Proponiamo un dialogo tra Daniele Serafini e Carmen Gallo su Romeo e Giulietta (Rizzoli, 2023, traduzione di Carmen Gallo).
Daniele Serafini: Nell’accurata introduzione a Romeo e Giulietta (Rizzoli, 2023), lei ricostruisce la genesi letteraria del testo. Dopo aver sottolineato come i due protagonisti siano diventati icone pop della cultura contemporanea, evidenzia come la linea narrativa riposi su un archetipo dell’universo mitologico occidentale…
Carmen Gallo: La fortuna straordinaria della storia di Romeo e Giulietta si deve anche alla forza dell’archetipo che rivivifica: quello, profondamente radicato nella cultura occidentale (ma non solo), dell’amore ricambiato ma contrastato che finisce in tragedia a causa di un incidente, errore, fraintendimento, che testimonia l’irruzione ‘tragica’ del caso o del fato nelle vicende umane a dispetto della nostra fiducia di controllo del tempo e delle azioni. Piramo e Tisbe sono il riferimento più immediato per la morte “presunta” dell’altro che ingenera l’equivoco che porta al doppio suicidio, ma anche il mito di Ero e Leandro, amanti contrastati sulle opposte rive di uno stretto di mare, ripreso anche da Christopher Marlowe. Oltre all’irruzione del fato, l’archetipo ripreso da Shakespeare (lettore di Ovidio) conferma la lunga durata della tanto convenzionale quanto efficace (poeticamente) convergenza di eros e thanatos, che assume nel dramma una grande potenza simbolica perché interrompe, sotto gli occhi degli spettatori, una promessa di futuro (la giovinezza) e di felicità (amorosa) che – ed è questo che Shakespeare aggiunge alla tradizione mitologica – è anche promessa di un mondo di superamento della violenza della società, dell’incomprensione generazionale, della tradizione culturale che vuole i generi sessuali costretti in comportamenti predeterminati (la ritrosia femminile, l’ostentazione della virilità maschile, ecc.).
D.S.: La scelta di Shakespeare di scrivere un dramma così letterario contempla probabilmente il proposito di indirizzarsi a un pubblico più colto di quello popolare dei teatri pubblici. A quali ragioni è riconducibile questa scelta e come Shakespeare riesce a far convivere il registro lirico con quello più propriamente teatrale?
C.G.: È una tesi piuttosto accreditata quella di riconoscere in Romeo e Giulietta un dramma con una forte aspirazione al riconoscimento di una qualità letteraria, non solo perché una parte significativa del testo è in versi (e Giulietta ha il primato di essere l’unico personaggio a esprimersi solo in versi) e in forme metriche in parte riconducibili a soluzioni della poesia shakespeariana (per es. il “sonetto concentrato”), ma anche perché la “poesia” è un tema ricorrente soprattutto nella prima parte del dramma. È stato suggerito che il dramma fu probabilmente composto o almeno iniziato per una rappresentazione privata per un pubblico più colto durante il difficile periodo della chiusura dei teatri pubblici dovuta alla peste, periodo in cui Shakespeare si dedicò anche alla composizione dei suoi poemi narrativi. Queste sarebbero le contingenze storiche di cui il dramma conserverebbe le tracce, e che spiegherebbe la singolare compresenza di temi e motivi lirici insieme alla irruenza e vivacità del dettato drammatico. Shakespeare convoca infatti le discussioni tra petrarchisti e antipetrarchisti, attraverso il personaggio di Romeo, che è presentato come un poeta petrarchista (II, 4, 38-39) dalle rime abusate e dalla topica fin troppo convenzionale, e di Mercuzio, che incarna invece le più selvagge infrazioni del codice petrarchesco. La via d’uscita ‘performativa’ da questa polarizzazione tra idealità letteraria e sensualità abbrutita (di stile comico) è offerta dal personaggio di Giulietta, che riesce sia sottrarsi alle convenzioni poetiche della donna ritrosa mostrandosi impaziente di consumare il matrimonio il prima possibile nello straordinario epitalamio che lei stessa recita all’inizio di III,2 (appropriandosi di un genere tradizionalmente maschile). Giulietta esprime esplicitamente un desiderio fisico che reclama “azione”, a dispetto dei dettami morali di pudicizia e repressione imposti alla sessualità femminile, e che non è percepito in contraddizione con la purezza dell’amore degli amanti. In questo modo il personaggio di Giulietta riesce a superare sia l’idealità del petrarchismo, sia il rovescio comico (Mercuzio, la Balia) che lo confermava rafforzando luoghi comuni (donna angelo vs. donna prostituta). Ma tanta intemperanza femminile, che minaccia la società, deve essere punita e per questo gli amanti sono contrastati dal fato oltre che dai genitori. Agli amanti che hanno abbandonato le forme vuote della lirica per approdare alla fisicità della scena non resta allora che seguire fino in fondo la spinta performativa che il teatro imprime alle parole della poesia. Se ‘morire per amore’ è, nella poesia di matrice petrarchista, poco più di una posa da esibire, svuotata di senso, nell’opera di Shakespeare questo topos diventa un imperativo drammatico per gli amanti che devono, fino alla morte, dare ‘carne’ alle loro parole.
Daniele Serafini
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