Gli anni degli altri di Marco Carretta


da Pordenoneleggepoesia
 

Nota di lettura di Fabio Franzin a Gli anni degli altri di Marco Carretta, collana di poesia Nereidi, Vydia editore, prefazione di Francesco Targhetta

 

Come ha ben evidenziato Francesco Targhetta nella sua precisa e accurata prefazione a questa raccolta seconda di Marco Carretta (già espressa in versi brevi ma densi e acuminati, nella raccolta d’esordio: Per far vivere altro cadiamo, ma con isole di senso e tematica di una più immediata fruizione), la poesia dell’autore patavino “è sincopata ed ellittica, fatta di inceppamenti e reticenze, controcanti e correzioni”, così che il lettore, a una prima lettura, rimane stordito, fatica a dare, e darsi, a una logica, mettere ordine a un materiale lessicale che sfugge, ritorna, chiama altro “usavi male i verbi, li armavi”, in una sorta di pastiche linguistico apparentemente disordinato e fuorviante.

Eppure degli ordini, delle linee guida ci sono, nella scrittura di Carretta, ma vengono da lui volutamente mischiati proprio per provocare in noi tale sgomento e anche per rapportarsi a una realtà, così legata a un’informazione (Zanzotto docet: “ormai siamo disinformati di tutto in tempo reale”) che sviluppa solo lacerti di progetti e promesse, di cronache sempre più disumane e incomprensibili, intervallate da spot, frasi o immagini carnascialesche e volgari. Così, come se l’ordine si trasformasse in un ordigno che esplode e scompagina, e butta per aria consequenzialità, sintassi e persino la grammatica di ogni singola frase, che nel caso di un poeta diventa verso (che potremo anche definire come frase che si stacca dalla pagina per muoversi verso il lettore).

Allora evidenziamole queste linee guida (in un certo qual modo, sezioni), questi fili che, nella scrittura di Carretta, si attorcigliano, si strappano, vengono riannodati apparentemente a casaccio: i testi contrassegnati in numeri romani si riferiscono a una passeggiata dell’io poetante, qui espresso in terza persona, che si apre a dei ragionamenti sul passare del tempo; poi, i testi che portano un orario notturno in epigrafe, si riferiscono a un ammasso di pensieri ansiosi e intrusivi che si dipanano nelle ore cupe di un’insonnia e si svolgono dalle 3 di notte alle 5 di mattina (quando l’organismo umano è più indifeso, periodo in cui il moribondo spesso si abbandona alla morte); infine, quelli contrassegnati con data di anno solare, si rifanno a dei ricordi, così a definire un calendario memoriale.

Fabio Franzin

 
 
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