Un verso universale – Cristina Martini

Tentenna sempre un po’ la testa
mentre mescola il canto alla pioggia
e ogni tanto si ferma, tra i rospi confusi
da un lucido d’asfalto.
Rincasa e sposta
la sanseveria, predisponendola
alla prima carezza di luce.
Da un ciocco al camino
e alla dispensa toglie il pane.
Poi l’ora, mi chiede
e cosa voglio per cena.
Allora torno
da un buio di finestra
sorrido e rispondo,
“Quello che c’è”.
 
 
 
 
C’è un verso universale che lega
il bicchiere che cade
con l’eternità.
È un filo che non lega in realtà
conduce, nell’abbraccio
come una folata.
 
 
 
 
Chissà cosa curva il ramo
quale mano, quale incontro.
Se emendamento è
di leggi e deroghe, interno.
O è, fare arco su una bugia
per abbracciarla o lasciarla
passare. Seguire
una luce che direziona.
 
 

C’è un verso universale, ci dice Cristina, che lega il bicchiere che cade con l’eternità. E questo basta per sentirsi a un tempo smarriti, di fronte a tanta vastità, e a un tempo confortati. Perché essere di fronte al mistero fa di noi gli ultimi rimasti della tribù dei vivi.

Viene subito da chiederci quale sia quel verso, e se possiamo cercarlo allora comincia un viaggio, se possiamo cercarlo allora siamo vivi. E il bicchiere che cade raggiunge la terra in un tempo indefinito, velocissimo o lentissimo a seconda di chi osserva e partecipa a quella caduta, ma è comunque un tempo che appartiene all’eterno. Ne fa parte, ne farà sempre parte. Se poi abbiamo il coraggio di proseguire nella lettura di questa poesia, scopriamo che siamo condotti fino al miracolo dell’abbraccio. Allora tocca scoprire che ci fidiamo troppo poco, che la vita si muove sempre per vie che noi stentiamo a vedere e certamente siamo poco capaci di comprendere. E qui, su questa soglia, mi voglio fermare, non voglio spingermi oltre perché il mio interesse non è mai stato capire, ma essere sorpreso, stupefatto, meravigliato, innamorato!

Cristina Martini ha, tra i suoi talenti, due doni davvero grandi: uno sguardo che sa riconoscere la bellezza e una voce capace di cantarla. La sua statura è quella dei poeti e delle poetesse e non si misura in centimetri. Sa farsi della misura della sanseveria e un attimo dopo ha la natura della luce. E quando chiede Chissà cosa curva il ramo si fa voce di tutte e tutti, per porre una di quelle domande che i più reputano superflue, sbagliando miseramente. Questa domanda è domanda assoluta, totale, solo chi ha visto la notte nelle sue più profonde tenebre e ha mantenuto la vista salva per riconoscere la nuova alba sa porre le domande che salvano la vita.

Perché ha ragione, la poetessa, c’è una luce che direziona, c’è una luce che fa la rotta ai dispersi, e i dispersi siamo noi. Seguirla è l’ultima possibilità di salvezza, seguirla è l’unica dichiarazione d’amore possibile. Allora anche noi potremo sorridere, e rispondere alla domanda su cosa desideriamo, quello che c’è.

Perché sarà allora, quando facendo i conti con chi siamo ci accorgeremo che quello che c’è è esattamente quello che desideriamo, che scopriremo di essere felici.

Massimiliano Bardotti