Waiting to die – Aspettando la morte, Paul Polansky (Caosfera, 2019).
Waiting to die – Aspettando la morte è il terzo libro di poesia a corredo della collana per collezionisti Amaryllis. Collana curata da Valeria Bertesina per i tipi di Caosfera Edizioni. Le poesie della plaquette in questione sono di Paul Polansky (Mason City, 17 febbraio 1942 – 26 marzo 2021), recentemente scomparso, di cui noi di Laboratori Poesia ci siamo già occupati qui, omaggiandolo.
In questa plaquette, leggiamo una delle innumerevoli sfumature che compongono la pennellata lasciata da Polansky, sempre devoto a scrivere in poesia degli Zingari, delle minoranze di cui si è occupato nel quadro della sua vita.
Un tratto evidente della poetica di Polansky consiste nella lucidità con cui egli osservava e diceva la sua verità. Una verità spesso davvero cruda, ma è con essa che Polansky amava confrontarsi. L’opera proposta dai tipi di Caosfera non è da meno: è un sottile confronto del poeta con i giorni che gli restano. Con i versi di Waiting to die, Polansky ha tentato di tener testa alla vecchiaia, come suggerisce il sottotitolo della plaquette (Confronting old age with poetry), che è composta da otto testi.
Una qualità di Polansky è la cura per le chiuse dei suoi testi: queste sono taglienti e brevi, talvolta, sortiscono il medesimo effetto dei lampi a ciel sereno.
Nella prima poesia, anche un pisolino è presagio di una morte in arrivo. Del primo testo, la chiusa è un esempio di perfetta sintesi della lucidità di Polansky, con annesso il desiderio, da parte del poeta, di non rinunciarvi fino alla fine: “Se arriva la morte/ voglio essere vigile abbastanza/ da poter dirmi/ addio”.
Le chiuse di alcuni testi successivi (Work in progress; Ricordi ed esperienze; Purgatorio) non sono altro che domande esistenziali nitide e ben ponderate, nonché una presa di coscienza sulla vita, un lungo lavoro in corso che avrà fine solo grazie alla vecchiaia e, ça va sans dire, grazie alla morte. Per Polansky, i cui dubbi sull’esistenza di un improbabile aldilà sembrano essere sempre più fermi con l’avanzare dell’età, ciascuno di noi è giudice di sé e di quel che ne è stato della propria sorte, così ci redarguisce: “Poco importa quanto buono/ o di successo sei stato/ ricorderai soltanto/ gli sbagli che hai fatto”. Il giorno del giudizio si accavalla agli ultimi istanti di vita. Il poeta non smette, però, di interrogarsi sulla possibilità che la morte sia non dissimile dalla vita e giunge alla conclusione che, se mai esistesse davvero un aldilà, non vorrebbe incontrare né amici né parenti. Che i ricordi restino ricordi, perché ciò che ci mancherà di più, lì, sarebbe l’immaginazione, così come il frutto del proprio lavoro (nonché tutto ciò che nasce anche grazie all’esperienza di vita).
Vernalda Di Tanna
In attesa di morire di vecchiaia
Cinque infarti
un doppio bypass
uno stent e due operazioni
per cancro al colon
eppure posso ancora
masturbarmi.
Lezione numero uno nella vita
La lezione più grande
che ho imparato nella vita:
non fidarti di nessuno
incluso te stesso.
Un aldilà
Se c’è un al di là, e ne dubito forte,
del passato vorrei non vedere nessuno.
Né famiglia, né amici. Li ho goduti in vita.
Che restino ricordi.
Semmai mi piacerebbe rincontrare
i personaggi dei libri che ho scritto.
Saranno loro, lo so, a mancarmi di più.