Il primo titolo della Nero Latte edizioni, uscito per la collana Poesia è Verso il mondo del poeta esordiente Pier Francesco Latte. Egli si affaccia al dolore e di conseguenza alla vita, con estrema armonia, lo dice bene Rossella Tempesta nella sua prefazione: «Sembra di leggere il viaggio dell’eroe, un eroe del quotidiano, uno che siamo noi, con le nostre croci, le suture diventate care, la capacità ancora di coglierla, la bellezza […]».
Pier Francesco parte da casa con il suo bagaglio di esperienze «Dalle ferite fuoriesce la protezione./ L’ultima volta l’ho vista nella porosità/ del tufo napoletano, nascosta», per dirigersi verso altri luoghi, alla ricerca di quell’invisibile che può accoglierci. Ad ogni passo, l’autore brama di scoprire e ottenere risposte, sperando di vederle nel mondo «Ci incontreremo quando avremo smarrito tutto/ e non resterà che la verità del corpo». È dunque la Verità, che cerca, la stessa che si sposa sempre con la Bellezza; di questo la Dickinson ce ne ha parlato molto bene. «Nei suoi versi il poeta trasfigura il vissuto in una metafora continua, lui e le cose, lui e i sentimenti provati vanno e vengono, travasano tra animato e inanimato, come vi fosse un flusso ininterrotto tra materiale e immateriale, tra organico e materico […]»; continua Tempesta, nel suo scritto accurato e fortemente dialogico. Casa è quel luogo che spesso lasciamo, ma che il nostro cuore mai abbandona. Nella poesia di Pier Francesco forte è il ricordo di una Napoli fanciullesca, lo sguardo attento posato sulle strade, i balconi, le urla dei vicini. Sono proprio questi i fotogrammi ad accompagnare il viaggio dell’autore, l’apertura ariosa di una finestra sul mondo.
Io e mio padre
decidemmo di immergerci.
In profondità ci si perde nelle storie di bambino.
Risalimmo in superficie per prendere aria,
dopo aver più volte voltato la testa.
La torre avvistava i nemici dal mare un tempo,
occorre arrampicarsi dove il muro è crollato
e non ci sono protezioni.
Il tufo di Napoli si sgretola al tatto,
avvolgendomi dalla nascita.
Resiste ai terremoti e trattiene le onde nocive.
In uscita questo fine marzo, è invece l’opera poetica di Pietro Edoardo Mallegni dal titolo fortemente evocativo: Anedonia (o i piaceri scomparsi). Scrive David La Mantia nel suo cappello introduttivo: «In questo passo, ricco di echi montaliani, esplode il tema dell’assenza di Dio, dell’esilio, dell’abbandono, del fallimento delle speranze, del mancato realizzarsi della sua possibilità, dell’inconsistenza, dell’assenza di emozioni e passioni […]».
I temi qui raccolti da Mallegni mettono in forte correlazione l’essere e l’apatia, quello stato catatonico che pervade spesso gli animi più attenti.
«Servono cose nuove per dimettersi da se, / per capire l’attesa del sereno e le sue amanti./ Per dire “adesso”, servono cereali e occhiali/ e il lessico abbandona giorni e inconcludenza,/ per sfamarci di questi minuti rimasti ». Una poetica eleborata e laboriosa, che inserisce l’autore in uno spazio di alta comunicabilità: lì, dove solo la parola non basta e si possono notare le gesta di una Verità che supera pure la barriera del suono. Mallegni cura ogni verso, lo nutre. Mai si spaventa di usare lemmi vertiginosi, abissi fatti di lettere, profondità raggiunte a piedi. Le immagini, liriche e metafisiche, sono di una realtà estremamente lucida. Assonanze improbabili, che l’autore stesso riesce a gestire senza tentennamenti.
Un’attenta lettura viene fatta, in conclusione, nella postfazione di Emanuela Mannino. Ella si interroga sull’interconnessione della bellezza poetica con il terribile stato anedonico, trovando così una risposta: «Nella poesia del Mallegni sembra di sentire la eco del pensiero del filosofo tedesco Lessing, il quale affrontò i temi fondamentali dell’Estetica della seconda metà del Settecento: la questione della forma, la critica dell’allegorismo, la problematica delle sensazioni spiacevoli, interpretata come ‘unità del molteplice’, fondando una nuova Estetica basata sul brutto che si sostituisce gradualmente all’ideale artistico del bello […]».
Non cambiano mai gli angoli del cielo,
e come vorrei, spargere stelle con la bocca;
dietro inafferrabili nebbie e smosse altalene
il tuo sorriso, ricerco stampato sul vento.
E parlarci nella tua incomprensibile lingua,
per capire che non servono clessidre,
per capire il costo e il rovescio di tutta una vita.
Sono solo,
a gridare nelle burrasche,
fa che ti arrivi il mio pianto,
e come quando io sentivo il tuo,
vienimi a svegliare.
Patrizia Baglione