Dolori – Zhao Lihong

Il poeta cinese Zhao Lihong, che sabato prossimo a Lido di Camaiore riceverà il Premio Internazionale in memoria di Rosanna Lupi e Paola Lucarini per la recente opera dal titolo Dolori (Samuele Editore, traduzione a cura di Flaminia Cruciani e Marco Sonzogni con la collaborazione di Marcella Zanetti e con una nota di Adonis), è tra le figure contemporanee più consolidate e affermate nel campo culturale, con oltre 100 pubblicazioni tra raccolte di versi, saggi, romanzi, reportage tradotti in svariate lingue.

Il suo “universo” è bene condensato nell’ultimo volume in versi (recensito a febbraio sempre per Laboratori Poesia da Vernalda di Tanna QUI) in cui la sua visionarietà emerge lampante portando in luce un vivissimo pensiero che si alimenta di immaginazione, sogni, realtà trasfigurata per giungere al disegno di una sofferenza che non è mai solo personale bensì diviene collettiva, universale. La motivazione con cui ha vinto la sezione dell’Internazionale al Premio Camaiore parla di una “ricerca costante che si misura questa volta col tema del dolore: possiamo accettarlo quale nostro compagno di viaggio, nella quotidianità e nello scorrere della vita che tuttavia ci sorprende in ogni occasione. Nonostante le dissociazioni tra corpo e volontà, quando gli occhi annegano, anche le cicatrici possono portare a rifioriture e si può mantenere dritta la spina dorsale. Zhao Lihong non cerca una vittoria e una rivincita, ma lascia intravedere sollievo, accettazione e liberazione: il dolore è una realtà disarmante e vera che smaschera tante menzogne, come del resto deve fare la poesia. Sottolinea Adonis nel presentare il libro che ‘l’essere umano vive nell’assurdità del mondo ma ha la capacità di trascenderla’, come l’albero che diventato matita lascia impronte delicate sulla tela della vita”.

Ecco: nella cinquantina di componimenti che formano il libro l’autore cinese si denuda, si offre in tutta la sua fragilità che è poi quella dell’uomo d’oggi, costretto dalla modernità a fare i conti con una tecnologia imperante e dominante, a un’incapacità di rapportarsi con dignità alla natura, a un’irrisolta relazione con la morte che in quest’opera riveste un ruolo non secondario. Egli ci stimola a non nasconderci e a non condurci sotto una torre d’avorio bensì a misurarci con noi stessi, momento dopo momento.

Tra mondo onirico e realtà quotidiana c’è un avviluppo lento, ma costante che, come in un saliscendi, conduce alle vette del creato e negli abissi più profondi, fuori e dentro di sé: la poesia di Lihong, guizzante e frastagliata, è imbevuta di uno sguardo mediato dalla sua profonda cultura, uno sguardo che viaggia nel tempo e nello spazio con inarrivabile facilità e semplicità di parola manifestando un pensiero che devia, muta, si riannoda a un passato apparentemente distante, tesse una tela tra i vivi e i morti, colpisce per i fotogrammi ideati a profusione. Interessante è poi l’estraniarsi dell’anima dal corpo

Io splendo
la mia anima
attende al cospetto
della mia carne
lo spettro riflesso
risplende scintillando
giungo un volto di pietra

Un richiamo alle filosofie orientali, a un verso che esplicita il candore dell’assoluto, di un Essere (Dio, la natura, il tutto) al quale, come davanti a una forza centripeta, siamo inevitabilmente attratti quale che sia la funzione e il destino del corpo, oltre “il mondo e le sue pustole infinite”. Nulla muore di ciò che ci è stato lasciato poiché

le carte portano i segni dei morti
sotto lo sguardo acquoso
le parole si muovono
emettono un suono gentile e familiare
e mi riportano indietro nel tempo
a sedermi sotto la luna
a camminare nei campi

E proseguendo in questa riflessione ecco comparire le ombre, “l’amico più fedele” del poeta, elementi che distinguono i vivi, a cui appartengono, e i defunti che come i fantasmi sono nudi, privi di esse. Le ombre sono il luogo mobile in cui luce e oscurità si incrociano, si rincorrono, si manifestano l’una grazie all’altra sì che entrambe stanno a indicarci la presenza di qualcosa o di qualcuno.

e farei amicizia solo con uomini avvolti dalle ombre
e anche la mia ombra nella sua timidezza
emergerebbe dalla mia vanità a ricordarmi
sei un uomo vivo
e come tale vivi

Nel frangiflutti della coscienza, in questa gibigianna che la vita ci proietta davanti l’autore racchiude il suo grido disperato al tempo: tornare all’infanzia, allo stato di assenza di parole per riscoprire di nuovo ciò che significa l’esistenza. Reimparare a imparare, in buona sostanza per farsi a sua volta ri-conoscere dal mondo stesso. L’alta testimonianza poetica di Lihong è consustanziale all’anelito costante alla libertà, insopprimibile esigenza dell’uomo d’ogni tempo, più forte di ogni dolore: così

Mi lascio ingannare da questo mondo
il mondo si lascia ingannare da me
i raggi X penetrano pelle e ossa
i raggi gamma fondono gli organi
ma non riescono a imprigionare
la mente che è libera
e vaga tra cielo e terra

Come sottolineano Cruciani e Sonzogni nell’introduzione all’opera “la liquidità dei testi in italiano vuole riflettere l’ipnosi incalzante e illuminante che ha accompagnato il lavoro di traduzione”. Un’ipnosi che fa di Lihong un poeta originale, acutissimo, lucido nella sua proteiforme, talvolta angosciante concezione di sé, dell’uomo, del nostro tempo che non smette mai di interrogarsi, di porsi domande, di andare, come un rabdomante, alla ricerca del dolore che marchia la terra.

Federico Migliorati

 
 
Corde vocali
 
Le mie corde vocali
erano lire o arpe
suono meraviglioso
di rugiada che goccia
 
Le corde servivano a cantare
pensavo una volta
tutti i movimenti del mondo
per commuoverlo in canto
chiunque può comporre
le corde rincorrono una melodia celestiale
da cui si accordano tutte le armonie
 
Ci sono anche momenti di quiete
nella cacofonia terrestre
le mie corde diventano rauche
la mia voce
imprigionata invisibile
falsamente vicina
 
La morte tesse intorno a me una rete di silenzio
le mie corde non smettono di tremare
lacerano cuore e polmoni
tuona il suono fino a spezzare
il mondo taciturno
che non permette echi.
 
 
 
 
Voglio dimenticare
 
Voglio dimenticare
la notte in cui mi sono ferito
il sangue illuminato da sezioni di luce lunare
ma il mondo è avvitato ai miei nervi
e duole
 
Voglio dimenticare
quel diluvio improvviso
le sirene sopra le rapide
che si congelavano lentamente
sono un fotogramma dell’acqua che scorre
una nota che non ha suono
 
Voglio dimenticare
la voce delle sirene che mi ha inebriato
ma l’orologio cade continua a cadere
e il tempo scorre come un arco su una corda
tutto in me fa tremare
spazio-tempo
 
 
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