Variazioni sulla cenere – Fabio Pusterla


Variazioni sulla cenere - Fabio Pusterla

Variazioni sulla cenere, Fabio Pusterla (Amos Edizioni 2017)

La lettura di Variazioni sulla Cenere, di Fabio Pusterla (Amos, 2017), lascia la sensazione di un libro scritto con grande consapevolezza tecnica e culturale, cosa che, bisogna dire, non accade molto spesso. Gli echi di una tradizione, anche piuttosto antica, si ricollocano in maniera naturale nella contemporaneità, vivificandosi in versi che, per misura e melodia, sembrano una sorta di “sonetto diffuso”.

In musica, la variazione è ogni riproposizione di un tema musicale nelle quali il tema stesso incorre in una o più modifiche (ritmiche, melodiche, armoniche, ecc…) mantenendo però un rapporto di riconoscibilità con l’idea musicale originale. Il tema, qui, è la cenere, vestigia del fuoco e dell’indomito trasformarsi delle cose, memento mori e simbolo di penitenza; ma anche concime, e persino detersivo. Poche cose come la cenere si sono caricate, nei secoli, di così profondi significati simbolici pur restando ancorate all’uso quotidiano.

Come apprendiamo dalla nota che l’Autore ha lasciato a fine libro, l’opera si compone di due sezioni, alle quali corrispondono distinti riferimenti geografici: Cenere, o terra, “ambientata” in Sardegna, e Brasé, una radura tra le boscaglie di Castello, inValsolda. La natura, come vedremo, è una delle pietre angolari della poesia di Pusterla, in una forma che sembra la sintesi di due filtri: quello empirico e quello letterario.

Cenere, o terra che secca si cavi / d’un color fòra col suo vestimento, / e di sotto da quel trasse due chiavi. Sono i versi 115-117 tratti dal IX canto del Purgatorio di Dante, e si riferiscono all’Angelo portinaio, che dalla sua umile tunica estrae le chiavi per il Purgatorio. L’incipit del 115 verso, Cenere, o terra, dà appunto il titolo alla prima sezione del libro, che sembra configurarsi come una sorta di viaggio dantesco in terra di Sardegna, durante il quale Pusterla dipana molteplici tematiche: la riflessione sul paesaggio naturale e antropico (con annessi cortocircuiti e convivenze); l’amarezza per le dinamiche politiche, sociali ed economiche odierne; una tensione quasi leopardiana all’infinito e al naufragio dell’Io; il dialogo con la classicità; e infine una redenzione più negoziata che meritata. E tutto questo con la veste color cenere, o terra, dell’Angelo portinaio, che compare nella realtà e nella natura, a volte nella sua interezza, a volte come evocazione frammentata.

 
 
Cenere, o terra: mite
alto fusto di platano
si staglia sul cemento che rinserra.
 
L’hai seguito come guardandoti allo specchio:
fuga di verdi, un’ombra di cinigia,
poi giallo cupo, nudo ramo e secco.
 
Ora piccoli bozzoli puntuti
splendono quasi neri sopra il grigio.
Stelle di cenere, o terra. Giorni muti.
 
 
 
 
È rimasto sul suolo un alone
tenue nella penombra del posteggio
sotterraneo. Un colore di cenere, o terra,
come una tunica smessa. Auto difettosa,
scarico? O forse l’ultimo angelo
ha preso il volo da qui, lasciando indietro
la sua ombra e ora stinto,
intangibile erra,
sordo alla pace e alla guerra,
perduto per sempre?
 
(Altrove il Collegio degli Angeli
non ha che finestre sprangate.)
 
 
 
 
7
 
Caro Giovanni, non so se tu sia stato
sulle coste del Sulcis, dove il mare
può andarsene col sole, ritrovata eternità,
ma la terra è scavata di miniere,
 
piombo, carbone e zinco, e la roccia conserva il sapore di cenere,
o terra bruciata nei cunicoli per spaccare i filoni,
le ossa dei minatori erano nere, scheggiate,
 
e la montagna oggi ha il fianco devastato,
il ferro è ruggine e l’antico capitale
ha scelto da tempo altri luoghi per produrre
 
ricchezza e miserie, le eterne
non eterne disparità,
il suo impuro moto.
 
Ma so che anche per questo, al tuo funerale,
si alzava su parole di Fortini,
strozzato, il canto dell’Internazionale.
 
 
 
 
Victor vuole parlare
nella notte di Oristano
Victor vuole gridare
e mordersi la mano.
 
Cenere, o terra. Questa è la sua vita
che non ha lingua per essere detta.
 
[…] Si inchina verso la terra
e ci ringrazia. Viene
dalla Nigeria. Con le unghie si strazia
la pelle. Ha la voce rotta
 
[…]  
 
 
 
Sarin in Siria, mar de lodo a Mocoa:
cadono gli innocenti
bambini. I loro corpi
giocosi adesso stanno come cenere,
o terra, su di te. Scompariranno
nel nulla in pochi giorni. […]  
 
 
 
Capre dai denti d’oro, ratti, un reame estinto:
forme di vita consegnate ai fogli.
 
Resta – cenere, o terra raggrumata –
l’alto muro di pietra sopra i mari
cangiante nella luce
che accompagna le sponde (d’Atlantide,
suggeriva una voce; quantomeno
di un’essenza civile misteriosa,
che si credeva possibile, misteri).
 
Isole e onde un tempo collegate, passaggi
e contatti precari. Tutti gli amori
tutti i dolori negati. (E forse Ulisse
è passato di qui.)
 
Sulla costa il cimitero dei naufraghi
è attorniato da un canto di scogli.
 
 
 
 
Cenere, o terra? Luce, semplicemente,
trama di luce che si arresta per un attimo
nell’onda dei capelli traversati dal vento.
 
[…] Ora possiamo
ritornare lentamente verso casa. Lo sterro
si modella in collina, i nostri nomi
sono stati scolpiti sul legno,
un cammino si è compiuto.
 
La strada che prosegue fa un po’ meno paura.
 
 

Sono proprio i versi contenuti in quest’ultima poesia ([…] Sul sentiero rimangono i detriti, / tracce sparse che hanno il colore / di cenere persa, di calore / depositato sulla terra) che ci introducono alla seconda sezione del libro. Se in Cenere, o terra la cenere è stata esplorata nelle sue accezioni di vestigia che richiama la trascendenza, il divino, la pena e la penitenza, in Brasé si punta l’attenzione sul suo essere senhal del fuoco, dell’energia ctonia e mai doma che ancora vibra, a quanto pare inascoltata, nella natura, e ancora nella sua accezione alchemica e di elemento della continua mutazione. Un fuoco, che l’uomo cerca di imbrigliare, piegare, utilizzare per l’industria; ma la potenza del fuoco è qualcosa con la quale l’essere umano deve fare i conti, e ritrovare per mezzo di tale spaventosa forza il suo posto nel mondo, che non può che essere (e dovrebbe sempre essere) subalterno alle forze della natura, che non bisogna cercare di soverchiare, ma con la quali si dovrebbe altresì scendere a patti. Qui sotto alcuni versi da Brasé

 
 
Qui si pone il problema del fuoco.
 
Della memoria del fuoco
che ovunque parla nascosto. Ciangotta nell’erba?
Nelle felci? Nella terra rossastra su cui
salgono svelte betulle, si allargano castagni?
Foglie autunnali, fiamme verso il cielo, scintille.
Fuoco scomparso, fuoco sempre qui.
Sera bigia di luci assorte.
 
[…]  
 
 

 
[…]  
Esiliati nei boschi i carbonari
cantavano. Con facce nere e mani nere
ululavano piano crepitando.
Come s’avviva allo spirar de’ venti carbone in fiamma…
Nell’odore di brucio e di fumo.
 
Nel fitto del bosco
c’ è un posto che è mio
c’ è un posto che è nostro
di fiamma e foschia
yo oh oh
 
[…]  
 
 
 
E: candeline fiammelle,
gialle lingue dietro il vetro della stufa,
stoppie brucianti odorose,
un lago che si tinge di rosso
in vapori di nafta e petrolio,
deserti e ciminiere,
sempre in crescendo,
roghi di libri
monachine svolanti,
pire, vampate, fuochi ultimi
di piacere o terrore
 
[…]  
 
 
 
Brasé, radura morbida, felceto.
Luogo dove i sentieri si incontrano e si lasciano:
verso l’alto dei monti selvaggi, verso il basso dell’acqua
che canta nei boschi scoscesi.
 
Margine estremo del fuoco.
Cenere persa nell’aria
e terra dolce. Voce
del vento che muove le fronde, discreto.
 
 

Quello del Pusterla è un verso prezioso, pensato e leggero, di grande sapienza fabbrile. Anche se l’Autore non lo avesse indicato nella nota a fine libro, si capisce che la sua poesia affonda le radici nella tradizione, la più antica (gli autori citati sono Jacopo da Lentini, Dante, Chrétien de Troyes e altri): il materiale tematico è dei più degni e importanti, e l’unità formale che lo racchiude sembra quasi stemperarne la gravità, o meglio farla rilùcere, oltre che dare una sensazione decisamente appagante al lettore.

Ecco dunque un libro che, nei suoi molteplici livelli di lettura, soddisfa altrettante molteplici istanze: espressive, formali, tematiche, filtrando il “bisogno di dire” con il “modo per dirlo”. Variazioni sulla cenere ci ricorda che la poesia contemporanea è anche profondo studio, capacità di attingere alla tradizione e sapersi rapportare con essa in modo sapiente, moderno e pienamente legittimo, se non addirittura necessario. Un prezioso insegnamento.

 
 

Federico Rossignoli