Corrado Benigni

Corrado Benigni 1

Foto di Dino Ignani

 
 

Sul libro, senza prefazione né postfazione, con una quarta di copertina che parla d’altro e nessuna nota bio, la figura di Corrado Benigni sembra un atomo che si perde nel tutto.

Corrado Benigni è nato a Bergamo dove risiede. Ha pubblicato Tribunale della mente (Interlinea, 2012) e Alfabeto di cenere (Lietocolle, 2005). Nel 2020 ha vinto il premio Ciampi Valigie Rosse 2020. Tempo riflesso è uscito nel 2018 per Interlinea.

È un nichilista travestito da assertore e questo dà non so come alle poesie un’incandescenza di parola. Esiste un video, protagonista Corrado Benigni, in cui il poeta spiega e si spiega. Senza questi corollari, la sua poesia potrebbe appunto apparire come nichilista e tutta nel verso.

Invece ha un suo perché, se collocato nell’insieme parola ed esistenza.

Pierangela Rossi

 
 
 
 
Prospettiva
 
Sospendete per un attimo il giudizio, leggete
tra le righe di questo sonno. Troppa vita
è sepolta sotto falso nome.
L’avanzare muto di un albero,
l’acqua che si gela e torna acqua.
Scavate sotto lo spessore delle voci, lì
dove l’effetto è senza causa e il caso
disegna le traiettorie del destino.
Il tempo è un rarefarsi in forma di persone
e uno sconosciuto chiederà l’ora all’angolo della strada.
La parola intanto cerca di afferrare
la profondità della fuga,
come in una prospettiva.
Ma un miraggio sigilla la visione,
questa gravità che non trattiene. E ci tiene.
 
 
 
 
 
 
Segno
 
Tutto lascia una scia di scrittura.
Tutto si muove in un’unica sintassi.
Le onde che ci attraversano
In assenza di campo,
l’acqua che cancella e decifra.
Nessuna direzione è tracciata,
eppure qualcuno per noi
volta le pagine di un libro
dove ogni azione è segnata.
Ma a quale appello rispondono
le cose che non riesco a nominare?
Nulla è promesso, nulla è sottratto
e la strada è muta.
Lo dicono queste pietre
che abitano il presente prima di noi.
 
 
 
 
 
 
In nome di che?
 
In nome di che cosa scriviamo
e cerchiamo nella parola una scintilla?
In nome di che cosa i pianeti ruotano
intorno a orbite fisse
e un’attesa ci fa dire: più in là?
Non possiamo parlare in nome della verità,
ma possiamo dire il vero, custodire una voce,
mentre le radici diventano alberi
e gli alberi case per insetti.
Lasciatemi tempo, dicevo da bambino.
Ora dico: occhi e mani, quello che resta della luce
di una promessa,
mentre il futuro si restringe a perdita d’occhio.
Scrivo da qui e a qualcuno. Finalmente
Il luogo non conta.
 
 
 
 
 
 
Da qui
 
A chi domandare? E cosa?
In quest’attesa che fa scudo all’aldilà
mentre brama uno spiraglio,
come le ore lunghe dell’inverno
quando di sera lottano luci basse e vento
nelle strade deserte della città.
Un silenzio pesa nelle parole, una presenza
misura recidiva i nostri passi.
Siamo scrittura da decifrare
tra la pietra e le sfere,
conosciamo noi stessi
solo fino a metà della prova,
da dove il destino è inciso
con un nome di figlio sull’acqua.
 
 
 
 
 
 
Particelle elementari
 

Ci sono attese ferme da millenni emani tese verso uno spavento già accaduto, luci di costellazioni lontane che arrivano a noi soltanto ora. Una cecità rende tutto più visibile Affida all’intermittenza della parola la perfezione umana della vista, seguire il movimento che non si vede ed esiste. Il buio che precede la luce, le particelle elementari della polvere dove qualcosa pare esserci. Intervalli e cadenze, tutto segue un ritmo, una sequenza invisibile. Sta a noi, mappe nel vento che nessuna mano trattiene, trovare l’assetto.