Questo articolo riprende e amplia la recensione di Federico Migliorati a Poesie inedite, Dylan Thomas (Crocetti Editore, 2023, traduzione e cura di Emiliano Sciuba) uscita su “Laboratori critici” numero 5 (QUI), che ha visto come anteprime un generoso articolo di Luca Vaglio su Gli Stati Generali attorno a un falso storico scoperto dalla Redazione della rivista su delle traduzioni di Thomas (QUI), e di Paolo Fabrizio Iacuzzi su Laboratori Poesia dal titolo Speciale Dylan Thomas: La risonanza nella poetica di Piero Bigongiari, uno studio per immagini (QUI).
Dylan Thomas e “Laboratori critici” sono stati inoltre discussi il 18 luglio scorso a Elba Book Festival in un’importante tavola rotonda che ha visto come protagonisti lo stesso Paolo Fabrizio Iacuzzi, Tommaso Di Dio e il direttore responsabile della rivista Matteo Bianchi.
Questo articolo di Federico Migliorati fa inoltre seguito a uno speciale che Laboratori Poesia ha dedicato alcuni mesi fa a Thomas: Speciale Dylan Thomas: Visione e preghiera (a cura di Tommaso Di Dio) di Andrea Carloni (QUI – del nostro redattore Carloni facciamo inoltre presente l’imminente uscita, per Pordenonelegge 24 e a cura della Samuele Editore, di Po(e)mi da un penny, James Joyce, presentato in anteprima su pordenoneleggepoesia.it – QUI – e Laboratori Poesia – QUI -), e Speciale Dylan Thomas: Poesie inedite (a cura di Emiliano Sciuba) a cura di Alessandro Canzian (QUI – di Sciuba segnaliamo l’articolo, sul numero 5 di “Laboratori critici”, dal titolo «My aptitude for sin»: Dylan Thomas e Alda Merini tra onanismo e onirismo, QUI).
Il presente Speciale chiude inoltre la ricchissima estate di Laboratori Poesia che ha visto la pubblicazione di una serie di Speciali su: Roberto Herlitzka (Speciale in memoria di Roberto Herlitzka (1937-2024), un grande interprete della poesia, a cura di Vernalda Di Tanna, QUI), Ludovico Ariosto (Errore e castigo nella vicenda del conte Orlando – L’amore dissennato nel poema di Ludovico Ariosto, a cura di Giulio Mazzali, QUI), un secondo Speciale su Ludovico Ariosto in risposta al precedente di Giulio Mazzali (Omnia vincit amor – Sulle cause della follia di Orlando, a cura di Claudio Damiani, QUI), Mahmud Darwish (Chi sono io senza esilio?, a cura di Anita Piscazzi, QUI), Vittorio Sereni (L’estate del poeta: Vittorio Sereni tra vacanze e compleanni, a cura di Pietro Russo, QUI), Dante Alighieri (La figura dell’invidioso e il Canto XIII del Purgatorio – Il legame tra invidia e superbia nelle parole della senese Sapìa, a cura di Giulio Mazzali, QUI), Alfonso Gatto (Poesie scelte e commentate da Andrea Matucci, a cura di Federico Migliorati, QUI). Senza dimenticare lo straordinario reportage in diretta da I Fumi della Fornace (Valle Cascia, 22-25 agosto, il programma QUI) a cura di Patrizia Baglione (Prima giornata, QUI – Seconda giornata, QUI – Terza giornata, QUI – Quarta giornata, QUI).
Da oggi, inoltre, riprende l’invio della Newsletter di Laboratori Poesia (QUI). Buona ripresa lavorativa a tutti!
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Poeta “maledetto”, irriverente, controcorrente, fortemente identitario Dylan Thomas, nella pregevole antologia di 62 Poesie inedite apparsa per Crocetti Editore nei mesi scorsi e affidata alle cure di Emiliano Sciuba assurge a icona di un’epoca che ancora non ha smesso di dire ciò che ha da dire, come ogni classico, per usare le parole di Italo Calvino.
Deciso e sferzante, il poeta gallese nato 110 anni fa si arrovella sui grandi temi dell’umanità partendo dalla propria condizione di deraciné ideologico, privo di punti di riferimento eppure sempre attratto dal “miracolo” della vita e della vita umana in particolare nella sua variabilità. Visione e immaginazione in un coacervo panteistico-metafisico lottano con la realtà che lo circonda, intrisa di peccato e di falsità, e la morte può essere amica in grado persino di saziare. In diversi passi è quasi un epicedio quello che promana dai pastosi, intensi slanci poetici dedicato a sé. Con la morte, come con il sesso, è sempre in corso una sorta di dialogo quando non di rapporto in costante tensione: nel poeta nulla è sempre uguale poiché la decostruzione del pensiero, la decontestualizzazione dei concetti assurgono a elementi precipui dei versi.
In Thomas assistiamo a ogni piè sospinto a uno scavare a fondo nei recessi interiori dell’uomo, anche quelli osceni e brutali, da cui riemergere per consegnarci verità, talvolta tremende, tra immagini decadenti e solitudini. Ideatore del movimento che va sotto l’espressione di “Nuovo Romanticismo”, quest’animo sempre tormentato scomparso a nemmeno quarant’anni ricorre sovente, soprattutto nei testi della maturità, all’uso degli elementi naturali quasi deificandoli in una sorta di conversazione a più voci dove vita e morte appaiono inscindibili: piante, vegetazione, cielo, terra, elementi naturali in genere serbano in sé la fonte primigenia di una saggezza e vengono utilizzati come pietra di paragone quando non metafore ardite del comportamento umano.
Ma nelle pagine c’è anche il tema dello straniamento, della lontananza (ecco il paese straniero che si intravede tonitruante nei versi), di un amore tenacemente inseguito (per quanto permanga un “fantasma triste”) a fronte di un “cuore assente” in attesa che vengano tolte le maschere che nascondono il nostro vero volto, la nostra vera anima impedendo una chiarezza di sguardi e sentimenti. E poi il sogno, che tutto assemblea e tutto restituisce sublimato, trasfigurato nella “fede pura senza tempo” anche se resta il corpo il “luogo” di una fede pura, nadir e zenith della versificazione, “contenitore” polivalente di emozioni e scarnificazioni della moralità. Come “figli dell’oscurità” che non hanno ali, così si sente il poeta, non resta che attendere, mentre gli eventi fanno il loro corso.
È una scrittura proteiforme e complessa, estremamente variegata che acquisisce con la maturità, tra la prima raccolta, licenziata a soli vent’anni per non tacere dei componimenti iniziali nel periodo adolescenziale, e le più recenti (prima che il demone dell’alcol ne obnubilasse la mente) una maggiore prosaicità, un’espressività ancora più allucinata, più devastante mentre si infittiscono le ripetizioni dei versi e i gesti meccanici di un’esistenza travagliata per la quale sapere è patire. L’ambito spirituale è un altro dei perni della sua poesia, ma la presenza di una divinità non è mai fonte di saggezza, catartica, positiva sibbene funge da detonatore, fiume carsico lungo “l’argine ripido” che rischia di travolgere tutto irreparabilmente. “Il tempo dovrà appartenere all’uomo”: solo così, forse, sarà possibile invertire la rotta, restituire un poco di valore ai giorni e sconfiggere la tregenda che ci possiede dietro “i nostri piccoli sé”.
Federico Migliorati
Guarda, sui sentieri sterrati sotto gli arpeggi degli alberi,
Sentendo il vento estivo, ascoltando i cigni,
Sporgendomi dalle finestre su distese di prati,
Sopra colline pendenti ad ammirare il mare
Io sono solo, e da solo mi lamento con le stelle.
Chi sono i suoi amici? Il vento amico,
La lucciola che illumina la sua oscurità
E la lumaca che gli annuncia la pioggia.
Per lo spirito di primavera
E quando fu primavera io dissi:
“Non indugiare assorta negli alberi colorati,
Ma ricopri magnificamente la tua testa
Con la schiuma lanciata dai mari in fiore.”
E tu sorgesti dalla profondità dell’erba
Che sussurrava al vento e piangeva,
dicendo avresti lasciato passare i mari freddi,
Cercando nient’altro che i tuoi petali ancora
Addormentati.
Così dimenticai la schiuma alla deriva e la sabbia,
Riposando alla luce delle ore
Fra alberi silenziosi. E mano nella mano
Cantammo bizzarramente fra fiori piumati.
Ho desiderato andare via
Ho desidero andare via
Dal sibilo della vuota bugia
E dal grido continuo degli orrori passati
Ancora più terribile quando il giorno
Si tuffa oltre la collina del mare profondo;
Ho desiderato andar via
Dalla ripetizione dei saluti
Perché ci sono spettri nell’aria
E spettrali echi su carta
E il tuono di richiami e appunti.
Ho desiderato andare via ma ho paura;
Sebbene non vissuta, un po’ dio vita potrebbe esplodere
Dalla vecchia bugia che brucia a terra
E, crepitando in aria, lasciarmi quasi cieco.
Né per l’antico terrore della notte,
Per il distacco del cappello dai capelli,
Per labbra in cerca del destinatario,
Cederò alla piuma della morte.
Per queste cose non mi importerebbe morire,
Metà abitudine e metà bugia.
In copertina: Dylan Thomas in un momento di registrazione per la BBC nel 1940. Fonte BBC