Una domanda al poeta: Paolo Agrati

Bozza automatica 2907
 
 
 
 
Perché per essere altro da sé
il trucco è nulla al calare del buio.
Il chirurgo cambia corpo alla pelle
non opera dentro, sotto lo scalpo.
Non dona né branchie né piume.
Perciò al misero vivere certo
ho scelto il pieno mistero della morte.
 
 

(da Partiture per un addio, Edicola, 2017)

 
 
 
 

Nel tuo libro Partiture per un addio racconti storie di suicidio. Nel momento più tragico della vita di una donna o di un uomo che deliberatamente sceglie di “sparire”, tu riesci, attraverso i versi, a far rivivere le loro esistenze.

C’è chi scrive poesie con l’intento di rendere un momento o una persona immortale e chi scrive per rendere se stesso immortale; I tuoi versi sembrano fuggire da tutto questo. Cosa ne pensi?

Nel libro è contenuto un link tramite il quale si può accedere alle tracce del disco, inoltre Partiture è anche una performance teatrale. Ho letto, ascoltato e visto lo spettacolo e sono state tre esperienze che hanno reso la fruizione diversa e arricchente. La tripartizione è casuale?

 

Elisa Longo

 
 
 
 
 
 

L’immortalità non suscita in me nessun interesse, tanto più che reputo il raggiungimento di questo stato tramite l’arte, meramente illusorio. Sono per esempio in totale disaccordo con l’idea retorica dell’immortalità delle gesta dell’eroe tramite il canto, presentata dal Foscolo nei Sepolcri. Ad oggi infatti non abbiamo la possibilità di conoscere nessun poeta sumero – presumo ce ne siano stati di interessanti – e posso aggiungere con certezza che in un tempo più o meno breve si sgretoleranno anche le piramidi. Porsi come obiettivo l’immortalità della propria arte non solo è presuntuoso ma è pure tempo sprecato; è una conseguenza dell’atteggiamento dell’uomo che non può esimersi nella sua osservazione del mondo, dal vedere solo se stesso.

Nelle pagine di Partiture ce n’è una dedicata a Cornelio Gallo, che conosciamo dalle cronache del tempo come il più grande poeta latino, ma solo da ciò che ci dicono le cronache perché di lui ai giorni nostri è arrivato solamente qualche verso senza alcun valore.

Peraltro il vero argomento del libro Partiture per un addio non è il suicidio. Una delle funzioni di questo tema è quella di allontanare il lettore non interessato ad approfondire la relazione con l’esistenza, al quale basta trovarsi di fronte ad un tabù per cambiare strada. È un lettore che non desidero legga quello che scrivo.

La consapevolezza della fine è lo strumento col quale ogni protagonista ha l’occasione di raccontare la propria esperienza di vita, le miserie che lo hanno accompagnato in questo passaggio. La potenza del confronto con la fine permette a una storia ordinaria di diventare una storia straordinaria. Il difetto, l’errore, l’imperfezione sono elementi fondanti del nostro esistere, descrivono la nostra vita con precisione e accuratezza, rendendo molto più vivo il mistero che ci circonda.

Forse è proprio la coscienza dell’inevitabile fine, concetto più tangibile di quello dell’immortalità, che rende un’opera più interessante e longeva. Per quanto destinata anch’essa a morire, prima o poi.

 

Il libro Partiture per un addio, nasce già con l’idea di contenere una poesia detta. È il risultato di anni di lavoro sull’interazione tra poesia e musica. Il libro è pensato con un percorso in crescita, dove ogni storia si incatena all’altra attraverso tre sezioni; non ha prefazioni, né orpelli di nessuna sorta; è scarno, diretto, essenziale.

Le 13 tracce presenti nel link in quarta di copertina sono il risultato di un lavoro preciso e metodico tra testo, strumento e orchestrazione. Ogni traccia è stata affidata a un musicista che ispirato dalla poesia ha composto una melodia, orchestrata e integrata alla musica elettronica ad opera di Simone Pirovano. Ci sono melodie composte da pianisti, violinisti, fisarmonicisti, chitarristi o interamente composte da pad, moog e synth. Con Simone abbiamo lavorato sulla posizione dei versi nell’impianto musicale, scorporandoli, raggruppandoli o isolandoli in funzione della nostra idea di rapporto con la musica. Il testo delle poesie, sempre breve e con chiusure e cambi repentini, ci ha permesso di comporre ampie aperture sonore che accompagnano, amplificano e sviluppano gli echi e le atmosfere del verso. Tutto il disco ha una sonorità di base, un noise appena percettibile ma costante che crea una sorta di tensione continua nell’orecchio dell’ascoltatore. Abbiamo voluto superare l’idea di accompagnamento musicale, secondo noi troppo spesso bistrattata e sottovalutata, per comporre un’opera di interazione tra musica e parole che non vuole però diventare una canzone. Anche il lavoro vocale è stato importante. Abbiamo sfruttato i toni profondi e caldi della mia voce per proporre un’uniformità espressiva, calma e senza troppe varianti di tono, per ottenere un messaggio costante, pulito, deciso, in contrasto con le variazioni del suono e degli strumenti coinvolti. In sostanza abbiamo fatto un disco di poesie.

Il passo per costruire uno spettacolo, che in questo caso possiamo definire un concerto scenico in tre parti integrato da due monologhi, è stato facile. Ho sempre presentato i miei libri attraverso gli spettacoli, annoiato dalla pochezza dei Reading tradizionali. Per Partiture l’idea è stata quella di lavorare sull’assenza di interazione col pubblico, sulla distanza creata dalla quarta parete che ho sempre cercato di abbattere nelle mie opere precedenti. Ho pensato a una semplice idea scenica; una sedia che sul palco riesce a diventare molte cose e una serie di palloncini bianchi fluttuanti appesi a un filo. E pure a un percorso che prevedesse due pause discorsive per permettere al pubblico la concentrazione necessaria all’ascolto dei blocchi di poesie che sono molto impegnativi dal punto di vista emotivo. Io recito e Simone Pirovano mi accompagna con una session musicale live. Niente di meno che concerto dal vivo, dunque; un concerto di poesie.

 

Paolo Agrati