Una domanda al Poeta: Roberto Cescon

Una domanda al Poeta: Roberto Cescon
 
 
 
 
Non voltarti, primavera che infiori
sopra un campo di battaglia,
come puoi salvare
chi dovrà spaccarsi il cuore?
Fatale è ferire senza volerlo.
Ma l’aragosta ricorda il carapace
che lascia sul fondale?
Non temere, ancora ci sarà gioia
e freddo: ricorda
che l’indaco si spegne
se pensi a misurare
dal centro gli anelli che verranno.
 
 
(da Distacco del vitreo, Amos Edizioni 2018)
 
 
 
 

Continuiamo il discorso sul “bene” iniziato ormai diverse settimane fa con la Domanda al Poeta a Eleonora Rimolo (QUI), continuato poi con le risposte di Federica Giordano (QUI), Federico Rossignoli (QUI) e Melania Panico (QUI). Nello specifico Federica Giordano nella sua risposta ha detto “Cosa troviamo nel buco nero di A. Kapoor? Nulla. Per questo precipitiamo. Ma quando si riesce ad “incontrare” davvero un altro essere umano, quando ci si riconosce e quando le nostre parole trovano un destinatario, anche uno solo, noi siamo salvi”. In questo tuo testo, Roberto, che non parla specificatamente di “bene”, affermi che “fatale è ferire senza volerlo”, che molto dice dei rapporti umani. Chiedo quindi anche a te cos’è il bene o, meglio, cos’è il bene fra due persone sapendo, come tu scrivi, che ferire l’altro è fatale (o inevitabile?). E cos’è questa “fatalità”?

 

Alessandro Canzian

 
 
 
 

In qualche versione della nostra storia siamo sempre i cattivi. D’altra parte, anche essere buoni è pericoloso, perché siamo portati a misurare l’agire nostro e degli altri in termini di bene e male, facendolo coincidere con ciò che bene o male sono per noi, laddove ciascuno agisce in base a ciò che vuole e può fare. Il bene mi pare qualcosa che incarna il nostro sentire. È il luogo verso cui si protende la mente. Può essere crudele, quando fa male agli altri. Possiamo perfino rinunciarvi, al nostro bene, quando non siamo costretti a farlo, mettendo a rischio la relazione con gli altri, la quale si assesterà, si rinnoverà, si sfalderà: dipende. Certo è che chiudere una porta fa bene a entrambe le persone che stanno sulla soglia; un matrimonio finisce perché hanno sbagliato tutti e tre; lasciare l’ultimo boccone nel vassoio induce al senso di colpa e allontana il bene di chi lo lascia e di chi vi rinuncia o infine lo mangia, sapendo che l’altro vi ha rinunciato. Prenderselo e basta sarebbe meglio per entrambi: almeno uno dei due avrà afferrato il suo bene, e l’altro, se ci è affine, sarà felice per il nostro bene. Si vive aggiustando ciò che è sul punto di incrinarsi o di essere frainteso. Il senso di ciò che diciamo scatena un nuovo significato in chi ci ascolta e il procedere della conversazione è sempre in bilico, dato il continuo rischio di fraintendere i significati scatenati e la necessità di assestarsi, di volta in volta, per intendersi ancora. Il bene finisce per essere l’esito (appagato di necessità) delle dinamiche − dell’agire e dei discorsi − tra noi e gli altri.

 

Roberto Cescon