L’opera di Zhao Lihong, uno dei migliori poeti cinesi contemporanei in circolazione, è finalmente approdata anche sugli scaffali nostrani grazie al certosino lavoro di traduzione portato avanti a quattro mani dai curatori della pubblicazione, Flaminia Cruciani e Marco Sonzogni – entrambi affiancati in questa complessa attività da Marcella Zanetti, dottoranda in traduttologia alla Victoria University of Wellington della Nuova Zelanda.
Finito di stampare nel mese di giugno del 2024, Dolori di Zhao Lihong (Samuele Editore, Nuova Collana Scilla, 2024, prefazione di Adonis, Premio Montale Fuori di casa 2025, QUI) è uscito nella Nuova Collana Scilla della Samuele Editore diretta da Alessandro Canzian ed è attualmente il primo titolo straniero nel catalogo di questa nuova serie dedicata agli autori contemporanei noti o storicizzati.
Sfogliando i Dolori di Lihong, almeno per quanto riguarda i dettagli meramente estetici, colpiscono i risguardi e la grafica che nel riquadro in alto in copertina propone un’immagine molto suggestiva. Generata con OpenAI, l’immagine è stata concepita per unire il passato e il futuro, mescolando elementi della tradizione all’innovazione del presente con l’intento di avvicinarsi anche a quello che è stato il tema principale dell’ottava edizione dello Shanghai International Poetry Festival (1-4 dicembre 2023): la Poesia nell’era dell’Intelligenza Artificiale. Per l’occasione – sottolinea il giornalista Tony Mochama su Nation –, Lihong in persona con Dreams and Waking ha composto una serie di versi reattivi nei confronti del rapporto fra poesia e intelligenza artificiale1. In sostanza, l’autore invitava anche in quel caso i destinatari delle sue opere a interrogarsi circa gli ingredienti principali utili a fronteggiare la realtà, se non indispensabili per provarsi nell’esorcizzare la sofferenza individuale e collettiva.
Nei suoi Dolori, Lihong brama «che ci sia quiete dopo quella devastazione apocalittica / che il mondo ritorni al suo stato originario / che quella rete gigantesca / riposi sulla terra / dissolta dai pensieri dell’umanità» (Cellulare e Internet, cit. a p. 112). In un mondo dove tutto sembra confuso e la rete appare al poeta tanto debole quanto «la realtà che si contorce» (Il defunto nel paese dei sogni, cit. a p. 57), la sofferenza sembra essere l’unica declinazione di autentico piacere in grado di far sperimentare agli esseri umani un frammento di quella liquida realtà in cui sono tuttora immersi. Ecco che vivere, per alcuni, è come l’altra faccia di un sogno. Lihong compone testi dal taglio onirico e ci avvicina all’abisso, mentre al contempo ci accarezza con una consolazione: l’umanità non accetterà mai del tutto la realtà che vive o finge di vivere. Infatti nella sua prefazione, firmata a Parigi nel novembre del 2017, Adonis scrive che dove «le cose hanno una sola facoltà – accettare passivamente lo status quo e il proprio destino – gli esseri umani non si limitano ad accettare. L’essenza dell’uomo contempla scioglimento e unione. Gli esseri umani sono pertanto agenti d’iniziazione e mutazione» (cit. a p.13)2.
Ed ecco che «quando chiude gli occhi il mondo / e cala la notte» (cit. a p. 126) i Dolori di Lihong si fanno sempre più intensi, producono una eco della gioia, come è vero che a ciascuna forma di vita corrisponde la sua morte perché quest’ultima non è un punto fermo, bensì è cognizione del dolore che è vita; la morte è parte della vita: trattasi di un’idea molto orientale, che rompe la rigidità del principio di non contraddizione tipico della cultura occidentale.
I versi più martellanti paiono quelli di un testo in cui umanità e natura si abbracciano nuovamente, a dispetto degli umani che camminano sempre con lo smartphone in mano; in questi versi «il dolore è la chiave di volta / su cui sorgono dimore di gioia» (Il dolore è la pietra di volta, cit. a p. 120). Dolore e gioia, vita e morte. Vigilanza e torpore, realtà e sogno. Questi sono versi che puntellano l’intero libro e per estensione persino la poetica dello stesso autore, per il quale la «gioia è l’acqua che evapora / il dolore è il fiume in piena» (cit. a p. 120).
Dunque, tirando le somme, sembra che quest’opera tenti di svestirci un po’, di metterci davanti al vetro dello specchio e, così facendo, di riportarci dinanzi alla nostra immagine – che è quella degli altri esseri viventi –, tentando di rivelarci le cose del mondo, poiché essa tira giù una cerniera di riflessione: quali sono il valore e la cognizione del dolore, oggi, al cospetto dell’intelligenza artificiale?
Un altro libro edito dalla Samuele Editore recentemente ha riacceso la discussione attorno al tema dell’intelligenza artificiale, sollevando tanti interrogativi, ma l’ha fatto sempre con l’intento di aprire finestre di dialogo. Stiamo parlando di Clone 2.0 di Vincenzo Della Mea, il quale – scrive Alberto Garlini su pordenoneleggepoesia.it – «sembra fornirci dei nuovi strumenti di riflessione, per affrontare questa materia in un modo che eviti le facili sintesi o i millenarismi alla Kurzweil, e entri nelle contraddizioni e nelle ambiguità del rapporto uomo macchina, creando uno specchio, o un clone, in cui l’umano si mostri in pieno per quel che è proprio grazie alla macchina». Niente di così astruso o distante da quanto accadeva negli anni Settanta del secolo scorso con le calcolatrici, in fin dei conti. Eppure, è proprio in questa direzione – sebbene egli non condivida questa visione –, che le parole di Lihong sanno illuminare i suoi lettori nel momento in cui crea un gioco di riflessi fra i versi: «Mi lascio ingannare da questo mondo / il mondo si lascia ingannare da me» (cit. a p. 125), perché, d’altronde, «Cercare la gioia nel dolore / è andare in un campo dopo il raccolto / per racimolare gli avanzi» (cit. a p. 120), aspettando «pazienti / che il mondo si svegli» (cit. a p. 126).
Vernalda Di Tanna
Lingua
Papille gustative
nascoste sotto la lingua
non ne conosco la mappa
mi affido alla loro sensibilità
ho assaggiato tutti i sapori della terra
Radice della lingua
legata alla corde vocali
ogni frase che pronuncio
ogni parola
ogni sospiro
è legato a essa
La uso per leccare
assaggiare
baciare
usa migliaia di tendini
per restare unita alla natura
fa domande a cui non so rispondere
chiede
Quello che nasce in bocca
a cosa serve
per assaggiare
per parlare
o per sgranare l’amore
La suola e la strada
Tutte le volte che tocco terra
si dipana una nuova strada
coi piedi misuro la terra
fino al paese delle meraviglie
Ardua la montagna
ansiosa l’acqua
aguzza la scogliera
appiccicoso il fango
su tutte le suole
Ogni passo
marca la terra
la luce della mia vita
scagliata lontano
La terra mi lascia in ricordo
i calli sbocciati sui talloni
le crepe aperte sulle caviglie
Con la suola busso alla terra e faccio domande
la strada inizia con le mie orme
ma non si fermerà quando mi fermerò
Il dolore è la pietra di volta
La gioia è il guscio esterno
il dolore è l’essenza
La gioia è l’acqua che evapora
il dolore è il fiume in piena
Cercare la gioia nel dolore
è andare in campo dopo il raccolto
per racimolare gli avanzi
Cercare la gioia nel dolore
è traversare un canyon innevato
in cerca di fiori
È ora di comprenderlo a fondo
usando la pietra di volta del dolore
ficcarmi il dolore nel cuore come terra compressa
sempre più a fondo
Sì il dolore è la chiave di volta
su cui sorgono dimore di gioia
1 Cfr. https://nation.africa/kenya/life-and-style/weekend/poetry-anthology-launched-at-the-8th-shanghai-festival-4497204, pagina consultata il giorno 10/06/2024.
2 Il testo originale arabo della prefazione di Adonis è stato pubblicato per la prima volta nella traduzione francese di Aymen Hacen (cfr. “Douleurs d’existence et de poésie”, in Zhao Lihong, Douleurs, L’Harmattan, Parigi, 2018, pp. 7-10). La traduzione italiana qui proposta è di Marcella Zanetti con la collaborazione di Flaminia Cruciani e Marco Sonzogni.