In continuità con gli speciali pubblicati nell’estate 2024 (QUI), si propongono alcuni articoli aventi come oggetto autori rappresentativi della letteratura italiana. La redazione prevede l’individuazione di “una parola – chiave” indicante un sentimento, un’emozione, un oggetto, un’esperienza, a partire dalla quale presentare la lettura e l’interpretazione degli autori scelti secondo direttrici tematiche e/o biografiche. Possibile nel medesimo contributo il riferimento a più autori.
Le precedenti parola chiave, a cura di Giulio Mazzali, sono state Esilio (QUI)e Specchio (QUI). Quella di questo intervento è: TEMPO.
Storia e tempo nella raccolta “Diario d’Algeria”
Scrive Vittorio Sereni all’amico Attilio Bertolucci in una lettera datata 3 novembre 1946: “Aspetto le seconde bozze del libretto, ma con scarsissimo entusiasmo. Con entusiasmo anche minore mi accingo a presentare il dattiloscritto per quel tal premio […]”. Il “libretto” in questione, in corso di stampa, è Diario d’Algeria, seconda raccolta di Sereni pubblicata nella sua prima edizione per l’Editore Vallecchi nel 1947. Anni dopo, nel ‘65, in concomitanza con l’uscita della sua terza raccolta, Gli strumenti umani, Sereni pubblica presso Mondadori una seconda edizione dell’opera, contenente 32 testi (la prima ne includeva solo 24) distribuiti in tre sezioni: La ragazza di Atene, Diario d’Algeria, Il male d’Africa. Il titolo dell’opera si riferisce alle circostanze di composizione dei testi, legate al secondo conflitto mondiale e all’esperienza della prigionia vissuta in Africa a partire dall’estate del ‘43.
Come in altre opere dell’immediato dopoguerra, anche nella seconda raccolta di Sereni la storia, intesa come scenario complesso dell’agire umano, e il tempo, considerato nelle sue molteplici forme, costituiscono elementi essenziali del discorso poetico. Nei versi di Diario d’Algeria, infatti, la componente diaristica, esibita da segnali paratestuali congruenti al genere letterario di riferimento, non esaurisce il carattere multiforme della nozione di tempo. Nelle liriche sereniane il tempo è sì “data fissa” indicante le circostanze storiche che hanno dato origine ai versi, ma è anche, come sostenuto da Laura Neri in un suo intervento, “[…] un’età da rimpiangere, una durata incommensurabile […] un ricordo con cui fare i conti, un’ipotesi sull’avvenire o una beffa che irride l’uomo”.
Fin dalla prima sezione dell’opera, dedicata a eventi e circostanze precedenti la cattura, la complessità delle forme temporali appare evidente. Nella lirica dal titolo Italiano in Grecia, datata agosto 1942, il soldato Sereni – ad Atene in attesa del passaggio in Africa – consapevole della militanza tra “le schiere dei bruti” (v. 10) e riluttante alle ragioni della guerra in nome di una sentita appartenenza europea, prospetta per sé un futuro ignoto, sentito come flusso indistinto privo di riferimenti consolidati e misurabili: “Come un cordoglio / ho lasciato l’estate sulle curve / e mare e deserto è il domani / senza stagioni” (vv. 4- 7). Un futuro privo di coordinate spazio – temporali, compromesso dall’abbandono precoce dell’età giovanile, sentita dall’autore come “estate” dell’esistenza. Il sentimento della fine della giovinezza, perduta definitivamente a causa della guerra, si acuisce nella seconda sezione dell’opera, in cui il poeta, alla luce dell’esperienza straniante della prigionia, oppone alla condizione della maturità, caratterizzata da rassegnazione e disincanto, il ricordo di un passato ormai perduto. Esemplificativo, a tal proposito, è il dittico composto dalle liriche Troppo il tempo ha tardato e Se la febbre di te più non mi porta. È in questi versi che all’età giovanile, ricordata come inquieta e febbrile, il poeta contrappone l’età adulta, caratterizzata da mitezza e velata rassegnazione: “Fatto è il mio sguardo più tenero e lento / d’essere altrove e qui non è più teso” (Se la febbre di te più non mi porta, vv. 6 – 7).
È la seconda sezione, dal titolo eponimo Diario d’Algeria, a rappresentare il nucleo cruciale dell’intera opera. Celebri sono i versi con i quali il poeta presenta la propria condizione e quella dei suoi commilitoni, perduti come lui in un “girone grigio” d’Algeria e condannati a uno stato di paradossale esclusione dalla storia del tutto assimilabile alla morte: “Non sanno d’essere morti / i morti come noi, / non hanno pace. / Ostinati ripetono la vita / si dicono parole di bontà / rileggono nel cielo i vecchi segni” (Non sanno d’essere morti, vv. 1- 6). Come dannati, i prigionieri sono perduti in un Inferno che, pur non procurando sofferenze fisiche, infligge nello “scherno dei mesi”(v. 8) ferite psicologiche durature e profonde. Condizione, questa, carica di rimpianto e rimorso, che Sereni, in una lirica appartenente alla stessa sezione, paragona alla propria morte: “[…] prega tu se lo puoi, io sono morto / alla guerra e alla pace” (Non sa più nulla, è alto sulle ali, vv. 12 – 13).
Il sentimento di isolamento ed esclusione, generato dalla mancata partecipazione agli eventi cruciali della storia italiana ed europea, come la Resistenza e la Liberazione, permane nel terza e ultima sezione dell’opera, dal titolo Il male d’Africa, costituita da testi comparsi solo a partire dalla seconda edizione del 1965. Nei versi di quest’ultima sezione lo sguardo è rivolto a un passato ormai lontano, ma ancora gravato dal ricordo della guerra e della cattura (“mancavo, morivo / sotto il peso delle armi […]”; “Fu così che ci presero […]”, da FRAMMENTI DI UNA SCONFITTA). La distanza spazio – temporale che separa apparentemente presente e passato diviene agli occhi del poeta condizione essenziale della scrittura, luogo in grado di ribadire definitivamente – non senza rammarico – il sentimento di esclusione dagli eventi e dalla storia causato dall’esperienza di una guerra “girata altrove” (L’OTTO SETTMEBRE ‘43 / ‘63, v. 17).
Giulio Mazzali
Riferimenti bibliografici
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Vittorio sereni, Poesie e prose, a cura di Giulia Raboni, Mondadori, Milano 2020;
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Fioroni, Georgia. Attorno a due poesie nate a Sidi – Chami: “Troppo il tempo ha tardato” e “Se la febbre di te più non mi porta”, “Per leggere”, 2013, n. 25, pp. 17-32;
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Laura Neri, Le forme del tempo nel Diario d’Algeria, in E. Esposito (a cura di), Vittorio Sereni, un altro compleanno. Atti di convegno, Milano – Luino, 24-26 ottobre 2013, Ledizioni, Milano, 2014: pp. 115-125 [consultabile on line:http://books.openedition.org/ledizioni/718 ].