Stranieri – Francesco Sassetto

Bozza automatica 60

Leggo Sassetto in dialetto veneziano – da buona napoletana – senza sbirciare la traduzione dalla pagina accanto, traduzione letterale come dice l’autore stesso in una nota al testo, una spiegazione dei vocaboli, traduzione di servizio. Le poesie, ci dice Sassetto, sono quelle in dialetto. È così.

La parte più interessante e viva del libro è quella iniziale. La prima sezione si apre con la poesia Aqua alta, uno dei testi più belli della raccolta. Venezia protagonista indiscussa e lietmotiv, anche quando pare non ci sia (nelle successive alla prima, Altri annegamenti e Stranieri, cambia il registro, cambia il lessico, cambia la lingua).  Eppure Venezia c’è sempre.

Questo libro di Francesco Sassetto (a cui fa immediatamente seguito Xe sta trovarse, edito dalla Samuele Editore nello stesso) è un libro sulla identità/ricerca identitaria e la lingua è sicuramente uno degli elementi a sottolineare questo percorso. Venezia amata e proprio per questo osservata inevitabilmente da ogni lato possibile, anche quello che fa più male, quello dell’incuria e del degrado.

Forse siamo tentati di pensare all’identità come a qualcosa di statico, che sta lì a guardare come fosse un passato supervisore. Non è così. La ricerca di identità è qualcosa che talvolta ci rende estranei a noi stessi, ci rende stranieri. Ebbene il libro di Sassetto tocca il tema della migranza anche dal lato del rapporto con noi stessi e con la nostra idea di identità: “Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”.

Nell’ultima sezione c’è una poesia dal titolo Esame de la Prefetura. È il test previsto dall’accordo d’integrazione. Una serie di domande sulla conoscenza della lingua italiana da parte degli immigrati.

Ecco di nuovo la lingua al centro del discorso sull’identità: il dialetto da questa parte della riva, la lingua italiana nelle crocette sui fogli del test: “vardo un momento quei fogi co tuti quei segni/ sora i quadréti, me par che i ghe somègia un fià/ a i campi de croce in mezo le montagne,/ piante sensa nome”.

Al centro l’umanità.

 

Melania Panico

 

 

Aqua alta

Xe sparìo da tre mesi Gigi
no ’l xe più drìo del bancón
del bar a Rialto a far cafè a manéta, a spòrzer
svelto le brioches a queli che speta el batèlo de le sìe
de matina, che core al lavoro a Mestre o più in là.

’Na macia de luse nel scuro quel bar pien de gente,
de spente, borse e giornali e comande sigàe, ombre
che va fora e dentro de furia
e i do òmeni in traversa,
oci e man che core sincronizài, un casìn de vose
nel vapór de le machine soto pressión.

Xe sparìo da tre mesi, cussì
e nissùn dise gnente.

Ancùo tuti discóre se l’aqua rivarà a sentovinti, le previsión
le par propio sbalàe,
no xe siròco, la luna no xe quea bona,
dise un vecio butando l’ocio a l’onda su la riva
darénte che desso s’ingrossa e se slonga.

Fora i mete de furia le tole su i cavaléti, l’aqua
in diese minuti la ga ciapà fià
la cresse, la xe qua dentro del bar, la vegnarà
alta sì, sentovinti
anca sentotrenta
no se lo spetàva nissùn.

Gigi sta mal
me dise Dino, vint’ani insieme a far i cafè,
un bruto mal
me fa sotovose intanto che ’l nèta el bancón
co i oci sbassài, el respira a fadìga
no ’l tornarà più qua co lu.

Xe sparìo, Gigi,
ancùo xe sinque mesi, el parón
ga messo ’n’altro a far co Dino i cafè.

L’aqua domàn tocarà da novo i sentotrenta
e se sùpia siròco
anca de più.

 

trad. Alta marea (dialetto veneziano)Traduzione in italiano: “E’ sparito da tre mesi Gigi/ non è più dietro il bancone/ del bar a Rialto a preparare caffè uno dopo l’altro, a porgere/ svelto le brioches ai clienti che attendono il vaporino delle sei/ del mattino, che corrono al lavoro a Mestre o più lontano.// Una macchia di luce nel buio quel bar affollato/ di spinte, borse, giornali e ordinazioni gridate, ombre/ che vanno fuori e dentro di fretta/ e i due camerieri col grembiule,/ occhi e mani che corrono sincronizzati, un frastuono di voci/ nel vapore delle macchine in pressione.// E’ sparito da tre mesi, così/ e nessuno dice nulla.// Oggi tutti discutono se l’acqua salirà a centoventi, le previsioni/ sembrano proprio sbagliate,/ non soffia scirocco, la luna non è quella giusta,/ dice un vecchio dando un’occhiata all’onda sulla riva/ di fronte che ora s’ingrossa e s’allunga.// Fuori allestiscono in fretta le tavole sui cavalletti, l’acqua/ in dieci minuti ha preso forza/ cresce, è dentro il bar, verrà/ alta sì, centoventi/ anche centotrenta/ non lo credeva nessuno.// Gigi sta male/ mi dice Dino, vent’anni insieme a preparare i caffè,/ una malattia grave/ mi dice sottovoce mentre pulisce il bancone/ con gli occhi abbassati, respira a fatica/ non tornerà più qui con lui.// E’ sparito Gigi,/ oggi sono cinque mesi, il proprietario/ ha assunto un altro per preparare con Dino i caffè.// L’acqua domani salirà di nuovo a centotrenta/ e se soffia scirocco/anche di più.”

 

 

 

La bufera che viene

… in una bocca che chiede in italiano con accento albanese
qualcosa che non si può rifiutare, e non solo per ragione morale…
… ma perché sta scadendo la cambiale
dei popoli che non hanno neanche il pane

Gianni D’Elia

Sentila, sentila bene anche tu la bufera che viene,
questa tempesta straniera che preme,
che avanza dall’est, dal sud della fame
e sbarca alla vigna ubertosa
dei signori d’Europa e vuole
il lavoro e la casa
e vuole una fetta del sole
che accarezza quest’aiuola felice
del mondo.

E il piccolo uomo che cura le rose
del proprio giardino
si fa adesso feroce ed affila le unghie
e spranga porte e balconi, alza la voce,
vuole leggi e pistole e cani e cancelli
a difesa del suo metro di terra.

E l’aria già odora di guerra.

 

 

 

Yan Lin

Yan Lin sul permesso di soggiorno, ma qui il suo nome
è Giulia, fuggita da chissà quale campagna cinese,
di Mao e del libretto rosso Giulia
non sa niente, ma sa bene la miseria, l’acqua alle ginocchia
la schiena che si spezza
la risaia che ammala e ammazza.

E adesso scappa dalla Cina toscana, dallo zio di Prato
bracciaspalancate, ospite nella sua casa fiorentina e
nella fabbrica di capi in pelle, nel seminterrato
sedici ore al giorno, notte e giorno.

Giulia ancora in fuga, cacciataodiata dalla sua gente
ora vive in una stanza a Marghera, si vende la sera
per l’affitto, il mangiare e le bollette e
mentre il cliente le sta sopra ansimante
Giulia vede la luce,
i neon di un salone di bellezza acceso di colori ed eleganza.

Perché Giulia è estetista diplomata e vuole quel lavoro dove
tutto si fa bello e studia per gli esami
si aggrappa a ogni parola da imparare,
al manuale che dice tinture, tagli e pettinature

perché quel sogno lo vuole per davvero, ad ogni costo,
che quella luce diventi il suo domani.