Xe sta trovarse – Francesco Sassetto

Francesco Sassetto 1

Xe sta trovarse (Samuele, 2017) è un libretto di unicamente sette componimenti in veneziano (con relativa traduzione in italiano). L’autore, Francesco Sassetto, audace discepolo di un’onesta ordinarietà teneramente condivisa assieme alla persona amata (il libretto è stato dedicato a sua moglie, Paola), affronta quell’ormai addomesticato idillio che è l’amore. Un amore confortante, catturato nella sua più sana e accogliente forma, narrato attraverso una chiaroveggenza poetica profonda. Ed è “una definizione d’amore maturo”, quella a cui approda Sassetto, perché come è scritto anche nell’accurata prefazione (firmata da Alessandro Canzian) si tratta “di due cinquantenni che si incontrano e si riconoscono, si vogliono. Un incontro alla pari non privo di difficoltà che esce dai confini temporali”.

Si tratta di testi coraggiosi e maturi come i loro protagonisti, non impreparati alle avversità e alle sfide della vita, bensì pronti ad averne ancora, ancora e ancora. L’autore è cosciente di quanto possa essere scomodo il mondo, ne scavalca però i limiti, li infrange: ama; amando non come se stesse amando a vent’anni o a trent’anni.

Sono gli anni che conferiscono sia al poeta sia alla sua amata tanta esperienza. Ed è proprio da quest’ultima che inizia la genesi di una depurazione del linguaggio amoroso che insiste tra i due amanti, ben ravvisabile nel testo Non mi scrivi parole: “d’amore sui biglietti che attacchi ai regali, / non scrivi ‘ti amo’nemmeno sul frontespizio / dei libri che compri per me. // Sono parole troppo grandi, già dette”.

Tanta è la voglia di costruire verticalmente un rapporto solido, con amore, forse anche solo per poco, ma che duri tutto il tempo necessario ad essere e superare il limite spazio-tempo: “E poi mettere piano un mattone sull’altro e cemento / e vedere che tiene, che sale / e andare insieme”. L’amore custodito dal poeta (“io ti tengo come le chiavi di casa in fondo/ alla tasca”) può essere salvifico anche “senza più forze”. L’amore in una coppia di cinquantenni ci restituisce qualcosa di unico in questi testi. Testi completi che si rivelano sufficienti a ri-versare, tra le pochissime pagine della silloge, tutta l’atmosfera magica e seducente che solo Venezia è capace di donare.

Quella stessa Venezia che è vittima del terribile dio denaro e che sta sbiadendo e mutando sempre più. Il libretto, così, abilmente recupera una funzione civile, di denuncia, attraverso passaggi sottili e melanconici: “E adesso io e te a camminare lungo la riva, a guardare/ le Grandi navi che passano e i turisti/ che ridono e fanno le foto, questa nostra città/ disfatta dalla violenza del denaro”.

In sostanza, quella di Francesco Sassetto è una dizione tersa, capace di sondare a fondo sia i più disparati e impensabili tragitti delle calli di Venezia che i luoghi comuni (e non) della quotidianità.

Vernalda Di Tanna

 
 
 
 
Magio
 
E tante robe de l’amor go da imparàr e
de ti che ti me compàgni e te piase
la me vose, i me oci, anca el me dente
sbecà, e queo che no so ti me lo disi ti
come ti fa co i putèi de scuola a métar
le létere a posto par far le parole.
 
E mi te tegno come le ciàve de casa in fondo
la scarsèla, come un lampiòn co fa scuro, ‘na
tovàgia a quadréti da vecia ostarìa, un vin
ciàro e s-cièto, ‘na cansón che te rùsa
in récia, come ’na roba che no scampa via,
na magiéta colór de quel glìsine che là
in fondo de la cale, ti lo vedi,
 
xe pena fiorìo.
 
 
 
 
Maggio
 

E tanto dell’amore devo imparare e / di te che mi accompagni e ti piacciono / la mia voce, i miei occhi, persino il mio dente / spezzato,e ciò che ignoro me lo insegni tu / come fai con i bambini a scuola a comporre / bene le lettere per costruire le parole. // E io ti tengo come le chiavi di casa in fondo / alla tasca, come un lampione quando viene la notte, una / tovaglia a quadretti da vecchia osteria, un vino / limpido e schietto, una canzone che ronza / all’orecchio, come qualcosa che non fugge via, /una maglietta color del glicine che là / in fondo alla calle, lo vedi, / è appena fiorito.

 
 
 
 
 
 
Xe sta trovarse
 
par caso o chissà, xe sta vèrzar un buso
fra grumi de spini e bronse ancora
infogàe, rifarse, ris-ciàr, lassàr
le cale da far ogni giorno vardando le pière
el vodo de le sere senza man né parole,
la tristessa ingropàda ne l’ànema
come ’na sorte
un destìn inciodà dentro in gola.
 
E contarse a tochi, a bocòni, sinquant’ani passài
ne l’ora che i bar se destùa, le ombre se slonga
e coverze i oci, le man se serca
par dir qualcossa che la vose no dise.
 
E po’ métar pian un matón sora l’altro e semento
e védar che tien, che vien su
e ’ndàr insieme par i campi
svodài de un genaio ingelà, tra basi e barufe,
e ’ndàr vanti, scampàr indrìo e po’ ’ncora vanti
 
e ’na to magiéta nel comò a casa mia gera za el sogno
belo de ’na vita nova che ciapava fià, ’na promessa
par tuti i giorni a vegnìr
tuto el tempo che resta.
 
E ti ridevi alòra e ridevo anca mi come ride
i putèi a ’na festa.
E desso mi e ti a caminàr su la Riva a vardàr
le Grandi Navi che passa e i foresti
che ride e ghe fa le foto, ’sta nostra cità
desfàda da la furia de i schèi
 
e tornàr casa par le cale sconte, le man strete
ne le man a no pèrdar i passi nel scuro,
tegnìrse saldi qua che tuto bala imbriàgo
 
ma a volte se verze slarghi impensài
che s-ciàra i oci de luse improvisa
e te dise la strada
come solo la vita sa far.
 
 
 
 
È stato incontrarsi
 

per caso o chissà, è stato aprire un varco/ in un groviglio di spine e braci ancora/ roventi, rifarsi, rischiare, lasciare/ le calli da fare ogni giorno guardando le pietre/ il vuoto delle sere senza mani e parole,/ la tristezza avvinghiata all’anima/ come una sorte/ un destino inchiodato nella gola.// E raccontarsi a pezzi, a brandelli, cinquant’anni passati/ nell’ora che i bar si spengono, le ombre si allungano/ e coprono gli occhi, le mani si cercano/ a dire qualcosa che la voce non dice.// E poi mettere piano un mattone sull’altro e cemento/ e vedere che tiene, che sale/ e andare insieme i campi/ svuotati di un gennaio di gelo, tra baci e litigi,/ e andare avanti, scappare indietro e poi ancora avanti/ e una tua maglietta nel comò a casa mia era già il sogno/ dolce di una vita nuova che prendeva forza, una promessa/ per tutti i giorni a venire/ tutto il tempo che resta.// E ridevi allora e ridevo anch’io come ridono/ i bambini a una festa.// E adesso io e te a camminare lungo la Riva, a guardare/ le Grandi Navi che passano e i turisti/ che ridono e fanno le foto, questa nostra città/ disfatta dalla violenza del denaro// e tornare a casa per le calli nascoste, le mani strette/ nelle mani per non perdere i passi nel buio,/ tenerci saldi qui dove tutto ondeggia ubriaco// ma a volte s’aprono spazi impensati/ che schiarano gli occhi di luce improvvisa/ a dirti la strada// come solo la vita sa fare.

 
 
Francesco Sassetto 1