Un’aria vegetale – Annalisa Manstretta

Mi fanno cambiare, mi sento spostare
da meraviglia a spavento,
da gioia a dolore e ritorno.
Non con costanza, con intolleranza
del momento migliore per me.
In fase di trasformazione mi sento,
sono una luna senza pienezza.
Sarebbe tristezza se capissi, se sentissi
un’emozione chiara, un sentimento.
È invece uno spostamento che mi spinge,
in bilico mi fa stare, poi è un precipitare
ma senza velocità né direzione.
Trasformazione è la parola prossima,
identità la più lontana.
Bestia, sasso, pianta, persona umana
o vento. Non so contare, non so pensare.
Sento, lento, l’impersonale, il trasformare.
 
 
 
 
 
 
Stelle scure
 
E siamo qui anche adesso,
in questo giorno freddo, faccia a faccia,
tu non mi puoi guardare, io non ti so parlare.
Ci abbracciamo come analfabeti medioevali
che cacciavano cinghiali in questa terra
in mezzo alla pianura, piena di foreste, piena di paludi,
che cacciavano i lupi dai villaggi
negli inverni quando nevicava come oggi.
 
Adesso in questa casa c’è silenzio
come allora nei vasti territori spopolati,
spalancati al buio. Ringhiavano i lupi,
ringhiava la fame, brillavano stelle scure
senza nomi, che non guidavano nessuno.
 
Ci abbracciamo. Abbiamo insieme la faccia del mondo,
facciamo la vita che va via dalle parole,
gira altrove.
 
 
 
 
 
 
Maggiore la consistenza, più forte la presenza.
E questa strada di terra battuta è solida e piena.
Strada immobile, sassosa. Piena di luce che rimbalza,
che mi regge. Se salto, se ballo, se dormo.
Mi regge. Sento la presenza del sentiero
fuori pieno di sole e sotto nero
fuori mi regge, sotto mi mangia.
Che bella presenza potente, che bel faccione tondo,
tu vinci facile, io fuori dal sentiero tra erbe selvatiche sprofondo.
Tu sempre sul posto, sempre sul pezzo, mondo
e sibili, sibili, strisci nel buio profondo.
 
Da “Un’aria vegetale” in Nuovi poeti italiani n.7 (Einaudi, 2024)
 

Continua la lettura dei testi dei Nuovi poeti italiani n.7 curato da Maurizio Cucchi per Einaudi (2024). Dopo Silvia Caratti (QUI), Massimo Dagnino (QUI), Mario Fresa (QUI), oggi presentiamo tre testi di Annalisa Manstretta tratti da Un’aria vegetale.

Poesia che in qualche modo compendia e somatizza alcuni tratti caratteristici dei suoi predecessori nell’antologia e si siede come di fronte a uno specchio. All’interno del quale l’interno e l’esterno, il buio e la luce, l’io e l’io comunicano continuativamente nel contesto poetico di una natura quasi onnipresente, un verde dilagante.

Le foglie come specchi rivolti tutto attorno” e poco più avanti “però che meraviglie fa questo sbagliare”. L’io è quanto di più precario e metamorfico si possa immaginare e cerca un suo punto di riferimento negli alberi, nel buio seppure “la luce è scura, è uno spessore”. Nei testi qui presentati “mi sento spostare / da meraviglia a spavento, / da gioia a dolore e ritorno” in un continuo rispondere di opposti. Perché a ben vedere quella di Manstretta non è una poesia dell’opposizione, del conflitto, ma del non essere altro.

Il mondo, che altro non è che l’ennesima forma liquida di io, “mi regge. Sento la presenza del sentiero / fuori pieno di sole e sotto nero / fuori mi regge, sotto mi mangia”. L’esistenza della propria identità precaria appare quindi possibile solo nella certezza della tensione, del mutamento vibrante dell’essere soggetti a entrambi i punti della retta ma in assonanza. Non di rado appaiono suoni ricorrenti se non addirittura parole reiterate che dichiarano legato (in modi altri) quanto apparentemente slegato.

Maggiore la consistenza, più forte la presenza.
E questa strada di terra battuta è solida e piena.
Strada immobile, sassosa. Piena di luce che rimbalza,
che mi regge. Se salto, se ballo, se dormo.
Mi regge. Sento la presenza del sentiero
fuori pieno di sole e sotto nero
fuori mi regge, sotto mi mangia.
Che bella presenza potente, che bel faccione tondo,
tu vinci facile, io fuori dal sentiero tra erbe selvatiche sprofondo.
Tu sempre sul posto, sempre sul pezzo, mondo
e sibili, sibili, strisci nel buio profondo.

Abbiamo insieme la faccia del mondo” in un mondo non facile, non amico, ma vicino-troppo vicino. E quindi cos’è questo mondo e cos’è questo io? “Trasformazione è la parola prossima, / identità la più lontana. / Bestia, sasso, pianta, persona umana / o vento”. Oppure, continuando nella resilienza sostanziale di luce e buio (che accanto agli alberi è estremamente ricorrente), “un’ombra allungata / una specie della stessa sostanza, un’antenata”.

Alessandro Canzian