Sto fiorendo in te ancora e ancora – Monica Matticoli

foto di Cinzia Fabiani

 
 
 
 
Ipotesi per quadro
 
Poi all’improvviso il tempo torna su te
e s’invoca una salvezza, una preghiera
a stento tollerabile, la nostalgia dove ti perdo
fra la perfezione estrema delle ossa e il giorno
che da sempre, ininterrottamente, avanza.
 
 
 
 
 
 
Ricorsione
 
Aver dimenticato la furia e questo male, dirti
nel nome le suture e gli aghi e poi restare,
contemplare una perfetta farsa, un interstizio
di domani mentre una sorte si figura fra certezze e
intendimenti, decifra crepundie e controversie,
mi riattiva i segni, i casi polverosi, gli albereti e
tu riaccadi, tra le formule le corde e gli equinozi
tu riaccadi e io ti amo, e ti vorrei inchiodare
 
 
 
 
 
 
Petite chose
 
È come se brillassi quando scrivi.
So che il tempo non si frattura
nella Storia non c’è più posto per
le anime e ci si perde nella vita, nei suoi
inganni. Bella è la tua voce e immenso è il
tuo respiro, il telefono che rompe
mentre leggo che al di sopra dei viventi
splendeva un firmamento simile a
un cristallo. E allora tutto appare chiaro,
e assomiglia davvero a una salvezza.
 
[…] Sei
dolcezza che cade, non dicibile grazia e
 
io
 
sto fiorendo in te ancora e
ancora.
 
(Monica Matticoli, L’irripetibile cercare, Oèdipus, 2017)
 
 

Si avverte una tensione vitalissima, in questi versi di Monica Matticoli, tra scorrere del tempo, dei dettagli minimi delle giornate e dell’esistere, e un sentimento amoroso pieno, salvifico, portatore di senso e di bellezza, che allo stesso tempo è ulteriore memento dell’avanzare delle ore e dello svanire, restituito pertanto come fenomeno miracoloso ed istantaneo, provvisorio ma che consente l’accesso a un forma di salvezza e di grazia.

In “Ipotersi per quadro” il tu della relazione è investito dal tempo, “improvviso”, il cui tocco metamorfico porta inevitabilmente quella “nostalgia dove ti perdo”, “fra la perfezione estrema delle ossa” (che di noi sono la parte materiale che più a lungo resiste), e “il giorno / che da sempre, ininterrottamente, avanza”. Il senso di transitorietà ineluttabile non impedisce di invocare “una salvezza, una preghiera / a stento tollerabile”, non soffoca la percezione e l’aspirazione all’assoluto, alla pienezza di senso, proiettata nella relazione umana e, in particolare, sentimentale.

Il “problema” viene ulteriormente affrontato in “Ricorsione” (ed è lo stesso titolo a suggerire il desiderio di risolverlo, attraverso le sue frazioni minime), attraverso una serie di momenti dell’esistere, qui elencati, tutti accomunati da un sentire irrequieto, in tensione (“Aver dimenticato la furia e questo male … contemplare una perfetta farsa”), che cerca di tradurre il reale e le sue manifestazioni in una pienezza di significato (“una sorte si figura fra certezze e / intendimenti … mi riattiva i segni”), fino a trovare la propria destinazione, nuovamente, nel tu (“tu riaccadi … tu riaccadi e io ti amo”) che si vorrebbe proteggere dal divenire e dal rischio della dissoluzione nel tempo (“e ti vorrei inchiodare”).

In questo la scrittura è un istantaneo attimo di splendore capace di cristallizzare il valore dell’esperienza (“è come se brillassi quando scrivi”), mentre “ci si perde nella vita, nei suoi / inganni”: “bella è la tua voce e immenso è il / respiro”.

E tra il quotidiano che distrae (“il telefono che rompe / mentre leggo”) e il riscoprire in un testo che “al di sopra dei viventi / splendeva un firmamento simile a / un cristallo”, “tutto appare chiaro, / e assomiglia davvero a una salvezza”: la bellezza di un piccolo momento comune rivela il suo valore prezioso a chi si pone in ascolto per intenderlo, e nuovamente la proiezione di senso è nel tu, è nell’altro, e nel porsi in relazione con esso fino a intravvedere in questa concomitanza di fattori minimi “una salvezza”.

Non vi è alcuna certezza che lo sia, ma la rassomiglianza, il riuscire a riconoscerla e avvertirne il sollievo e la pienezza, sembra già più che sufficiente.

I versi finali, estratti da un altro testo, riassumono appieno quanto riportato sinora: quasi citando i versi finali dell’ultima elegia di Rilke la dolcezza “cade”, è “non dicibile grazia”, portata dalla persona amata, che consente una rinascita continua e presente, nel tempo che dissolve e trasforma, associata alla fragilità preziosa della fioritura: “sto fiorendo in te ancora e / ancora”.

Mario Famularo