Ventitré modi per sopravvivere – Ksenja Laginja

Ventitré modi per sopravvivere, Ksenja Laginja (Kipple Officina Libraria).

 

La nuova silloge di Ksenja Laginja, Ventitré modi per sopravvivere, edita da Kipple Officina Libraria, si apre con una breve ma profonda nota dell’autrice in cui si legge:

Ognuno, presto o tardi, è chiamato a serrare il cerchio, ma il ciclo non finisce mai. Si ripete nello spazio e nel tempo, mutando i nomi, le prospettive e gli attori“.

Come non cogliere nella natura ciclica delle cose la raffigurazione dell’Uroboro? Animale a forma di serpente che inghiottendo la propria coda realizza la figura di un cerchio e simboleggia l’eternità e il cosmo, l’avvicendarsi della vita e della morte e, in alchimia, il ripetersi del ciclo di mutazione delle sostanze.

Un esordio che rimanda al principio delle cose e a una visione esoterica del mondo. Proseguendo, questa preliminare sensazione viene confermata dalla pagina successiva, quasi totalmente bianca, su cui tuona solo la citazione:

 

Sic Mundus Creatus Est
Tabula smaragdina – Hermetis Trismegisti

 

Dunque, tutto ciò che accade, ovunque nello spazio, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, è soggetto alla stessa legge di analogia. “Così è stato creato il mondo” e “ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare il miracolo della cosa unica. E poiché tutte le cose sono e provengono da una sola, per la mediazione di una, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica mediante adattamento” si legge nel testo della Tavola citata. Il caso non esiste e dappertutto nell’universo, sopra e sotto, in cielo e in terra, dentro e fuori, nel macro e nel microcosmo, a tutti i livelli e per tutto, regna la stessa legge.

È dunque con l’ermetismo alchemico del miracolo della cosa unica che l’autrice ci introduce ai suoi ventitré modi di cantare il numero e al lettore non viene indicata alcuna soluzione per la sopravvivenza se non la consolazione di una litania, una nenia primordiale, un canto sciamanico di guarigione, un mantra e una preghiera.

Ventitré proprietà, chimiche, matematiche, astronomiche, biologiche, storiche, informatiche e di linguaggio, del numero ventitré. Ventitré poesie in cui i simboli del visibile iniziano al cammino dell’invisibile.

 

I

 

Contiamo insieme tutte
le lettere, ventitré volte siamo
stati qui come il tuo amore
in congedo dalla vita,
ci toccherà per ultimo
nominare i successori
al principio del cosmo.

 

In questi versi l’uso della prima persona plurale disvela il senso della solitudine umana. Il genere, tutto abbracciato dal disamore della natura e consapevole della sua fine al punto da nominare i successori, conta e esprime la sua condizione utilizzando le ventitré lettere dell’alfabeto latino classico.

Così, come ritenevano i Pitagorici, il numero contiene il principio del cosmo, l’archè, e l’uomo, nella pratica dei giorni, comprende il visibile, traduce i fenomeni naturali (le stagioni, gli anni, i corpi celesti e la musica delle sfere) esprimendosi e usando i numeri, ma solo intuitivamente sfiora l’invisibile, la conta non rivelerà nulla agevolerà solo il massacro.

 

II

 

Hai con te il necessario?
Richiamali tutti qui, i secondi
smarriti insieme alle colpe
che ci eravamo imposti,
la conta non rivelerà nulla
agevolerà il massacro.

 

E con il processo di metempsicosi l’uomo prova sempre più smarrimento per la sua sorte, pienamente consapevole della fine.

In La caduta nel tempo Cioran sostiene che l’aver mangiato del frutto dell’albero della conoscenza, prima colpa, abbia dimostrato l’inattitudine umana alla felicità. Essendo infatti pienamente consapevole della sua morte l’uomo ha smarrito l’innocenza primordiale e vive in una condizione di dolore, contrariamente alle bestie che posseggono il dono dell’ignoranza rispetto al futuro e alla loro sorte.

L’uomo, metallo saldato nella rabbia, è la “consonante in bilico nella periodica sconfitta” che suona nel peso delle vocali, ossia del Tutto, di ciò che gli sta intorno, del cosmo.

 

III

 

Incompiuti e rari
come il vanadio
siamo metalli saldati
nella rabbia, processo
ossidativo in esilio.

 

Chimica atomica ventitré
la bilancia pende
nomina 50,94.
Hanno peso le vocali
indugiano sulla lettera
la consonante in bilico
nella periodica sconfitta.

 

Tre regni (celeste, terreno e dell’oltretomba) dove impera la legge universale di una natura matrigna la cui ferocia è più volte denunciata dall’autrice che, come un cervo messaggero, al pari della divinità Cernunno, guida il lettore in un modo misterico e nell’ombra della destinazione contando presenti e assenti.

 

VI

 

Anche il cervo
conosce il suo destino
oltre la persistenza dell’ombra –
che reclama un nome alla terra,
ma solo a chi prosegue
la caccia spetta la conta.

 

Attraverso la litania, il corpo sciamanico, l’uomo trascende la sua natura terrestre e attraverso la divinazione attende la chiusura del cerchio.

 

V

 

Questo essere minerali
atto trasformativo e litania
è l’enigma che incede
farsi divinazione
chiamare un nome
dirsi l’attesa.

 

L’universalità della poesia di Ksenja (quei pochi riferimenti personali sono pienamente riconducibili a un’esperienza comune) e la magnifica operazione di scarnificazione del verso, rendono queste poesie impeccabili: Inoltre la multidisciplinarietà dona alla raccolta un carattere di estrema originalità.

Chiudo il libro e questa nota di lettura percependo di essere come la pietra che sfiora la superficie dell’acqua. Genero nuovi cerchi, intuisco appena la profondità dell’acqua dove presto inizierò la mia discesa, sento la voce dei cerchi, “sono ovunque, intorno e dentro, ed è impossibile eluderli”.

 

XIII

Resteremo inclinati a terra
pallidi e impenetrabili
nel roteare senza destinazione
apparente, comprenderemo
la successione degli eventi
arriveremo a conoscere l’esilio
che ci hanno imposto.

XVIII

Chiudere una porta
per aprirne un’altra

Sic mundus creatus est

Anche nel vuoto
la voce rimbalza.

È questo il mondo
che ci ha resi vulnerabili,
bersagli necessari.

Definire l’evidenza
dal principio alla fine
uniti nel tempo

Sic mundus creatus est

La pietra vibra nei canti.

XX

Ripetiamolo insieme
ventitré volte andremo alla deriva
diranno che siamo trascurabili
terreno sterile privo di fondamenta
come il tuo corpo, ormai inerte
racchiuso nell’urna.