Una domanda al poeta: Antonella Anedda

foto di Dino Ignani

 
 
 
 
Anatomia
 
Dice un proverbio sardo
che al diavolo non interessano le ossa
forse perché gli scheletri dànno una grande pace,
composti nelle teche o dentro scenari di deserto.
Amo il loro sorriso fatto solo di denti, il loro cranio,
la perfezione delle orbite, la mancanza di naso,
il vuoto intorno al sesso
e finalmente i peli, questi orpelli, volati dentro il nulla.
 
Non è gusto del macabro,
ma il realismo glabro dell’anatomia
lode dell’esattezza e del nitore.
Pensarci senza pelle rende buoni.
Per il paradiso forse non c’è strada migliore
che ritornare pietre, saperci senza cuore.
 
(da Historiae, Einaudi, 2018)
 
 
 
 

Gentilissima Anedda,

Il suo Historiae (Einaudi, 2018) è riuscito ad accartocciarmi. Historiae è un libro costellato di poesie che perlustrano il rimosso e, per citare Montale, quei “refusi del cosmo” in grado di ripeterci qualcosa a proposito della storia (privata e collettiva), nella monotonia degli “stessi istanti che ci trovano e ci lasciano” (Costantino Kavafis, trad. a cura di Filippomaria Pontani e Nicola Crocetti). Giacché sotto i fraintesi astri della storia, “dove le vittime/ sono fotografate insieme ai criminali/ alla rinfusa” (da Esilii, in Historiae), proseguiamo ad osservare “il mondo quanto basta,/ non di più non di meno di quanto sopportiamo” (da Alghe, anemoni di mare, in Historiae), un mondo che “dice soltanto ciò che deve” (da Annales, in Historiae), è possibile che “il realismo glabro dell’anatomia” ci spinga a preferirci “senza cuore” (da Anatomia, in Historiae)?

La ringrazio per il Suo tempo, nonché per la Sua poesia.

Con i miei più cordiali saluti,

Vernalda Di Tanna

 
 
 
 
 
 

Cara Vernalda,

davvero una bella domanda, e profonda.

“Saperci senza cuore” è essere consapevoli della nostra durezza, delle nostre durezze. Il pensiero era che solo conoscendo questa realtà (glabra, nuda) e non cadendo nel sentimentalismo forse (forse) potremmo essere migliori.

Un abbraccio affettuoso.

Antonella Anedda