…era nel canto che parlavamo con Dio.
… così, un po’ per gioco, credemmo
che c’è un dio nel cielo e persino nell’insetto,
nel capodoglio, nell’edera cascante sul portone
della scuola, nella fredda scala a chiocciola
della conchiglia vuota adagiata nel cotone,
dentro l’aula di scienze.
Anche nel tuono c’era un gesto più veloce
che risvegliava gli alberi.
Da bambino ero curioso
e stavo spesso alla finestra, il rumore
spaventava i cani. La pioggia,
a mani nude martellava il vetro.
(Ripalpita sostanza
maternale, senza prole,
una fertile
in prossimità del vuoto).
Mio padre
carico di frasi. Le stesse, quasi uguali,
identiche nel tono e nell’accento.
Ha ottant’anni e non ricordai i sogni.
Stanotte, stranamente,
dice riposavo su una nuvola, era bello,
non volevo ritornare.
Non ha paura:
… queste cose mi rendono curioso.
Quando morì
suo padre,
suo padre gli tremava nel pensiero.
Beveva con lentezza, disattento
tra il bicchiere e la sua sete il tragitto era diverso
adesso.
Adesso
ci sentiamo al telefono, anche mia madre parla.
Dicono: «Tranquillo, stiamo bene».
(Nel futuro qui presente,
il mio imbarazzo cerca
una ragione per sorridere.
Ditemi l’origine, qualcosa
che ancora ci appartenga).
Misuro la giocata, l’inganno,
la puntata persa della vita,
la partita andata un po’ a ramengo.
Perché lì, intanto, si parlava
l’antiquata porcheria del borgo,
storie guaste e un poco riprovevoli:
il cane appeso nel garage, la pampa e
i dischi di vinile con il tango
come a dire la tristezza
di una qualche impossibile, deviata
e quasi cruda, felicità.
(In ogni modo, come l’estate
e la fotografia a colori.
Noi tre
e il cane un po’ sfocato
che tenta il salto. Senza occhi,
senza lingua. Una macchia
irreversibile).
Da “Un’allegria più mite” in “Nuovi poeti italiani n.7” (Einaudi, 2024)
Si conclude la lettura dei testi dei Nuovi poeti italiani n.7 curato da Maurizio Cucchi per Einaudi (2024). Dopo Silvia Caratti (QUI), Massimo Dagnino (QUI), Mario Fresa (QUI), Annalisa Manstretta (QUI), oggi proponiamo tre testi di Wolfango Testoni dalla sua raccolta Un’allegria più mite.
In questo, tra l’altro conclusivo dell’antologia, Un’allegria più mite, Testoni raccoglie come all’interno dei bordi di un’educazione sentimentale il mondo con empatia, pathos, un continuo inserimento di sé nella “solita mancanza d’eternità” che Cucchi accosta al “nostro vivere”.
Testoni, anche pittore, parte di sovente da immagini reali per costruire un percorso emotivo e sentito, dove pur facendo coesistere gli opposti vige sempre una morbidezza, delicata o drammatica che sia. “Ripalpita sostanza / maternale, senza prole,/ una fertile / in prossimità del vuoto”.
L’opera inserita è particolarmente composita e tocca anche il prosimetro. La scelta, totalmente personale, dei tre testi presentati è stata fatta sulla base di questi epiloghi in parentesi, note a margine che diventano lo slancio universalizzante di un qualcosa che rischia d’essere personale (non perché legato troppo al sé ma perché molto connesso al sentire del sé, che si apre al mondo) ma senza cadervi mai.
“Misuro la giocata, l’inganno, / la puntata persa della vita” diventa in chiusa “ Noi tre / e il cane un po’ sfocato / che tenta il salto. Senza occhi, / senza lingua. Una macchia / irreversibile”, in un bestiario di animali e paesaggi non impositivi ma conviventi con il nervo scoperto che è la parola. Capace di epifanie e patemi in relazione a una consapevolezza sempre più alta, un ritorno quasi dal viaggio nel mondo. “Mumbai, Tokyo, New York, Buenos Aires, Ground Zero. Il formicaio è un perpetuo allarme.”
Poesia che più di tutte (almeno a parere di chi scrive) tanto si fa apprezzare per l’equilibrio assoluto e pittorico che si viene a creare con l’occasionale, quanto più ritorna a riflessioni che non si slegano mai da un qualcosa di predefinito, una sorta di conferma dell’“allarme” (“Un rastrello, una cerata / e una donna nuda / inchiodata al muro”, che palesemente riporta alla tradizione iconografica più e meno recente sia pittorica che cinematrografica e che fa seguito a un precedente “Mater religiosa ed inchiodata / al mondo”) pur nel desiderio di “una qualche impossibile, deviata / e quasi cruda, felicità”.
La poesia di Testoni è una poesia d’echi e citazioni non dichiarate perché a ben vedere non ce n’è bisogno (anche il vivere è un continuo citare, riprendere, rifare più o meno consapevole). È una poesia del sentire e del patire capace di versi apparentemente marginali e poco visibili, ma verticalmente profondissimi per chi ha vissuto un poco la solitudine dell’esserci. Versi come “il gatto è un altro tempo” forse non emozioneranno quanti cercano il testo facile ma sanno racchiudere e abbracciare altri versi e significati come “nella calma officina / del mondo”, “il miagolio continuo, / tanto simile al dolore”, o come nei versi qui riportati “un po’ per gioco, credemmo / che c’è un dio nel cielo e persino nell’insetto, / nel capodoglio, nell’edera cascante sul portone / della scuola, nella fredda scala a chiocciola / della conchiglia vuota adagiata nel cotone, / dentro l’aula di scienze”.
Luoghi, brevi soggiorni, cose, cani, gatti, persone. Tutti “noi” e tutti “macchie irreversibili”.
Alessandro Canzian