Una bellezza lontana – Sara Comuzzo

Una bellezza lontana - Sara Comuzzo
 
Piccole note di lettura a singoli testi
 
 

Sopravvissuti
 
Ora che anche i bambini hanno smesso
di piangere
l’inverno può arrivare
e ricoprirci per bene.
 
La neve…
non è qui per cancellare gli errori,
le bugie sopravvivono al freddo.
E tu ed io,
tu ed io siamo sopravvissuti a qualsiasi cosa
ma non riusciamo a vivere niente.
 
 
 
 
 
 
Tornare
 
Ho paura
della notte,
di non ritrovarci
se spengo la luce.
Di non sapere più chi sei
ora che ti ho perso
come un mazzo di chiavi
un amico d’infanzia
un luogo in cui ho vissuto
ma non riesco a tornare.
 
 
 
 
 
 
Piccole cose
 
Le nuvole, le loro altezze.
 
Qualcosa che cade
a ricordarci
delle piccole cose
 
il loro stare qui
per rompersi.
 

(Una bellezza lontana di Sara Comuzzo, Gnasso Editore, 2018)

 
 
 
 

I versi della Comuzzo, classe 1988, sondano la fragilità dei rapporti e dei sentimenti, mostrando quanto le cose più preziose siano anche le più impermanenti ed evanescenti.

I testi scelti, in particolare, riescono ad offrire una visione che va dal particolare individuale all’universale, quasi rimpiangendo con amarezza le dinamiche del frantumarsi, nella struggente contemplazione dell’irrimediabile.

C’è una consapevolezza della fragilità che non sembra una conseguenza, un pensiero a posteriori, ma qualcosa di innato e precedente allo svolgersi dei rapporti e del loro naturale disperdersi, che consegna una sensazione di averli vissuti, da un lato, con disincanto, dall’altro con particolare sentimento e attaccamento, disperatissimo, proprio per la consapevolezza della loro fragilità e precarietà, che fa godere di ogni istante, coscienti dell’imminente frattura.

Da un lato questo disincanto comporta una sopravvivenza “al freddo … a qualsiasi cosa”, anche se corrompe in qualche modo la spontaneità infantile dell’entusiasmo (“Ora che anche i bambini hanno smesso / di piangere”): e difatti non si riesce a vivere niente, è un mero sopravvivere, guastato dalle bugie, dal freddo, dagli errori, dall’inverno che ha ricoperto “per bene” quello che un tempo era l’ingenuo slancio dell’infanzia.

Dall’altro, ciò che resta vicino, il tu ed io, spaventa per la possibilità di svanire d’improvviso (“Ho paura … di non ritrovarci / se spengo la luce.”): e questa possibilità si estende dalle cose, ai ricordi di persone passate e perdute, fino al luogo di origine, che appare proprio e personale, eppure irraggiungibile (“un luogo in cui ho vissuto / ma non riesco a tornare.”).

Eppure lo sguardo è sempre puntato alle altezze del cielo, all’indifferenza delle nuvole e dell’insondabile, da cui gli eventi e l’imprevedibilità dell’esistere “cade / a ricordarci / delle piccole cose”, preziose, unica possibilità di senso e di direzione, ma sempre consapevoli del “loro stare qui / per rompersi”.

E meno male, mi permetto di aggiungere; è un principio dell’estetica giapponese quello per cui l’unica bellezza possibile è imperfetta, impermanente ed incompleta.

Come quella istantanea di un fiore, presto cancellato dalla neve.

Mario Famularo