Una domanda al poeta: Alfredo Rienzi


 
 
Il presagio. VII.
 
Deve essere così: il corpo sa,
ma suggerisce male di proposito
per non negarci il gemito pietoso
(se il tuono non sotterra ogni lamento).
 
Tentare un’impermanenza d’orma sulla neve?
Una fuga come un’altra, una meta di passaggio?
 
Ogni due settimane la luna si fa nera.
Ogni altre due torna d’argento.
L’aurora e il tramonto dicono di un solo rosso in cielo.
 
Consolanti profezie dei giorni
presagi d’occasione che bruciano e lavano:
 
sembra che nell’addome s’occulti la sapienza.
 
 
da La parola postuma (puntoacapo, 2012)
 
 
 
 

Nella poesia si legge di una verità atemporale, appannaggio dei grandi cicli che governano dall’alto noi e il nostro pianeta, e di un’altra verità più relativa, più passeggera e cutanea, che invece ci appartiene in quanto esseri umani, anche a costo di farsi menzogna per la sopravvivenza. In questo tuo presagio di apocalittica lucidità, come collochi l’azione dello scrivere – e l’eventuale ruolo di una parola postuma – in rapporto a una meta che non ci concerne, perché appunto non-di-passaggio?

Dario Talarico

 
 
 
 

Ogni verità umana non può che essere relativa e ogni realtà percepita soggettiva. Questo testo – che così presentato parrebbe un inno al relativismo – mostra, non in opposizione a tale assunto, ma a suo superamento, un chiaro riferimento a una verità atemporale, che dovrei scrivere con la maiuscola. Se la negazione all’individuo di una Verità assoluta è definitoria e incontestabile, l’avvicinarsi ad essa o, quantomeno, l’ampliare la propria scheggia di conoscenza sta, secondo me e secondo le allusioni del testo, nelle possibilità dell’umano e forse costituisce la sua operazione più preziosa. Il corpo che “sa” e custodisce nel suo addome un’occultata “sapienza”, il ciclico ritorno della luce, per quanto “lunare”, riflessa, sono un patrimonio tanto vitale quanto labile, assediato, sempre a rischio (l’impermanenza dell’orma, la fuga, la confusione tra alba e tramonto).

È in questa dimensione tragica che la parola, la sua convocazione e la sua cristallizzazione in forma scritta, possono assumere la stessa valenza che ha per l’Eremita, il IX Arcano Maggiore, la sua lucerna: strumento con cui esplorare il (poco) terreno su cui procedere. Non ha, credo, un potere disvelativo, per l’autore, in quanto nomina ciò che per lui esiste già, ma può averlo per il lettore, cui viene offerta questa opera di nominazione-rivelazione; non basta, la parola, a condurci oltre la nostra individualità reclusa, ma, nel suo nominare le cose visibili e tangibili e nel tentare di farlo con quelle invisibili e indicibili – esperendo in tale tentativo tutta la propria limitatezza – può modificarne i desideri e orientare la direzione del passo. Non vuol dire andare oltre mete che siano fatalmente “di passaggio”, ma muovere comunque verso quella dimensione del Sé che si immagina, si spera di poter avvicinare. Sempre che il tuono non sotterri il suo sofferto incedere.

Alfredo Rienzi