IL VELIERO CANNIBALE 16 – ACUSHNET I

IL VELIERO CANNIBALE 16 - ACUSHNET I

Winslow Homer. The Gulf stream, 1899

 

 

Malinconie, anacronismi e moralismi del Capitano Peleg

 

 

Moby Dick è il libro che più si avvicina al Libro dei libri. In nessun altro si disputa intorno all’esistenza di Dio, o alle prove della sua inesistenza. In uno l’immensa Arca; nell’altro l’oscuro Pequod, che è di Achab, ma non è Achab, perché il Pequod è il suo proprietario, il quacchero, il dimenticato Peleg, che l’aveva addobbato “come un barbaro imperatore etiopico… Era fatto di trofei. Un veliero cannibale, che si ornava delle ossa cesellate dei suoi nemici”.

Parafrasando le parole usate da uno scrittore per parlare di un altro scrittore, il nostro Capitano Peleg, risorto con un artificio, è un naufrago del passato che il Fato ha proiettato sulle sponde di un altro tempo. A cura di Frescobaldi MacIntyre.

 

ACUSHNET

 

“The ocean doesn’t want me today
but I’ll be back tomorrow to play”

 

Parte prima

Accadde di nuovo all’alba del terzo giorno di bonaccia.

 

Tutti attendevano il vento, che invece continuò a disertare quel braccio australe di oceano, che il capitano Valentin Pease in quel periodo dell’anno ricordava sempre ribollente di schiuma e abitato dall’aliseo. Fu la barca sperduta, quel che ne restava, la rivelazione di quel giorno che nasceva.

Il primo a scorgere la sagoma e assegnarle un nome fu Enoch Read durante il suo turno di guardia alla gabbia. Lo fece con quella voce che pescava nel fondo del petto e nell’inquietudine di una vita che aveva trascorso a guardarsi le spalle, prima di scegliere il mare. Non aveva esitato un momento a decidere che quell’ombra che appena si rifletteva sul mare e si sovrapponeva sull’orizzonte era una barca; e l’aveva gridato trionfante, con un entusiasmo quasi fuori luogo.

L’annuncio colse Pease nella sua cabina, sveglio da un’ora, passata a leggere. Come cacciatore di leviatani e comproprietario di navi baleniere era orgoglioso di poter recitare a memoria il Libro di Giona, tanto da sopperire al vuoto che la sua Bibbia soffriva nel punto corrispondente, dove le poche pagine che narravano la storia del profeta inghiottito dal grande pesce erano state strappate da qualcuno; forse era stato proprio lui, ma non ricordava quando e perché. Le aveva sostituite, comunque, con dei fogli sottratti a un vecchio taccuino, dove aveva ritrascritto a memoria il testo scomparso, e aveva ceduto alla tentazione di aggiungere, qua e là, alcune riflessioni personali, per lo più sul mare, una delle due voci possenti che ha il mondo, come avrebbe detto il poeta di Somersby.

Ma da tempo, e con maggiore costanza durante quel viaggio sull’Acushnet, alla lettura del Libro (un’edizione edimburghese della versione di re Giacomo che seguiva la sua famiglia da quasi mezzo secolo) alternava quella di Hawthorne, Tennyson (le cui prime opere gli erano giunte direttamente dall’Inghilterra) e soprattutto Sameul Taylor Coleridge, i cui volumi teneva appoggiati sul tavolo da lavoro sotto un fascio di carte nautiche, nascosti allo sguardo altrui, quasi si vergognasse o trovasse inopportuno che qualcuno potesse pensare a lui come un uomo profondo o assetato di sapere e non solo dei profitti che la caccia gli avrebbe fruttato. Aveva constatato – non senza un vago senso di colpa, reso più che tollerabile dal tipo di vita che conduceva, e in particolare dalla enorme quantità di sangue che spillava insieme all’olio dalle creature che uccideva per lavoro – che la Bibbia non poteva bastargli.

Leggeva proprio la “Ballata” di Coleridge quando gli giunse il grido di Enoch Read, che annunciava al mondo l’avvistamento.

 
Cadde il vento
caddero le vele…

 
 

Ripose con calma il libro. Si affacciò dalla piccola apertura che fungeva da finestra e illuminava debolmente la cabina.

Il mare è un deserto e quello che si materializza sull’oceano sono miraggi, pensò Pease. Ma da quel pertugio, a pochi metri dalla linea di galleggiamento, riuscì a intravedere anche lui quello che molto più in alto il gabbiere dalla voce senza tempo aveva riconosciuto. Era una barca, non c´erano dubbi.

Senza fretta indossò gli abiti e il cipiglio del comando e salì sul ponte.

Trovò metà dell’equipaggio addossato a babordo, nella direzione che Enoch Read continuava a indicare con il braccio teso come l’ago di una bussola.

Pease armò una lancia che raggiungesse il relitto, che ai più continuava a restare una sagoma vaga e scura il relitto. Come quasi sempre accadeva non salì sulla scialuppa; vi presero posto Smith, Bernard, l’Irlandese, Hubbard, Barnet, Little Jack, Melville, e al comando John Hall, il secondo ufficiale, alto come una pertica.

La lancia si allontanò rapida e silenziosa sull’acqua, con Hall in piedi a prua, che un minuto dopo l’altro rimpiccioliva, fin quasi a sparire.