Devota come un ramo – Rachel Slade

Devota come un ramo - Rachel Slade 45
 

L’ARTE COME MANDALA

di Sandro Pecchiari

 

Alcune considerazioni sulle opere pittoriche di Rachel Slade presentate a Maniago come primo evento del ciclo Animula Vagula Blandula condotto da Alessandro Canzian in collaborazione con la Samuele Editore e lo Studio Fabbro.
 

La sera della presentazione si è parlato di spiritualità sganciata da ogni sistema religioso che in qualche modo l’ha regolamentata e condizionata, finendo per limitarla e a volte soffocarla nel dogma.

Qui invece si parla di spiritualità pura, individuale che richiede e pretende la scoperta di una propria personale sistematizzazione, di un proprio percorso e la creazione ex novo di una propria ritualità, che a volte è condivisibile, a volte richiede uno sforzo di comprensione e di visione più arduo.

Entrando e scorrendo le opere sono stato colpito dalla loro forma. I disegni in bianco e nero appaiono tutti contenuti, conchiusi e conclusi in sé. Sono luoghi in cui si crea un labirinto di segni che suggeriscono, spingono e conducono a percorrerlo. Ma l’uscita non è data mai. I disegni scurissimi appaiono sospesi in una forma più o meno ovoidale galleggiante in un spazio quasi amniotico esterno bianco con il quale non interagiscono. Il percorso è intimo e personale e suggerisce solamente di iniziarlo individualmente.

 

 

Questa serie di disegni richiamano facilmente il percorso sacro della fruizione di un mandala.

Un mandala, che è sempre un percorso spirituale di concentrazione e di liberazione e non appartiene ad alcuna religione in particolare, ha una via di accesso e una lettura rituale fino alla percezione dell’aspetto della divinità/non divinità a cui esso stesso è dedicato. Non è un percorso rivelato che per iniziazione sacra o, come appare in questo caso, per autoiniziazione. E qui il parallelismo con la scoperta della via da seguire nella lettura delle opere di Slade appare calzantissima.

Dopo la grande serie dei disegni in bianco e nero, Rachel Slade introduce una serie di colori non colori che ampliano e in qualche modo suggeriscono e aiutano a percepire una visualizzazione più estesa. Ognuno in questa fase può collegarsi con il proprio bagaglio culturale e trovare riferimenti addirittura ad opere sacre e alla influenza più o meno evidente o cosciente che queste opere hanno operato in noi in decenni di sedimentazione culturale. Il mondo di questi quadri, simile ad un grembo in gestazione, vibra maggiormente, ma mantiene questa antica forma chiusa in sé mentre le dimensioni dei quadri si ampliano, quasi pronti a suggerire una esplosione con una conseguente uscita da questa creazione troppo a lungo trattenuta.

 

 

E qui che si attende la conclusione di questa parte di percorso, siamo alla fine del mandala, siamo alla percezione e visualizzazione che il mandala ci ha portati a realizzare lo scopo per cui era stato disegnato o dipinto. E necessariamente il disegno deve rompere il guscio e ampliare i percorsi, come ancora non si sa, perché i percorsi sono tutti possibili e vanno tutti ancora esplorati.

E Rachel ci lascia, in questa fase di crescita, con gli ultimi grandi quadri a sfondo azzurro in cui le linee non riportano all’interno ma trascinano fuori in quella che sarà la sua futura ricerca artistica.

 

 
 


 

IL SACRO COME REALIZZAZIONE
L’UMANO COME PARADOSSO

di Alessandro Canzian
 
 

Durante la serata d’inaugurazione di Devota come un ramo, mostra personale di Rachel Slade che deve il titolo a una celebre poesia di Cristina Campo (Devota come un ramo / curvato da molte nevi / allegra come falò / per colline d’oblio, / su acutissime lamine / in bianca maglia di ortiche, / ti insegnerò, mia anima, / questo passo d’addio…) e che ha lanciato il ciclo di eventi maniaghesi Animula Vagula Blandula, si è parlato di sacro in relazione al concetto di riutilizzo nella forma di donazione di una seconda vita, un secondo significato che non dimentica la sua origine ma nello scarto trova l’energia per una seconda direzione.

Soprattutto nel progetto scultoreo della Slade si nota la ricerca di oggetti gettati via (pezzi di sedie) o di rami trovati a terra nelle più disparate circostanze che attraverso un bendaggio e un ingessamento artistico trovano una nuova collocazione. Di particolare incisività il mantenimento di pezzi di rami non ricoperti o il rispetto dato ai manufatti che mantengono la memoria della forma originaria.

 

 

Non a caso tra le citazioni emerse durante la serata l’evangelico Non sono venuto ad abolire la legge di Mosé, ma a realizzarla, esempio di come anche nell’ambito del sacro il concetto di vita contempli un’evoluzione che spesso sfugge all’immediata comprensione. Ciò che insomma era prima ora non è più, ma ciò che è ora mantiene la memoria di ciò che era prima. Allo stesso modo la celebre affermazione adorniana Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzarne le speranze.

Adorno spiega in maniera illuminante l’affermazione evangelica. Ciò che era prima aveva in potenza, era seme, di ciò che sarebbe potuto divenire dopo, e ciò che è divenuto ora è la realizzazione della natura iniziale e originaria. In questo la realizzazione delle speranze che mette in atto la Slade è un’azione artistica tesa a realizzare non tanto il contenuto, il significato dell’oggetto, ma la sua forma. Intendendo così la forma come significato più profondo rispetto al contenuto.

 

 

In relazione ai quadri e ai disegni si nota un maggior vincolo, una minor possibilità di destrutturazione a causa della tridimensionalità materica dell’oggetto. Nei quadri la forma esplode/implode e come in un caos primigenio tenta senza riuscirvi di ricompattarsi in forma intellegibile. Incappando in un paradosso di matrice mitologica. Non a caso una parte delle opere esposte si intitola Laelaps, un mito minore che vuole un cane (Lelapo, di proprietà di Cefalo) tanto veloce che nessuna preda riusciva a sfuggirgli, di fronte a una volpe (la volpe di Teumesso) tanto veloce da non poter essere mai catturata. Lelapo era fondamentalmente destinato a prendere qualsiasi cosa gli capitasse a tiro mentre la volpe era destinata a non essere mai presa. Un paradosso senza possibilità di soluzione risolto da Zeus in ultima battuta. Il dio infatti tramutò entrambi in pietre e trasformò il cane nella costellazione del Cane Maggiore, senza la volpe.

Il paradosso di Laelaps è il paradosso della forma della Slade che riporta al paradosso dell’identità, della storia e della propria storia. Priva di punti di riferimento, di approdi e dove un unico momento di stasi pare essere il tanto evangelico quanto adorniano realizzare il passato. In questo l’arte diventa strumento di soluzione (temporanea?) quasi da estremo principiante luziano, forma che ribolle alla ricerca di una stasi e che è destinata a non attuarsi mai se non, come giustamente è stato sottolineato in sala, nell’attimo dell’ingessamento che, nell’immaginario comune, riporta all’azione della cura ospedaliera, della ricomposizione di una frattura.

 

 

Il tutto in relazione a forme conchiuse in uno spazio definito (come giustamente sottolineava Sandro Pecchiari poc’anzi) e a forme che debordano verso l’esterno in funzione, forse, della compiutezza o incompiutezza della riflessione artistico-poetica iniziale (non va dimenticata infatti la matrice poetica della Slade, che con la Samuele Editore ha collaborato per diversi anni pubblicando infine, nel 2016, Apocryphal House/La casa apocrifa). Quella forma scomparsa che mitologicamente continua a fallire la ricomposizione pur nel suo essere destinata a ricomporsi. Come, a tutti gli effetti, possiamo dire essere la condizione umana.

 
 


 

DEVOTA COME UN RAMO
alcune immagini dell’inaugurazione

 

 
 


 

ANIMULA VAGULA BLANDULA
il programma

 
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