Nuoto dentro il mio grammo di buio – Cristian Ponsillo


 
Non ho muscoli né
tatuaggi, ho i peli sul petto
scrivo poesie
rasento il nulla
apostrofo l’oblio
nuoto dentro il mio grammo di buio.
 
 
 
 
Annega i sensi la prima ora
del mattino, urla il cuscino
tonalità sciolte nell’affermazione
di se stessi, prezzi di angosce
mal saldate da corde nelle fosse
tutte appese a reclamare fiato.
Affacciarsi davvero allo spergiuro
diurno, rendere forte il resoconto
dello specchio, spingere oltre il muro
la cronologia della chat di Facebook
mandare a memoria gli smile riscritti
dentro al petto per sembrare vero.
Iconoclasta versificatore di detriti
la penna non è mai servita a nulla
come in questo momento, inchinati
alla storia, la cam girl pagata
ad ora, che ancora chiede quanto
godi dall’altra parte dello schermo.
 
 
 
 
Aggrapparsi ai lacci delle scarpe
stendere fino al cielo
l’aromatico velo
rinchiudere tutto dentro
una inquadratura stretta,
riavvolgere i suoi passi
in un piano sequenza.
 
Le orbite oculari proboscidi
non trattengono la carne,
i bulbi godono il momento
avanzano fiamme nelle iridi
le diottrie sono gradi d’estasi.
 
Polpa dalle palpebre scorre sorda;
immergersi nel buio
per detonare la stasi.
 
 
 
 
Litorale liturgico,
il ricordo risale
da ogni granello di sabbia.
Il fieno lasciato tre le nuvole,
anche da lì hai imparato a saltare
senza farti male. Corrono nel cielo
gli echi delle tue sopracciglia;
quel bacio raffermo sull’uscio
della porta, la sera che la linfa
uscì dall’angolo della stanza
mentre il lato B della musicassetta
avrebbe aspettato per sempre
invano il cambio lato.
 
da RAL 9005, Cristian Ponsillo (Puntoacapo, 2025)
 
 

Emerge, nelle scritture poetiche più avvertite, l’esigenza di esprimere un presagio di apocalisse che respiriamo nella stessa aria ammorbata che ci circonda. “Vacilla tutto il mondo”: così Cristian Ponsillo dà voce (urlo soffocato, piuttosto) al “nero cupido” che nella nostra realtà – spesso virtuale ma mai virtuosa – consuma noi, la nostra umanità, le nostre aspirazioni e il non troppo bene che l’umano sa ancora esprimere a tratti. Immagini di alienazione e devastazione morale di una realtà tanto più sconvolgente quanto più spettacolarizzata dominano una poesia forte che non concede spazio all’ottimismo della commedia ma piuttosto ci mostra noi stessi sull’orlo di un precipizio in cui siamo finiti da soli (p. 50), e in cui è sempre più difficile “scrivere poesie” pensando “che vada tutto bene” (p. 66). Forse ognuno di noi non è troppo diverso dai serial killer della sezione portante della raccolta, “normale all’esterno e mostro all’interno”, nel dubbio se davvero l’uomo sia un angelo caduto o, fin dall’inizio, una creatura dell’abisso.

Mauro Ferrari