Versi a Dio. Antologia della poesia religiosa

La poesia come preghiera, ineliminabile anelito verso l’assoluto, insondabile mistero tra l’io e l’altro da sé con la compresenza, velata o percettibile, talvolta inconscia, del divino. Dalla notte dei tempi sino ai giorni che stiamo abitando il verso dei poeti non ha mai smesso di solleticare domande e di fornire risposte, di mettersi in discussione e di alimentare dibattiti, di garantire certezze e di soffiare sul fuoco del dubbio, dell’incertezza. Se ciò è stato possibile significa che, al di là di Adorno, per il quale “scrivere poesie dopo Auschwitz è un atto di barbarie”, resta inesauribile il patrimonio di umanità che questo genere letterario racchiude in sé. Leggere Versi a Dio, l’antologia della poesia religiosa uscita per Crocetti Editore con la curatela di Davide Brullo, Antonio Spadaro (che firma anche un’ampia introduzione) e Nicola Crocetti e con una lettera di Papa Francesco ai poeti, equivale a immergersi in un universo che non ha epoche, tempi, confini, ma che appare scandito solo dal battito, dal ritmo dell’elevazione spirituale di scritture le più diverse e lontane possibili eppure accomunate dalla comune “irrequietudine” del vivere a cui si cerca di dare un senso, un valore, una linearità. 14 i capitoli in cui è suddivisa la ponderosa raccolta, semplici “contenitori” di un proteiforme credo religioso-filosofico di oltre 200 nomi che spazia dai primordi alla Mesopotamia, dall’Antico Egitto ai credi del Taoismo e dello Shintoismo per arrivare al ruolo ricoperto dai popoli precolombiani sino al composito globo dell’Ebraismo e del Cristianesimo e affacciarsi sull’altrettanto affascinante Islam. Le traduzioni dei testi sono degli stessi curatori o realizzate in tempi diversi da Roberto Rossi Precerutti, Federica Maria D’Amato, Milo De Angelis, Fernanda Pivano, Cristina Campo, Lucia Sollazzo, Guido Ceronetti, solo per citare alcuni nomi. La divinità, variamente intesa, i simboli a essa riferiti, l’umano divenire, gli interrogativi di sempre a qualsivoglia latitudine, l’amore e la guerra, la capacità di plasmare l’immaginazione, l’abbandonarsi al sentimento: non c’è luogo della Terra né periodo che non siano stati pervasi dal mistero della preghiera in forma di poesia, da quell’ircocervo cioè in cui affondano incertezze e speranze. Viene dato risalto a forme di invocazione pressoché sconosciute eppure ancora così fortemente identitarie di quell’umanità che noi siamo. La parola, già forse 100-150 mila anni fa, ha influenzato la conoscenza, lo sviluppo delle relazioni umane, il rapportarsi all’altro da sé: ed è giustappunto la parola che si fa desiderio e si fa illusione, che accede ai territori più inesplorati della psiche e dell’anima, per riemergere nella sua purezza a dirci un poco di più della nostra essenza. Del resto se nel 1300 in Messico un canto recitava che “il sole sembra sorgere / dal petto di chi vive insieme”, supremo anelito nella comunione del bene ecco che il francese Paul Claudel, vissuto sei secoli più tardi, avvicina questa concezione citando “Benedetto, puro come un bambino, che discorre con sua sorella Scolastica” in un desiderio di santità. Il transito dell’uomo verso un mistero inconoscibile o, per i credenti, un segreto rivelato, può essere affrontato facendosi attirare dalla carità la quale, diceva San Paolo di Tarso agli inizi dell’era cristiana, è già eternità, una forma di perenne immortalità: e non calpestiamo forse le stesse distese praterie un migliaio di anni più tardi quando l’egiziano Ibn Al-Farid sentenziava che “non esiste rivale in alcun luogo grazie all’armonia”? Sono solo degli esempi tra i numerosissimi che la raccolta pone in lettura della necessità per l’uomo di recuperare il valore primigenio della dignità, connaturato a ogni esistenza, dato ontologico che viene prima d’ogni altro. Così sarà possibile dare seguito a quanto sostengono le Tre Stele di Set, nel quarto secolo dopo Cristo: “La via dell’ascesa è la via che discende. Da soli avete appreso le infinite cose. Meravigliatevi della verità che pervade ogni rivelazione”. Lasciarsi cogliere ordunque dallo stupore che il Creatore o il principio vitale presente in ogni elemento dona costantemente ovunque, sempre, all’uomo che lo ricerca con sincerità e lealtà.

Federico Migliorati

 
 
 
 
Plotino
(Licopoli 203/205 – Suio 270)
 
Riemerso dal sonno
               più di una volta
mi è accaduto di estraniarmi
da tutto – alieno alle cose –
e di abitare, solo
               nel profondo dell’io
 
Lì ho goduto la bellezza
in modo tanto potente – tanto puro
da convincermi che ascesi
è la mia vita: il destino
               di una più nobile esistenza.
 
Credo che siamo uguali a dio
               abbiamo la stessa scorza di un dio.
 
A nient’altro bisogna orientarsi
ma perseverare nel regno
che sovrasta le cose intellegibili.
 
Precipitato dal soggiorno divino
dall’Intelligenza al dubbio
mi domando: perché l’Anima
così perfetta, si snatura
e penetra nel corpo?
 
 
 
 
Ignazio di Loyola
(Loyola 1491 – Roma 1556)
 
Suscipe
 
Prendi e ricevi, Signore,
tutta la mia libertà,
la mia memoria,
la mia intelligenza
e tutta la mia volontà.
 
Tutto quel che ho e possiedo,
me l’hai donato tu:
a te, Signore, io lo rendo.
 
Tutto è tuo
tu puoi disporne
secondo la tua piena volontà.
 
Accordami il tuo amore e la tua grazia,
sono abbastanza, per me.
 
 
 
 
Saigyō
(Kyoto 1118 – Kawachi, Giappone 1190)
 
Memoria di me,
che nulla valgo,
vorrei lasciare
come di uno
che fugge il mondo.
 
 
 
 
Bai Yuchan
(Cina, 1994 circa – 1227)
 
La difficoltà nello studio della poesia
la si ritrova nello studio dell’Immortalità.
Imparare a far coagulare un verso
È difficile quanto imparare a far coagulare l’elisir.
Per trasmutare le proprie ossa e liberare l’embrione
ci sono le istruzioni orali dei maestri;
è con l’incenso acceso e in piena concentrazione
che ci si inchina all’altare della poesia.
 
 
 
 
Cesare Viviani
(Siena 1947)
 
Da Silenzio dell’universo
XI
 
Cieli carichi di luce, radiosi,
come sfere e cupole grondanti,
distese di gioia osannanti
la gloria eterna, schiere di beati
e beatitudini alate congiunte
tra fuoco e fuoco, e in forma d’Amore
gli angeli e il più adorato Signore.
 
E queste non erano figurazioni
Di fede, o di felice invenzione,
non erano fantasmi o illustrazioni,
né culto o inconsapevole visione,
né sacra verità di religione.
Non erano risolte acquisizioni
di una qualunque via di perfezione.
niente che si distaccasse da sé.
 
Ma erano cieli carichi di luce, radiosi,
come sfere e cupole grondanti,
distese di gioia osannanti
la gloria eterna, schiere di beati
e beatitudini alate congiunte
tra fuoco e fuoco, e in forma d’Amore
gli angeli e il più adorato Signore.