La fatica del lavoro
Il sottosuolo –
una notte orribile
con luci sonnacchiose
come pupille di mostri.
Puoi lavorare in una caverna che frana
e svela la schiavitù?
Gocciola la sua acqua cupa…
Il vagone – grande quanto la tomba,
tu ed io dovremo riempire
con la nostra condanna.
Il fumo delle mine –
veleno e polvere,
prosecuzione dei fumi della II Guerra Mondiale,
occupa i nostri crani,
scaccia i pensieri. Siamo stanchi.
Anche i cenci del corpo rabbrividiscono di sofferenza.
Il corpo ormai fango,
il sudore lacrime.
Si spezzano i picconi,
e ancor prima di spezzano le nostre ossa.
Nei diversi piani dell’inferno
sale e scende uno schifoso ascensore.
Il suo cavo metallico ci avvelena l’esistenza,
è l’intreccio di tutte le vipere del mondo.
E dopo
viene fuori l’elettromotrice
tirandosi dietro…le tombe.
Fatiga laboral
El subsuelo-
una noche horrible
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con luces somnolientas
como las pupilas de los monstruos.
¿Puedes trabajar en una cueva que se derrumba
y revela la esclavitud?
Gotea su agua sombría…
El vagón – tan grande como la tumba,
tú y yo tendremos que llenar
con nuestra perdición.
El humo de las minas –
veneno y polvo,
continuación de los humos de la Segunda Guerra Mundial,
ocupa nuestros cráneos,
ahuyenta nuestros pensamientos. Estamos cansados.
Incluso los harapos del cuerpo tiemblan de sufrimiento.
El cuerpo ahora barro,
lágrimas de sudor.
Los picos se rompen
e incluso antes nos rompemos los huesos.
En los distintos pisos del infierno
un sucio ascensor asciende y desciende.
Su cable metálico envenena nuestra existencia,
es la telaraña de todas las víboras del mundo.
Y entonces
llega el electromotor
tirando detrás de él… las tumbas.
Il secolo dei bambini
Invecchiano i secoli
i bambini sono sempre bambini,
amano i giocattoli
e ammirano il cavallo.
Dopo viene il primo libro
e il primo amore
e la meraviglia per l’uomo a cavallo.
Quando nasce l’odio per la tirannide
è finita l’infanzia.
Ti rivesti di virtù
come una corazza,
stringi in mano il coraggio come una spada
e accetti seriamente i giochi della vita. Ora
sei l’uomo
che inventa fiabe,
ma il secolo volge al termine velocemente:
e…giunge il fanciullo dell’altro secolo
con la nave spaziale – giocattolo,
conosce i pianeti come i nomi dei cani.
Il museo è zeppo
di armi e medaglioni di tiranni
di stendardi prigionieri e ideali prigionieri
come bandiere lacerate,
di blindati incendiati come quartieri di guerra
e in un angolo, non so dove
un documento – tubercolotico
pronto a diffondere gratis le epidemie.
Tutti conoscono
Napoleone o Hitler
ma nessuno l’inventore della penicillina.
Nelle sale dei musei
non ci sono giocattoli di bambini e si sa che
l’arma più potente di qualsiasi combattente
o pensatore
è la sua infanzia.
I giocattoli
che fanno la storia,
non hanno storia.
E il secolo migliore
è quello dei bambini.
El siglo de los niños
Los siglos envejecen
a los niños siguen siendo niños
les encantan los juguetes
y admiran al caballo.
Después viene el primer libro
y el primer amor
y se maravillan ante el hombre del caballo.
Cuando nace el odio a la tiranía
se acaba la infancia.
Te vistes de virtud
como una armadura
sostienes el valor en la mano como una espada
y aceptas los juegos de la vida en serio. Ahora
eres el hombre
que inventa cuentos de hadas
pero el siglo se acerca rápidamente a su fin:
y… llega el niño del otro siglo
con la nave espacial de juguete
conoce los planetas como los nombres de los perros.
El museo está atestado
de armas y medallones de tiranos
de estandartes e ideales cautivos
como banderas hechas jirones
de vehículos blindados incendiados como cuarteles de guerra
y en un rincón, no sé dónde
Traduzione di Rocìo Bolaños
Scrivere per non soccombere, usare la letteratura, la poesia segnatamente, come metafora e grimaldello per spezzare le catene ideali della prigionia, mentre albergano in sé sofferenza e dolore e le ombre paiono non scomparire mai. Visar Zhiti (1952), tra i maggiori poeti albanesi contemporanei, apprezzato anche da Mario Luzi che lo definì “vero e forte”, con Strade che scorrono dalle mie mani (traduzione in italiano di Elio Miracco), opera pubblicata da Puntoacapo e vincitrice del recente Premio Internazionale Camaiore – Francesco Belluomini, prende di mira la vita-non vita attraverso le sbarre, là dove il regime comunista di Enver Hoxha, l’unico al mondo a imporre l’ateismo di Stato, lo aveva relegato poiché poeta ermetico, decadente e intimista, poco comprensibile per la dittatura, soprattutto eccessivamente libero e come tale meritevole di punizione, di isolamento, di dannazione terrena.
Alcuni versi contenuti nell’ampia raccolta sono stati a suo tempo composti verbalmente per l’impossibilità di utilizzare supporti come carta e penna nella cella, un ulteriore dramma per uno scrittore. Ma è proprio la condizione vissuta per anni, che avrebbe piegato chiunque, a rappresentare oggi la forza di quella poesia che ha funto da elemento di resistenza e di resilienza insieme, in cui è evidente l’influsso dei poeti ermetici italiani, ma senza disdegnare il ricorso a un verso allungato, talvolta prolisso nella significazione, e che avvicina i territori della prosa. È un racconto di una storia di vita, in cui molteplici e sfaccettati sono i “lati” dello sguardo: dentro e fuori del carcere, dentro e fuori di sé, adornati da una lingua ricca di vocaboli, elegante senza mai perdere di concretezza.
Zhiti omaggia la sua terra, l’Albania agli albori della democrazia dopo il lungo “inverno” di chiusura, anche ricorrendo a figure e protagonisti del mondo letterario a partire da Millosh Gjergj Nikolla, più noto come Migjeni, morto a soli 27 anni come è ricordato in uno dei testi. La poesia è una “traditrice”, è colei cioè che fu la pietra dello scandalo, il convitato di pietra che comportò per l’autore in oggetto il dramma della prigionia. Una “prostituta”, viene definita, ma anche accostata alla Vergine poiché è salvifica e compassionevole: “Sì, sono vivo”, ci ricorda Zhiti, anche se il destino lo ha segnato, eppure egli ha potuto scrivere e enucleare una verità che è riuscita a uscire dal pertugio stretto della dittatura, accolta e resa testimonianza, storia di un tempo che si eterna.
La rappresentazione del lavoro forzato, della schiavitù imposta è narrata con un occhio severo e obiettivo, da un osservatorio privilegiato che, come in Dante, ci conduce nei gironi dell’inferno, ce li mostra nella sua nuda realtà, rivelati mentre si scende nella miniera dipinta come la Gorgone. Sarebbe però lesivo del suo valore, nonché fortemente riduttivo, immaginare la sua poesia come semplice denuncia dell’infamia. In Zhiti si respira anche la creatività che solo un poeta attento e partecipe all’umanità come lui sa e può sprigionare: la terza composizione qui proposta è esemplificativa del senso della sua scrittura, che custodisce l’animo pascoliano di un fanciullino. Il bambino è preso a modello di un’umanità semplice e genuina, che non conosce vizi né malizie, per cui odio e tirannide non esistono: il verso è carico di simboli e ogni elemento serba semanticamente più valori. Così la stessa infanzia viene immaginata come l’arma più pacifica e più potente che ogni uomo possieda, poiché svelle ogni violenza, ogni dominio.
Eppure è proprio ciò che si rifà alla più tenera età che l’uomo tende a dimenticare e allontanare: nei musei, dice Zhiti, troviamo un florilegio di armi, ma nulla che riporti le lancette dell’orologio a quel tempo felice e spensierato che è sempre e molto di più di ogni altra cosa. La creatività del fanciullo è la stessa che il poeta albanese custodisce come parte di un sé multiforme, sostrato di una vivacità intellettuale in grado di superare anche l’annichilimento dell’umanità così ben descritto nella sua opera.
Federico Migliorati