Scripta non manent – Sandro Pecchiari

Bozza automatica 948Scripta non manent, Sandro Pecchiari (Samuele editore 2018, collana Scilla, prefazione di Giovanna Rosadini).

Leggere il libro di Sandro Pecchiari pone di fronte a domande sulla poesia stessa. Avevo già avuto modo di parlare della poesia di questo autore, concentrandomi sul significato dell’autotraduzione. Ne L’imperfezione del diluvio autotradursi significava in un certo senso modellare una lingua sull’altra, riflettere sulla lingua, sui concetti di integrazione e adattamento. Ancora una volta, con Scripta non manent, Sandro Pecchiari dimostra di essere interessato alla riflessione sulla parola, al significato e al significante. Se in poesia la parola è tutto, una delle prime e fondamentali domande che un poeta deve fare a se stesso e alla propria poesia è: quando una poesia è veramente conclusa? C’è un momento della vita artistica di un autore in cui, di fronte al foglio, non sente più il bisogno di levigare, correggere, eliminare? E questa è la domanda che percorre l’intero lavoro di Pecchiari, il filo conduttore.

Il titolo è emblematico da questo punto di vista: le cose scritte non restano veramente le stesse per sempre. Il sottotitolo infatti è Riscritture. L’autore prende in mano le raccolte passate e le scandaglia, operando un lavoro anche filologicamente interessante. Molto spesso, confrontando le due versioni, quella originale e quella rivisitata, si nota come l’autore agisca per sottrazione, testi in cui a volte anche il senso appare diverso, come a inglobare tutto il percorso emotivo-esistenziale regresso, immagazzinato e rielaborato. In questo senso i testi rivisitati risentono della forza del cambiamento, ne sono pregni. In altri casi Pecchiari decide di lasciare la versione originale che considera quindi “definitiva” almeno per il momento.

Si nota come l’autore decida di mantenere inalterati soprattutto i testi tratti dall’ultima raccolta (L’imperfezione del diluvio, già citata precedentemente, libro pubblicato nel 2016) forse perché è proprio a distanza di anni, spesso, con un certo allontanamento sia cronologico che emotivo, che si riesce a guardare i propri testi in modo più distaccato e quindi a operare un cambiamento che, seppure doloroso, ci appare indicato.

L’operazione di Pecchiari è interessante anche perché pone il poeta al centro di una riflessione con se stesso in cui “riscrivere” vuol dire “riaversi” ovvero riappropriarsi di una certa indagine introspettiva che ha come frutto la parola poetica, sempre viva e sempre nuova.

Nell’ultima parte del libro, scritti inediti danno il passo all’intero progetto: “nòminati/ora che sparisci/i corpi/vanno in un altro dissetarsi”. Le cose esistono perché le nominiamo. E ancora: “una tregua ora/ dal gettare via il passato/ di ciò che si diventa”. C’è un momento in cui la pace sembra raggiungerci, quasi inadeguata e lì possiamo fermarci e mettere un punto.

 

Melania Panico

 
 
ANNI VERDI – versione originale
 
verdes anos canta un fado…
verdi? sì, verdi nel suono
che riavvolge le persiane del passato.
verde? certo, verde fresco,
innescato nelle gemme delle scelte,
che si apre in vetro scuro
per le gazze, per i falchi.
verde, certo, quello dolce degli occhi
tra le rughe, che dimentica le mani
e il tuo pulsare.
verde, forse il verde buio degli amori
resi lisi e regalati per stanchezza
a chicchessia.
verde marcio, verde bile del rifiuto,
della lotta per le spoglie.
verde, sempre verde, che non vedi,
che non senti, verde, certo, verde
luce, abbacinante
nel setaccio dei bilanci,
emozione di smeraldi rinnovati,
del sorriso, il tuo sorriso
spalancato dentro l’aria
e sperduto tra la gente.
 
 
 
 
ANNI VERDI – versione rivisitata
 
verdes anos canta un fado
verdi nel suono
se riavvolgi le persiane del passato
verde fresco
nelle gemme delle scelte
che si apre in vetro scuro
per le gazze, per i falchi
verde dolce
degli occhi tra le rughe
e dimentico le mani
e il tuo pulsare
verde buio
degli amori resi lisi
per stanchezza
verde marcio, verde bile del rifiuto
della lotta per le spoglie
verde, questo verde
che non vedi, che non senti
verde luce di smeraldo
del sorriso, il tuo sorriso
spalancato dentro l’aria
e sperduto tra la gente
 
 
 
 
ABENTEUER – versione originale
 
…e l’esserci stati riparte dai racconti,
a volte infiorettati fino a sorriderne,
fino a sorprenderci, fino a voler vedere.
Vecchie mappe dipanano visioni
e scambi tra le genti,
misurando il tempo in viadotti e gallerie.
E gli scarni bocconi d’una via che resta
s’avventurano nel sentore di ferro tutt’intorno,
nello scarso schioccare di sterpaglie infrante.
Sovrappongo le carte scolorite sulle schegge
d’un silenzio sbarrato o dipanato
in cancelli o sentieri che si scrollano,
spintonando un’ansia di velocità.
E ti soffiano il vuoto a brandire orme
dentro a una direzione che desideri:
si confondono tutte ormai
in un vasto, confortante labirinto.
 
Monrupino, Trieste
 
 
 
 
ABENTEUER – versione rivisitata
 
l’esserci stati riparte dai racconti
fino a voler vedere
vecchie mappe dipanano visioni
e scambi
misurando il tempo in viadotti e gallerie
e gli scarni bocconi della via che resta
nel sentore di ferro tutt’intorno
nello scarso schioccare di sterpaglie infrante
sovrappongo le carte scolorite sulle schegge
d’un silenzio sbarrato o dipanato
spintonando un’ansia di velocità
dentro a una direzione che desideri
si confondono tutte ormai
in un vasto, confortante labirinto
 
 
 
 
nòminati
ora che sparisci
i corpi
vanno in un altro dissetarsi
erano nel tuo pressarmi
in lastroni di respiro
penetrare e fonderti
fino a solcarci
il tuo farti acqueo
non ha memoria
e sfoggia emozioni senza ossa
e senza ossa stilla
non puoi competere
con l’immobilità del dopo
il leggero avvizzirti
nelle frasi