Augusto Pivanti suggerisce Luca Bresciani



 
 
Il corpo si costituisce
otto ore a notte
e la pena si sconta su un fianco
diventando la metà di un uomo.
 
È trapianto la parte mancante
in chi è spezzato dalle onde
e ha per linea di galleggiamento
la cicatrice di uno scudiscio.
 
Da Linea di galleggiamento (Lietocolle-Pordenonelegge, 2020, collana Gialla)
 
 
 
 

L’autore mantiene costante la Linea di galleggiamento nella conservazione di un equilibrio acrobatico equidistante dalle differenti esperienze a cui rimane aperto, anzi, spalancato da e in ogni direzione. Contribuiscono al permanere “nel profondo della superficie” una pluralità di funzioni e di “organi del sentire”, luoghi di esercizio del senso e dei sensi che – in realtà e in metafora – Luca Bresciani usa secondo fisiologia e necessità, con una geografia mediata tra la fisicità della carne e lo svolgersi del pensiero. Geografia che trova la propria sintesi ideale nel componimento che presta il titolo all’intera silloge.

Scrissi la nota in esergo per la quarta di copertina dell’intera silloge, uscita nella Collana Gialla di Pordenonelegge e presentata all’edizione del Festival 2020. Entrando nel dettaglio del componimento – a distanza di anni e di letture – sovvengono i riferimenti alle calviniane Lezioni Americane, e ad alcuni tra i temi scelti dallo stesso Calvino per le sue conferenze all’Università di Harvard: ‘leggerezza’, ‘rapidità’, ‘esattezza’. Se la cicatrice di uno scudiscio appartiene alla ‘rapidità’ evocata del gesto che la provoca, la linea di galleggiamento – che a prima vista può apparire come il luogo disperante della sopravvivenza – costituisce in realtà la ‘leggerezza’, la salvezza in chi è spezzato dalle onde. E il trapiantola parte mancante o necessitante di salvifica sostituzione – appartiene all’‘esattezza’ della misura, al tentativo di ripristino di una condizione capace – come descritto nella quartina precedente – di consentire all’uomo di non dimezzarsi a causa del sonno e – simbolicamente – della notte, dell’assenza di luce.

Il “parlare del sé in modo collettivo” è fra i talenti del Bresciani: nel suo modo di rappresentare, appare costante la volontà del dire il sé lasciando accesso all’alterità, in modo che la lettura mantenga spazi interpretativi chiari e – al tempo stesso – adattabili, modellabili all’esperienza di ciascuno. Il procedere dell’autore per successioni di quartine – forma ricorrente nell’intera opera – indica una tensione costante verso la musicalità e il (ri)suono del testo, un porsi in modo ritmico assecondando il lettore nella proposta di un “mai troppo e mai troppo poco”, trappola nella quale cadono non infrequentemente poeti coetanei di Luca Bresciani, testimoni “di mezzo” della tradizione quanto figli dei centoquarantaquattro caratteri del nostro linguaggio quotidiano. Al riguardo, nell’ottima postfazione di Paolo Maccari alla silloge, viene confermata e amplificata – e la poesia Linea di galleggiamento non è stata scelta a caso come portatrice del titolo – la l’analisi appena esposta: “le quartine accoppiate di Bresciani, talvolta scisse in distici, talaltra prolungate in una terza strofa, disegnano un dissidio interiore, profondo e fecondo perché incapace di cullarsi nei propri demoni.

Con l’uso accorto e non appariscente dei sigilli della rima (che pure sa sprizzare sapientemente nelle chiuse più conseguenti e amare, o camuffarsi in assonanze e consonanze), con una ritmica che si modula secondo la sintassi interna del discorso poetico piuttosto che esporre le scansioni tradizionali (anch’esse presenti e dissimulate), la compagine stilistica ribadisce una ricerca austera, estranea a ogni lenocinio formale poiché intenta a mimare le accensioni e le cadute del soggetto di fronte a una negatività che non si trasforma mai in compiacimento negativo. Nei versi si assiepano segnali di allarme, che lampeggiano nei più innocui oggetti o nelle occupazioni meno insidiose, come può essere, nella prima poesia, la rigovernatura dei piatti. E se certa metaforizzazione fantasiosa rimanda a un Novecento analogico, non immemore dei procedimenti surrealisti, è a Caproni che fanno pensare certi improvvisi e inquietanti lampeggiamenti oggettuali”.

Infine, se Calvino sostiene che “la letteratura non esaurirà mai la sua forza di raccontare le infinite possibilità dell’esistenza”, alla poesia viene implicitamente affidato il compito – laddove (come qui) diventa forte, organica al battito e alla sincronia di corpo e pensiero – di ristabilire l’unità, come nei passaggi di questa Linea di galleggiamento che tutti abbiamo (più o meno consapevolmente) sperimentato.

Augusto Pivanti