Gli haiku non sono poesie in cui scriviamo di noi stessi, non sono un’altra forma di poesia confessionale; in realtà, sono momenti in cui il poeta perde la propria autocoscienza a causa di una identificazione con il suo soggetto…”

…L’Haiku è un tentativo di oggettivare la realtà, e guardare verso l’esterno piuttosto che verso l’interno…”

Relativamente a ciò riporto qui, pur se non li reputo i suoi migliori, cinque haiku di Ban’ya Natsuishi, tratti da “Pellegrinaggio Terrestre – Earth Pilgrimage” Ed. Albalibri, scritti durante un viaggio in Europa (il primo in Italia, il secondo in Slovenia, due a Parigi e l’ultimo in Turchia):
 

Scatti di luce
dal ventre della morte –
noi vagabondiamo

 

Nebbia, pioggia, tuoni
e per tutta la notte
canti nuziali

 

Compleanno a Parigi:
una lampadina
cade

 

Una candela spenta
silenziosamente sulla sabbia-
mezzogiorno

 

Nella grotta delle ceneri
un’icona di Cristo
in fuga dall’inferno

 

e cinque Monoku (Haiku di una sola linea), di Jim Kacian, tratti da “where i leave off – waar ik ophoud” Ed. t’schrijverke, scelti per mostrare una forma raggiunta dall’Haiku nella sua evoluzione:

 

Tra le statue il resto della storia

 

Dovendo ancora dire le parole fuori forte la solitudine

 

Il divario tra qui e là io

 

Bottiglia vuota il passato è successo qui

 

Il ronzio del colibrì tutto ciò che potrei vedere

 

STORIA E FORMA
 

Pubblicato nel 759, il Manyoshu (Raccolta di diecimila foglie – la più antica raccolta di poesie giapponesi) tra le sue 4496 poesie conteneva anche il Waka (poi chiamato Tanka e Renga)- una forma poetica di 31 onji, divisi in 5 versi di 5-7-5-7-7 onji. (Onji – il conteggio delle sillabe in giapponese corrisponde al numero degli onji -segni grafici dell’alfabeto giapponese. Le vocali possono contenere 1 o 2 onji)

Nel XII secolo, Matsuo Basho (1644 – 1694, letterato, monaco zen e poeta viaggiatore il cui vero nome era Matsuo Munefusa) accorcia tali forme e dà vita all’Hokku (com’era inizialmente chiamato l’Haiku), stabilendone le due regole base:

– essere composto da 17 onji in sequenza di 5-7-5

– contenere un kigo, ovvero un elemento della natura che rimanda a una specifica stagione

a cui associare stati d’animo quali:

sabi (il distacco, la calma, la bellezza della solitudine non come tristezza ma come possibilità di riflessione, il non possesso)

wabi (il risveglio interiore, l’amore per l’imperfezione, il cogliere la bellezza delle cose semplici, il rifuggire l’apparenza, l’arroganza, l’ostentazione)

aware (il senso della transitorietà, la comprensione del mutamento legato allo scorrere del tempo e la precarietà delle cose, senza sofferenza)

yugen (profondità e mistero, l’insondabile che la mente umana può percepire, cogliere ma non spiegare a parole)

Le prime due regole (essere composto da 17 onji in sequenza di 5-7-5 e contenere un kigo), sostituendo gli onji con le sillabe, sono comunemente conosciute come regole base dell’haiku, anche se non andrebbero prese come “Vangelo”, poiché lo stesso Basho compose anche haiku non di 17 sillabe, tra cui l’ultimo prima di morire che ne contiene 18.

Il più conosciuto haiku di Basho (e in assoluto) è:
 

Nel vecchio stagno
si tuffa una rana
il suono dell’acqua

 

di Basho riporto anche il seguente:

 

Erba d’estate
ciò che resta dei sogni
di tanti guerrieri

 

Vengono considerati quattro i grandi maestri giapponesi, nell’ordine, con un proprio haiku per ognuno, dopo Basho vi è Buson (Yosa Buson, 1716 – 1784)

 

Torno a vederli
fiori di ciliegio
sono già frutti, nella sera

 

e poi Issa (Kobayashi Issa,1763 – 1828)

 

Ero, soltanto
ero, intorno
cadeva la neve.

 

Dopo Issa l’Haiku conobbe un periodo un po’ stantio, periodo che terminò grazie all’opera di Shiki (Masaoka Shiki, 1867 – 1902)
 

Io parto
tu resti –
due autunni

 

L’opera di Shiki fu fondamentale, al di là delle sue composizioni, poiché, senza variarne lo spirito rivendicò per l’Haiku due elementi fondamentali:

– la libertà del numero di sillabe (pur rimanendo sempre nella brevità)

– la non obbligatorietà del kigo (l’elemento della natura che rimanda ad una stagione) e il sostituirlo con elementi della vita umana e del quotidiano

Shiki pone così le basi per quello che verrà poi definito “Haiku Moderno” o “Modern Haiku”, che sviluppandosi si affianca all’ “Haiku Classico” o “Classic Haiku”, che continua a seguire le regole poste da Basho.

L’operato di Shiki tocca non solo l’Haiku (è lui a dargli questo nome, poi rimasto nel tempo) riportandolo agli antichi fasti, ma si estende alla tradizione poetica giapponese, che ne riceve una considerevole rivitalizzazione.

Tale rinascita porta, poco a poco, a una diffusione dell’Haiku fuori dal Giappone: fra i primi ad avvicinarsi è Ezra Pound, il quale oltre ad affermare

“L’immagine è di per sé il discorso. L’immagine è la parola di là del linguaggio formulato”

ne dà evidente prova nella sua poesia “In una stazione della metropolitana”, scritta nel 1913: due versi quattordici parole e nessun verbo descrivono un momento nella stazione Concorde, a Parigi:

 

L’apparizione di questi volti nella folla;
Petali su un umido, nero ramo.

 

L’Haiku si diffuse poi tra i poeti surrealisti, in primis Paul Éluard e nel corso del tempo molti poeti si sono avvicinati a tale forma poetica sino a scriverne di propri, il più conosciuto di essi è Jorge Luis Borges. Un movimento che si avvicinò molto all’Haiku fu la Beat Generation, particolarmente con Allen Ginsberg, che ne fu studioso e compositore, e ancor di più con Jack Kerouac, che compose più raccolte fra il 1956 e il 1966, e fu un forte sostenitore della libertà di tema e numero di sillabe nella composizione del testo, rifacendosi a quanto sostenuto da Shiki.

Tra i suoi haiku ricordo ora questo, che si avvicina ad essere un kōan (semplificando tale termine: domanda che non ha risposta. Usato nel Buddhismo Zen)

 

Un calcio a vuoto
alla porta del frigo –
si chiude lo stesso

 

Per quanto concerne l’Italia vanno citati fra i primi Giuseppe Ungaretti e Umberto Saba.

L’interesse del poeta triestino lo portò a comporre nel 1927 “Intermezzo quasi giapponese”, ristampato alcuni anni fa, i cui simil-haiku contenutovi sono in realtà d’interesse più storico che artistico. Altrettanto non si può dire di alcuni haiku di Ungaretti, ad esempio:
 

Balaustrata di brezza
per appoggiare stasera
la mia malinconia

 

altresì non è corretto definire la sua celebre “Soldati” come haiku, infatti:
 

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

 

per essere un haiku dovrebbe (oltre a eliminare il titolo) assumere una forma simile a questa:

 

Autunno
foglie sugli alberi
i soldati

 

o

 

Soldati –
foglie sugli alberi
in autunno

 

Altrettanto vale per “Ed è subito sera” di Quasimodo, da taluni erroneamente ritenuta assimilabile ad un haiku, infatti:
 

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di Sole:
ed è subito sera.

 

per essere un haiku dovrebbe (oltre a eliminare il titolo) assumere una forma simile a questa:

 

Solo
trafitto da un raggio di sole
e subito sera

 

o

 

Solo, trafitto
da un raggio di sole
e subito sera

 

Fra i famosi poeti italiani che hanno composto degli haiku vanno ricordati Andrea Zanzotto e Edoardo Sanguineti.

 

Venendo ai giorni nostri, l’Haiku si è diffuso e viene praticato in tutti i continenti (non molto in Africa, in verità), a livello generale e non solo di un’élite poetica.

Fuori dal Giappone e dall’Asia le zone in cui ciò è maggiore sono il Nord America (dove sono state fondate più associazioni) e l’Est Europa, particolarmente in Romania, ove vengono pubblicati più periodici dedicati all’Haiku.

Per quanto concerne il web troviamo molti siti, di associazioni sparse in tutto il globo, dedicati a tale poetica.

 

PECULIARITA’
 

Giocando con le parole potremmo dire che un haiku è ciò che rimane al lettore una volta elaborate le sensazioni prodotte dalle immagini presenti nel testo.

Venendo a più semplici note, tanti haiku sono composti da un istante (“l’istante che si fa verso”): può sembrare poco, ma è un istante che colpisce dentro, una freccia che raggiunge l’inconscio, lo muove, scuote, anche risvegliando parti sopite o aprendo porte a stanze non ancora conosciute.

Nel 2008, al 1° Tokyo Poetry Festival, fui tra gli haijin cui venne chiesto, dopo i reading, un intervento parlato sull’Haiku. Nel mio discorso posi l’attenzione su come l’Haiku non manipola il lettore (o l’ascoltatore) ma ne tocca le parti non consce, saltando oltre il pensiero.

Parte primaria del nostro pensiero sono le immagini.

Quando qualcuno ci racconta qualcosa noi costruiamo una o più immagini e tramite queste pensiamo, realizziamo quanto ci viene detto. In breve: costruiamo\focalizziamo il nostro pensiero sull’immagine visualizzata sulla base di come una cosa ci è stata presentata\raccontata.

Chi vuol “regolare” la nostra vita e il nostro pensiero è a conoscenza di ciò, indi sa come manipolarci. Il “gioco” è semplice: basta “presentare” un fatto, un evento, una situazione etc. nel modo più consono affinchè visualizziamo un’immagine che ci conduca poi al “pensiero che vogliono farci pensare”.

L’Haiku è antitetico a ciò: con le sue immagini non ricorre al pensiero ma raggiunge direttamente il nostro inconscio senza indicargli alcuna direzione, indi quella che scegliamo è nostra e solo nostra. Quanto appena scritto determina che il lettore o l’ascoltatore siano parti libere e attive, non manipolabili.

Mentre dopo la lettura di una poesia può esserci da parte del lettore un’

adesione

più o meno profonda (ad esempio per similitudine di esperienza vissuta) o una

riflessione

più o meno profonda (ad esempio per una presentazione della realtà ampliata o diversa da come sino a quel momento percepita), quando un Haiku tocca il lettore dà luogo a un’

attivazione

cui segue un libero movimento della nostra parte profonda (nel corso degli anni mi è capitato più volte che lo stesso haiku causasse sensazioni e stati d’animo diversi in chi l’aveva appena ascoltato).

Concludo sottolineando che queste mie riflessioni non intendono in alcun modo affermare la superiorità o l’inferiorità di valore e\o d’importanza di una poetica rispetto a un’altra, sono solo l’evidenziare una peculiarità della poetica Haiku.

 

Un haiku –
poche pennellate
con il quadro dentro

 

Toni Piccini

 
 
 
 
 
 
 
 

Haiku – Il fiore della poesia giapponese da Basho all’Ottocento (Mondadori, 1998, 2015)

 
 
 
 

pioggia:
attraversa il mio cancello
un mazzo di iris

Ito Shintoku
 
 
 
 
c’è una meta
per il vento dell’inverno:
il rumore del mare

Ikenishi Gonsui
 
 
 
 
pioggia di primavera:
riflessa negli occhi bovini
che non la vedono

Konishi Raizan
 
 
 
 
la primavera parte:
pianto tra gli uccelli e lacrime
negli occhi dei pesci

Matsuo Basho
 
 
 
 
acquazzone:
guarda fuori sola
una donna

Takarai Kikaku
 
 
 
 
fredda più della neve
è sui capelli bianchi
in inverno la luna

Naito Joso
 
 
 
 
uccelli migratori –
anche la casa dove sono nato
è oggi il tetto di una notte

Mukai Kyorai
 
 
 
 
nella mia stanza pesto
il pettine che fu di mia moglie –
nella mia carne, un morso

Yosa Buson
 
 
 
 
spirito dell’inverno:
nella luna luminosa,
una grandinata

Kato Gyodai
 
 
 
 
tristezza:
per il bambino ammalato
una gabbia di lucciole

Yoshikawa Ryota
 
 
 
 
acqua fredda
e due gallette di riso:
la mia estate

Miura Chora
 
 
 
 
ad ogni cancello
la primavera comincia
dal fango sui sandali

Kobayashi Issa
 
 
 
 
sulla spiaggia di sabbia,
impronte, lungo è il giorno
di primavera

Masaoka Shiki