Una domanda al poeta: Tiziano Broggiato

Una domanda al po

foto di Dino Ignani

 
 
 
 
Nostra lingua
 
Irrimediabilmente giacciono sull’asfalto,
come nidi abbattuti, gli intonaci scrostati
della casa latina.
 
Umide lingue ne hanno fiaccato la tenuta
trasformandola in una casa d’argilla,
una casa di frontiera in cui non vige più
l’antico benvenuto, sostituito da un nuovo,
balbettante idioma che ne rallenta la memoria
e lo scorrere del sangue.
 
Perfidi uccelli ne attraversano le mura
in nome di una vagheggiante posterità.
 
Alta, assurda, assente ( e dissimulando noncuranza )
lei si limita a tamburellare con le dita
sul freddo marmo di una immaginaria balaustra.
 
 

La poesia ha come fine ultimo il ricordo, l’eternità della memoria. Ma la memoria necessita di presenza umana, a differenza dell’eternità che può prescindere da essa. La “vagheggiante posterità” di questo testo viene messa in relazione a una casa che ricorda il crollo degli Usher. Chi è la “lei” che “alta, assurda, assente (e dissimulando noncuranza) / […] si limita a tamburellare con le dita”?

Alessandro Canzian

 
 
 
 

Lei, alta, assurda, assente ( e dissimulando noncuranza ), ma anche sofferente, amareggiata e offesa è la nostra lingua del titolo. La lingua italiana sempre più circuita, assediata, stravolta da termini anglofoni oramai divenuti di uso comune. Eppure la lingua italiana mai come oggi vanta all’estero scuole nelle quali viene insegnata: dagli Stati Uniti alla Danimarca, dal Giappone alla Polonia. Perché da noi c’è questo disamore, questo ripudiare termini chiarissimi e immediati per definire una situazione, un avvenimento, mentre altrove decidono di volerla imparare, approfondire per l’amorevolezza che irradia? Ti racconto questo: nel 2010 fui invitato, con altri due poeti, a una lettura di poesie dall’istituto italiano di cultura di Londra. L’incontro, previsto per le 17, ebbe luogo nel saloncino dell’istituto con circa 80 posti a sedere. Mi stupii non poco quando entrando in sala vidi tutti i posti occupati. Dopo la lettura chiesi al direttore se il pubblico era formato da italiani nostalgici residenti nella capitale inglese. MI propose di chiederlo a un gruppetto di signore che nel frattempo si erano accomodate al buffet. Lo feci volentieri, nel mio più che mediocre inglese e la loro risposta mi stupì: conosciamo poche parole di italiano, ma non siamo qui per seguire devotamente il discorso, bensì per goderci la piacevole morbidezza, il suono così amorevole della vostra lingua. Grazie per averci rinnovato questo piacere. Ne fui felice e straordinariamente orgoglioso. Per questo mi ero ripromesso, prima o poi, di dedicare una poesia alla nostra lingua. Finalmente vi ho mantenuto fede.

Tiziano Broggiato